Trentotto anni fa il 26enne venne assassinato davanti casa per aver denunciato i connubi mafia-politica e le infiltrazioni dei clan sulla ricostruzione di Irpinia
La sera del 23 settembre 1985 cadeva, sotto la furia camorrista, il giovane Giancarlo Siani. Giancarlo aveva 26 anni ed era una promessa del giornalismo, una penna acuta e coraggiosa di Napoli prestata al quotidiano “Il Mattino”. Alla sua giovanissima età, tra il 1979 e il 1985, aveva già pubblicato 651 articoli, molti dei quali relativi a fatti di camorra.
Giancarlo si occupava anche di lavoro, di giovani, diritti negati, malaffare, corruzione e pacifismo. Del resto trascorse la sua infanzia nel pieno del “Sessantotto”, quegli anni incredibili di movimenti di massa sbocciati come reazione al dominio delle establishment mondiali. Siani era attratto dalle tematiche dell’emarginazione, del disagio e del degrado, terreno fertile della camorra da cui questa ricava ancora oggi manovalanza e consensi. Questo spaccato si avvertiva soprattutto a Torre Annunziata dove aveva deciso di trasferire la propria residenza, abbandonando i comfort della famiglia. Siani aveva capito che era a Torre Annunziata, dove venne nominato corrispondente del quotidiano per cui lavorava, che si stavano tessendo le nuove reti e gli equilibri dei clan. Quindi iniziò a collaborare con l’Osservatorio sulla camorra, fondato proprio in quegli anni dal sociologo Amato Lamberti. E da mente brillante qual era aveva individuato alcune connivenze con la politica e le istituzioni. Argomento che il corrispondente de Il Mattino trattò sempre con grandissima lucidità e professionalità. Fu proprio una delle sue inchieste sul connubio politica-mafia a piazzarlo nel mirino delle famiglie mafiose del posto. Una in particolare, i Gionta, che cominciarono a pensare, insieme agli alleati del clan Nuvoletta di Marano, che questo giovane aveva superato la linea della tolleranza.
Siani, in particolare, occupò più volte di Valentino Gionta, il capo mafia di Torre Annunziata.
“Un vero e proprio impero finanziario costruito in pochi anni: Valentino Gionta, boss della Nuova Famiglia’, era riuscito a fare di Torre Annunziata il centro di tutti i suoi affari di camorra. Una città con circa sessantamila abitanti, un apparato produttivo in crisi... Un ottimo terreno per reclutare disoccupati e trasformarli in killers. Ma anche una grande occasione per controllare tutti i flussi finanziari in città”, scriveva il giovane. Non solo cronaca nera e omicidi di mafia. A metà anni ’80 Siani stava indagando sulla ricostruzione seguita al terremoto di Irpinia grazie alla quale la camorra riuscì a diventare grande e sul grande business degli appalti che aveva gonfiato le tasche dei politici, imprenditori e soprattutto camorristi. Ufficialmente a condannarlo a morte, come affermava Adriana Maestro, presidentessa dell’Associazione Culturale Giancarlo Siani, fu un articolo di “quattromila battute pubblicate sul Mattino del 10 giugno 1985, in cui Siani avanzava l’ipotesi che l’arresto di Valentino Gionta fosse il prezzo pagato dai Nuvoletta per evitare una guerra con il clan di Bardellino. Quell’articolo fu la goccia che fece traboccare il vaso: i clan non potevano più tollerare che un cronista alle prime armi rivelasse i loro patti, denunciasse i loro rapporti con il mondo della politica e si permettesse persino di farli passare per infami. La soluzione era lì, nero su bianco, ma non si ebbero né il coraggio né l’umiltà di vederla”. Siani venne ucciso per questo affronto.
La sera del 23 settembre si trovava a bordo della sua inconfondibile Citroën Méhari verde con la cappotta di tela nera. Stava tornando a casa, in via Vincenzo Romaniello, nel quartiere napoletano dell’Arenella. Intorno alle 20.50, ai piedi dell’uscio di casa, dieci colpi esplosi da due Beretta 7.65 lo raggiunsero alla testa. I due sicari si dileguarono poi in moto. Un delitto in pieno stile mafioso.
La ricerca di verità e giustizia
Come ricorda Libera, dodici anni di processi e le dichiarazioni di tre pentiti hanno portato alla verità giudiziaria: nei piani della camorra, Giancarlo doveva morire per la sua attività di denuncia giornalistica, con particolare riferimento al suo interesse sugli appalti pubblici per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto dell'Irpinia del 1980 nell’area vesuviana.
Il 15 aprile del 1997 la Corte d'Assise di Napoli ha condannato all'ergastolo come mandanti dell'omicidio i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta, Luigi Baccante e lo stesso Valentino Gionta. Come esecutori materiali vengono individuati Ciro Cappuccio e Armando Del Core.
La sentenza è stata poi confermata dalla Corte di Cassazione, che però ha disposto per Gionta la celebrazione di un altro processo in Corte di Assise di Appello, da cui il 29 settembre del 2003, il boss è uscito con una nuova condanna. Il giudizio della Cassazione lo ha però definitivamente scagionato per non aver commesso il fatto.
Nel 2014, sulla scorta di particolari inediti contenuti in alcuni libri - inchiesta, l’allora coordinatore della Direzione antimafia della Procura di Napoli (oggi capo della procura nazionale antimafia), Giovanni Melillo, ha riaperto le indagini sull'omicidio Siani.
Ad ogni modo tuttora restano alcuni punti interrogativi sul movente effettivo dell’omicidio. Non bisogna dimenticarsi che il giorno prima dell’omicidio, il giornalista aveva chiamato Lamberti chiedendogli un incontro per parlargli di cose “che è meglio dire a voce”. Di cosa volesse parlargli non è dato sapere, ma è noto che Siani stava lavorando a un libro su Torre Annunziata di cui conservava bozze mai più ritrovate che dovevano avrebbero trasformarsi nella sua opera editoriale. “Ho un sacco di foto bellissime e di notizie che nessuno ha pubblicato, solo che non abbiamo trovato i soldi per stamparlo”, disse a un’amica.
Trentotto anni dopo
Trentotto anni dopo, gli articoli di Siani appaiono purtroppo ancora attualissimi per i loro contenuti. Il sistema clientelare non è cambiato, le infiltrazioni delle mafie negli appalti e nelle opere di ricostruzione post-sisma (al tempo ad Irpinia oggi a L’Aquila o ad Amatrice) persistono e la provincia di Napoli è ancora schiacciata dalla violenza dei clan di camorra.Sulla storia di Siani nel 2009 venne girato il film “Fortapasc”, una delle opere cinematografiche sulla mafia mai realizzate. Diretto da Marco Risi il film, uscito nel 2009, è ispirato al cortometraggio Mehari realizzato 10 anni prima da Gianfranco De Rosa che è poi diventato produttore del film. Il protagonista, Siani, è interpretato da Libero De Rienzo giovane attore morto nel luglio del 2021 a seguito di un arresto cardiorespiratorio per intossicazione acuta da eroina.
Il film ricevette 3 candidature ai David di Donatello e 6 ai Nastri d'Argento, vincendo il Globo d'oro come miglior regista, incassando però solo 703 mila euro. “Fortapasc” è stato girato direttamente in diversi quartieri di Napoli, il film è stato dedicato alla memoria di Dino Risi morto una settimana dopo l'avvio delle riprese. Il titolo deriva da una storpiatura del termine Forte Apache, modo con cui Siani descrisse Torre Annunziata, assediata dalla camorra e dai politici collusi con i clan.
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