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"La condotta ascritta ai due imputati è inserita nel contesto di criminalità organizzata proprio della cosca di cui Bidognetti era capo (del clan dei Casalesi, ndr). La minaccia e l'intimidazione rivolta platealmente contro i due giornalisti fu espressione di una precisa strategia ideata dallo stesso capomafia, il cui interesse era quello di agevolare ed alimentare il potere di controllo sul territorio esercitato dal clan e di rafforzarne il potere. Pertanto il tribunale ritiene provato il dolo specifico di agevolazione dell'attività dell'associazione mafiosa da parte dei due imputati".
E' questa la considerazione dei giudici della quarta sezione penale del tribunale di Roma nelle motivazioni della sentenza dello scorso 24 maggio con cui, riconoscendo il reato di minacce aggravate dal metodo mafioso, hanno condannato a un anno e sei mesi il boss Francesco Bidognetti e a un anno e due mesi l'avvocato Michele Santonastaso per le minacce rivolte in aula durante il processo di appello 'Spartacus' a Napoli, nel 2008, alla giornalista Rosaria Capacchione e allo scrittore Roberto Saviano. Assolto invece l'altro avvocato Carmine D'Aniello. Per il tribunale "le frasi pronunciate e il contesto in cui furono pronunciate consente senz'altro di ritenere integrato il reato di minaccia avendo le stesse una chiara attitudine a intimorire". Come parte civile sono state presenti nel processo la Federazione Nazionale della Stampa, rappresentata dall'avvocato Giulio Vasaturo, e l'Ordine dei giornalisti della Campania.
Su Instagram, a commento della sentenza, lo stesso Saviano ha pubblicato una sintesi del racconto (ieri integrale sul Corriere della sera) che ripercorre le sensazioni e i pensieri che lo hanno attraversato durante la lettura della sentenza al processo per le minacce dei Casalesi.
"Avevo solo 26 anni quando tutto è accaduto. Cosa facevate voi a 26 anni? Ricordate? Mi prendo un dannato momento per poterlo gridare che avevo solo 26 anni quando mi hanno inscatolato in una blindata, quando tutto si è trasformato in una guerra di posizione. Lo faccio ora che leggo le motivazioni della sentenza che ha condannato il boss Bidognetti e l'avvocato Santonastaso per minacce mafiose". E poi ancora: "La strategia era quella di mettermi a tacere, in qualsiasi modo. Il messaggio fu semplice: se le condanne ai boss verranno confermate, colpiremo chi ci ha 'tormentato' per anni senza mai desistere, Rosaria Capacchione; e colpiremo chi ha acceso la luce e ci ha fatto 'andare in America', come disse il boss Antonio Iovine, e cioè Roberto Saviano. Ma qual era la richiesta? Spostate il processo, rivedete le condanne e noi li risparmiamo. In caso contrario vi abbiamo avvertito. È così che ci si trova stritolati, stretti nella morsa della protezione che, negli anni, mi è stata sbattuta in faccia come fosse un privilegio. Vigliacchi! E ora cosa mi resta? Aver avvelenato la vita di chiunque mi sia stato accanto. Mentre scrivo vedo i carabinieri della mia scorta che in questo istante sono davanti a me, silenziosi... non capiscono oggi qual è il dolore del giorno: se un mio cedimento, la tensione di una lotta o chissà cosa". "Mi chiedo - ha proseguito lo scrittore - quanto deve essere pesato anche a loro vivere blindati con me, sentendo quest'infinito cachinno addosso ma con la necessità di dover presidiare ogni spazio. Mentre scrivo mi chiedo perché io stia condividendo questi pensieri con voi... Non so se credere ancora che, dopo 15 anni di reclusione e merda, e fango, e attacchi valga ancora la pena condividere quello che vivo e che provo; non so più nemmeno se per me potrà mai cambiare qualcosa. Quello che ti è stato tolto non torna, inutile pensare che ci sia il tempo di rimediare. Non sono in grado nemmeno di dirmi che ne è valsa la pena perché avevo solo 26 anni e ora, se mi fosse concesso un desiderio, chiederei solo questo: poter camminare libero. Null'altro".

Foto originali © Imagoeconomica

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