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scotti-vincenzo-webdi Lorenzo Baldo - 9 dicembre 2011
Palermo. “Nascondere ai cittadini che siamo di fronte a un tentativo di destabilizzazione delle istituzioni da parte della criminalità organizzata è un errore gravissimo. Io ritengo che ai cittadini vada detta la verità e non edulcorata. Io me ne assumo tutta la responsabilità. Se qualcuno ritiene che questo non sia vero sono pronto alle dimissioni ma per questa ragione, ma non cedo il passo su questo terreno, ho detto che l’allarme sociale è altissimo e la gente deve sapere queste cose. Siamo un Paese di misteri e io non intendo gestire il ministero degli Interni con una condizione di silenzio o di misteri e senza mettere su carta le cose che si fanno”. Sono le parole di Vincenzo Scotti, ministro dell’interno nel 1992 tratte dalla sua audizione del 20 marzo del ’92 alla Commissione Affari Costituzionali e Interni della Camera dei Deputati.

Quel giorno davanti alla Commissione depose anche l’allora capo della Polizia Vincenzo Parisi che, se pur con maggiore prudenza, ribadì i timori manifestati da Scotti. Nell’udienza odierna al processo che vede alla sbarra il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu per la mancata cattura di Provenzano i pm Ingroia e Di Matteo hanno chiesto alla Corte di acquisire agli atti entrambe le audizioni. Le dichiarazioni dell’ex ministro degli Interni pesano come macigni soprattutto se contestualizzate nel periodo immediatamente precedente alla strage di Capaci, a quella di via D’Amelio e alle bombe di Roma, Firenze e Milano. Nonostante la gravità di quelle parole l’allarme lanciato da Scotti non sortì alcuna reazione da parte dei vertici delle istituzioni dell’epoca. Tutt’altro. Il 23 maggio si verificò la strage di Capaci e poco più di un mese dopo, il 28 giugno, lo stesso Scotti venne sostituito al Ministero degli Interni da Nicola Mancino. E le stragi continuarono. L’ipotesi che quelle dichiarazioni di Scotti lo avessero reso “inaffidabile” agli occhi di esponenti delle istituzioni che avevano intavolato una trattativa con la mafia e che per questo doveva essere sostituito è tutta da esplorare. Ed è evidente che si tratta solamente di un tassello all’interno di un puzzle molto più complesso.
Il pm Di Matteo ha spiegato quindi alla Corte che attraverso la lettura integrale delle trascrizioni delle audizioni di Parisi, ma soprattutto di Scotti “ci si potrà rendere conto come l’allarme successivo all'omicidio dell'europarlamentare Salvo Lima su eventuali attentati preparati dalla criminalità organizzata nei confronti di altri politici non fosse stato accolto” e che il rischio di attentati nei confronti di esponenti politici come Vizzini, Mannino e Andreotti “non fosse fondato solo sulle dichiarazioni di Elio Ciolini (un ambiguo personaggio della destra eversiva legato ai Servizi, ndr), ma su ulteriori elementi concreti esplicitati da Scotti e Parisi in quelle audizioni”. Dopo aver consultato l’accusa e la difesa il presidente della IV sezione penale, Mario Fontana, ha deciso quindi di ascoltare Vincenzo Scotti nelle prossime udienze. Così come per quanto riguarda l’audizione dell’ex Direttore Generale detenuti del Dap, Sebastiano Ardita, il presidente Fontana l’ha programmata per il prossimo 23 dicembre. A fronte del nuovo capo di imputazione contestato a Mori nella fattispecie di “violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario” la difesa dell’ex comandante del Ros, rappresentata dall’avvocato Basilio Milio, ha stilato numerose richieste di acquisizioni documentali e una lunga lista di testi per i quali ha chiesto l’audizione. Tra questi: l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, l'ex premier Giuliano Amato, l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, l'ex procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli, l’ex componente del pool antimafia Leonardo Guarnotta e l’ex procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Aliquò; tra gli alti ufficiali dei carabinieri la difesa ha chiesto di ascoltare l'ex comandante generale Nicola Viesti, il generale Bruno Ganzer, il colonnello Giuseppe De Donno, così come l'ex capitano “Ultimo” Sergio De Caprio. Dal canto suo Di Matteo ha ribadito la richiesta della Procura di acquisire tra l’altro gli estratti dell’agenda di Bruno Contrada con riferimento ai suoi incontri con il generale Antonio Subranni e Calogero Mannino, così come i verbali della vedova di Paolo Borsellino, Agnese. Il pm ha rinnovato la richiesta di acquisizione delle trascrizioni dibattimentali del processo Mannino relativamente alle deposizioni di Antonio Subranni, Riccardo Guazzelli, Bruno Contrada e Calogero Mannino con riferimento ai rapporti di quest’ultimo con il generale Subranni al quale lo stesso Mannino avrebbe confidato le minacce di morte ricevute in quel periodo del ’92 mai denunciate all’autorità giudiziaria. Di Matteo ha chiesto ugualmente l’acquisizione dell’articolo di Repubblica del 20 aprile del 2006 intitolato “Il figlio di Riina: Provenzano è uno sbirro”. L’obiettivo della procura di Palermo è quello di trovare i riscontri alla ricostruzione del controverso episodio delle invettive di Giovanni Riina all’ingresso di Provenzano nel carcere di Terni. La falsa notizia sarebbe stata fornita a Massimo Ciancimino dal famigerato signor “Carlo-Franco”. Dietro a quella informazione si poteva celare il tentativo di far spostare Bernardo Provenzano dal carcere di Terni verso altre strutture possibilmente più “aperte”, magari con qualche “ospite” di Cosa Nostra da far incontrare a ‘zu Binnu. Dubbi e interrogativi che attendono ancora risposte. E che si vanno ad incastonare all’interno di una trattativa tutta ancora da scrivere.

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