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di AMDuemila - Pdf
La crisi economica generata dal Covid a vantaggio delle consorterie camorristiche
Pubblicata la relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia

“In Campania, la criminalità organizzata di tipo mafioso si conferma un fenomeno in continua trasformazione, anche in ragione di un tessuto sociale molto complesso. Ci si trova di fronte non tanto, come potrebbe apparire, a una caotica e più o meno violenta miriade di gruppi in continua contrapposizione, quanto piuttosto a una sovrapposizione controllata e organizzata di livelli criminali: in quello superiore, trovano posto le storiche famiglie con una radicata incidenza nel tessuto sociale, pubblico ed economico; in quello inferiore si collocano gruppi meno strutturati a livello organizzativo e strategico, deputati al controllo delle attività illegali su piccole porzioni di territorio”. A scriverlo è la Direzione investigativa antimafia nell'ultima Relazione semestrale sul fenomeno delle mafie, e in particolare sulla camorra e le organizzazioni mafiose campane. “Storiche organizzazioni camorristiche (come i Mazzarella, Licciardi, Contini, presenti nel capoluogo partenopeo, Mallardo, Moccia, Nuvoletta, Polverino, Orlando, nella provincia, i Casalesi nel casertano) hanno creato, nel tempo, veri e propri apparati imprenditoriali”, continua la relazione della Dia. Apparati, viene spiegato, “capaci di influenzare ampi settori dell’economia, locale e nazionale (giochi, ristorazione, comparto turistico-alberghiero, edilizia, rifiuti), evidenziando una resilienza capace di assorbire i continui colpi dello Stato e di mantenere comunque stabile la propria capacità operativa. Pertanto - si legge - la rilevanza mediatica derivante da numerosi e gravi episodi criminosi (agguati, sparatorie, intimidazioni), verificatisi soprattutto nella città di Napoli, non deve indurre a pensare ad una camorra come a una matrice delinquenziale di basso cabotaggio, a un semplice scontro tra bande rivali prive di caratura criminale. I piccoli aggregati di minore entità - spesso costituiti per la maggior parte da giovani che agiscono con modalità mafiose - alla luce delle recenti valutazioni giudiziarie si possono ritenere come realtà criminali subalterne alle grosse organizzazioni, che conferiscono loro legittimazione e dalle quali dipendono operativamente, svolgendo un mero ruolo esecutivo”. Nel contesto cittadino, i sodalizi più strutturati continuano, così, “ad operare tenendosi prudentemente lontani dai riflettori, traendo beneficio dall’azione criminale dei gruppi minori, cui viene relegato lo spaccio di droga, il racket sui piccoli esercizi commerciali e l’usura”. In questo senso, un significativo riscontro investigativo intervenuto nel semestre “dà conto della regia occulta orchestrata dai clan più strutturati e retrostante alle sparatorie e alle azioni violente poste in essere da giovani apparentemente desiderosi di conquistare spazi nel centro cittadino”.

Camorra e carceri
Gli analisti della Dia hanno evidenziato anche, sulla scorta di indagini, “che non di rado i clan riescono a ricevere, dall’interno degli istituti di pena, le opportune comunicazioni per le strategie criminali da portare avanti”. Sul punto, il Procuratore di Napoli - nel corso della sua audizione presso la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, del 24 ottobre 2019 - affrontando il problema della permeabilità del regime restrittivo carcerario, ha parlato del pericoloso potere che le organizzazioni mafiose continuerebbero a detenere anche all’interno di alcuni istituti, rappresentando “…che le capacità di comunicazione sono costanti e che il carcere riflette le logiche di divisione e di aggregazione delle organizzazioni criminali…”. “L’incisiva azione di controllo della Polizia Penitenziaria ha portato al rinvenimento, in diverse occasioni, di telefoni cellulari in possesso dei detenuti e di sostanze stupefacenti e di farmaci non autorizzati, soprattutto psicofarmaci, utilizzati spesso come merce di scambio”. Un ulteriore elemento di riflessione va rivolto alle richieste pervenute dai capi di alcuni clan che, dal carcere, hanno espresso la volontà di dissociarsi.

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La crisi post-Covid come occasione per fare affari
Dalla relazione semestrale della Dia emerge anche come “la precarietà occupazionale, congenita in alcune aree della Campania, ha sempre rappresentato una leva per le organizzazioni criminali più consolidate, che frequentemente si sono “sostituite” allo Stato, attuando una sorta di “economia parallela”, molto competitiva, che si accredita presso la popolazione come unica fonte certa di reddito. Assicurando protezione e sostegno alle classi sociali più povere e alle imprese in difficoltà, i clan ottengono credito e la disponibilità, al presentarsi dell’esigenza, di poter ricevere sostegno, manovalanza e accessibilità a strutture e a professionalità imprenditoriali”. Tale situazione, però, scrivono gli analisti della Dia, “potrebbe ulteriormente accentuarsi per gli effetti della pandemia dovuta al COVID 19, che ha colpito l’Italia dai primi mesi del 2020, impattando su un sistema economico regionale già sofferente”.
“In Campania, pertanto, le endemiche sacche di povertà e la ridotta possibilità di disporre di liquidità finanziaria potrebbero ulteriormente rafforzare il ruolo delle organizzazioni criminali come welfare alternativo allo Stato e punto di riferimento sociale. A una fascia di popolazione tendenzialmente più povera, secondo i parametri dell’ISTAT, se ne andrebbe ad aggiungere un’altra, che inizia a “percepire” lo stato di povertà cui sta andando incontro”. In tal senso, mettendo “in circolo” gli ingenti capitali accumulati con le tradizionali attività illecite, “i clan potrebbero consolidare nel territorio il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo (da capitalizzare, ad esempio, anche in occasione di future competizioni elettorali), elargendo prestiti di denaro - non necessariamente a tassi usurari - a titolari di attività commerciali di piccole-medie dimensioni, creando i presupposti per fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare, a loro volta, strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti”.
Si tratta, spiega la Dia, “di modelli di mafia capaci sia di rafforzare il vincolo associativo, mediante la ricerca di consenso nelle aree a forte sofferenza economica, sia di stare al passo con le più avanzate strategie d’investimento, predisponendo, in prospettiva, le basi per cogliere anche le opportunità derivanti dalle risorse stanziate per la ripresa economica.
La forte capacità di infiltrare il tessuto economico campano si desume anche dalla lettura dei dati pubblicati dall’“Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”. Essi indicano come, allo stato attuale, nella Regione siano in corso le procedure per la gestione di 2.360 immobili confiscati, mentre altri 2.623 sono già stati destinati. Sono, altresì, in atto “le procedure per la gestione di 570 aziende, mentre 234 sono state già destinate. Si tratta di abitazioni, terreni, imprese edili, strutture ricettive e attività commerciali, concentrati, seguendo un ordine quantitativo decrescente, nelle province di Napoli, Caserta, Salerno, Avellino e Benevento”.

Appalti, uno dei settori maggiormente attenzionati
Secondo gli analisti della Direzioni investigativa antimafia quello degli appalti continua ad essere uno “dei settori maggiormente esposti alle infiltrazioni criminali. Ambito nel quale, di frequente, si saldano condotte illecite di soggetti mafiosi, amministratori e dipendenti degli Enti che bandiscono le gare. Si tratta di un fenomeno delittuoso molto diffuso che trova terreno fertile in fasce imprenditoriali prive di scrupoli che, in talune occasioni, avvalendosi del sostegno di gruppi camorristici per aggiudicarsi le gare, hanno assunto una posizione monopolistica, alterando così la libera concorrenza.” “Non sono mancate, nel semestre, - hanno aggiunto gli analisti - indagini che, pur non avendo riguardato connivenze tra amministratori e criminalità organizzata, hanno portato alla luce gravi condotte delittuose poste in essere da esponenti di vertice dell’amministrazione pubblica locale.

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Affari nel resto d’Italia
Altro spunto di analisi della Dia sulla camorra è quello relativo alle proiezioni dei clan nel resto del Paese, specie nelle regioni settentrionali.
“L’inclinazione dei cartelli criminali campani a creare le condizioni per fare impresa è stata già ampiamente accertata nelle numerose indagini che hanno riguardato le proiezioni dei sodalizi dotati di una solida e radicata struttura organizzativa e capacità di investire disponibilità finanziarie in attività imprenditoriali e commerciali, anche in altre regioni italiane e all’estero (Licciardi, Mallardo, Contini, Mazzarella, Moccia, Polverino, Casalesi, etc.). Il condizionamento del tessuto economico - spiegano - non riguarda più esclusivamente la Campania, poiché la necessità di investire capitali ha comportato la migrazione di “imprenditori” camorristi nelle regioni del centro e nord Italia dove, operando senza i vincoli imposti dalle regole di mercato, alterano la legittima concorrenza, contribuendo a indebolire le imprese legali. Il rapporto che lega gli imprenditori al clan è un rapporto stabile, che assicura ai primi protezione nei confronti di altre organizzazioni criminali e soprattutto la possibilità di aggiudicarsi appalti sfruttando le relazioni dei secondi, non solo in Campania ma anche fuori regione.

Gestione del narcotraffico
Un dato ormai acquisito, si legge sul documento della Dia, oltre all’infiltrazione nel tessuto imprenditoriale, è quello dell’assunzione della tendenza, anche fuori dal proprio contesto territoriale, “di stringere accordi tra loro e con altre organizzazioni criminali italiane e straniere per la gestione di singole attività illecite, quali il traffico di stupefacenti, il riciclaggio o per il controllo di reti imprenditoriali operanti su tutta la Penisola”.
Anche in questo semestre, fanno sapere gli analisti Dia, numerose sono state le operazioni nel settore del traffico degli stupefacenti, un ambito criminale di grande interesse per le associazioni camorristiche, che possono vantare importanti proiezioni anche all’estero. Tendenzialmente, una buona parte dei consistenti quantitativi di droga introdotti dalla camorra è destinata ad essere venduta fuori della Campania, innanzitutto nel Lazio, in Toscana e in Abruzzo.
Le risultanze investigative evidenziano, peraltro, come da anni si sia instaurata una stretta collaborazione con le organizzazioni criminali straniere proprio in tale settore.
I contatti con organizzazioni di altri Stati e le proiezioni all’estero sono risultate funzionali anche a garantire la latitanza degli affiliati, che dai Paesi stranieri possono, nel contempo, curare gli interessi illeciti del sodalizio di appartenenza, stringendo accordi con gruppi criminali locali. Collaborazioni di questo tipo sono state riscontrate, quindi, in Spagna (dove risultano avere basi operative i Polverino e i Nuvoletta di Marano di Napoli e gli Amato-Pagano di Napoli, non a caso detti gli “Spagnoli”), nei Paesi Bassi, in Sud America, in Nord Africa e in Germania. In merito, il 27 agosto 2019 i Carabinieri hanno tratto in arresto, all’aeroporto di Ciampino (RM), proveniente da Norimberga (D), un latitante, broker della droga, appartenente al gruppo Scarpa di Terzigno (Na), collegato al clan GALLO-cavalieri di Torre Annunziata. Evidenze investigative confermano anche una ripresa dell’interesse dei clan per il contrabbando di sigarette”, hanno concluso i funzionari Dia.

PDF Scarica la relazione della Dia: Clicca qui!

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