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di AMDuemila
Il fratello del giornalista: “Solo welfare dello Stato dà benessere”

Era il 23 settembre 1985 quando i killer del clan Nuvoletta, Ciro Cappuccio e Armando Del Core, uccisero il giornalista Giancarlo Siani, che da anni scriveva e raccontava delle infiltrazioni della Camorra negli appalti, ma soprattutto della faida tra la Nuova Camorra Organizzata e la Nuova Famiglia. Per ben 35 anni le famiglie dei sicari hanno ricevuto denaro per sostentarsi non solo dai Nuvoletta, famiglia che vinse la guerra di Camorra negli anni '80, e da sempre confederata con Cosa nostra del vincente capo dei capi Totò Riina, ma anche dai Polverino, il gruppo che ha avuto come capo carismatico il boss Giuseppe, detto 'o barone', prima capozona dei Nuvoletta, poi, quando questi sono stati decimati dagli arresti, loro successore sul territorio, e infine dagli Orlando, imparentati con i Polverino ma anche con i Nuvoletta, e ora eredi di questi. Un fatto che evidenzia la forza e continuità dei rapporti di parentela e la compattezza interna di questi tre clan rispetto le altre compagini della criminalità organizzata campana. La vicenda è venuta a galla dalla maxi inchiesta dei carabinieri di Napoli eseguita ieri che attraversa la storia della criminalità organizzata di Marano e dei comuni limitrofi dai primi anni 2000 ai giorni nostri, condensata in 660 pagine firmate dal gip Maria Laura Ciollaro che ha disposto l'arresto per i vertici dei Polverino, tra cui il reggente Vincenzo Polverino, figlio del barone, Antonio Nuvoletta, gestore della cassa del clan, Michele Marchesano cognato di Giuseppe Polverino e mente delle attività imprenditoriali della cosca dal 2009 fino ad oggi.
I due killer che uccisero il giornalista napoletano non sono stati colpiti da alcuna misura cautelare, però, sono protagonisti di molte pagine dell’ordinanza. Infatti, i due prendono dai tre clan dalla Camorra una quota mensile di cui ancora oggi la cifra resta ignota.
I carabinieri hanno intercettato i colloqui di Cappuccio e Del Core nei penitenziari dove si trovano, Saluzzo e a Rossano. Come è emerso dalle indagini anche Antonio Nuvoletta parlava di loro in colloqui con la madre e la moglie, chiedendo loro se li hanno visti. Cappuccio e Del Core si tengono costantemente informati sulle evoluzioni della camorra maranese. In un colloquio di Ciro Cappuccio con la moglie e i tre figli del 2 agosto 2014, gli inquirenti apprendono che il figlio Salvatore vuole mettere su una attività che richiede camion e che chiederà aiuto al "cugino"; la conversazione porterà gli inquirenti a identificarlo con il boss latitante Antonio Orlando. Cappuccio viene a sapere anche dell'ammanco di un milione di euro dalle puntate per un acquisto di droga dalla Spagna finito male. Per il giudice delle indagini preliminari Salvatore Cappuccio "ha un ruolo in seno al gruppo criminale degli Orlando, oltre a percepire somme di denaro dalla citata organizzazione criminale corrisposte per la detenzione del padre".
Del Core, nel corso di un colloquio del 26 novembre 2014, si informa con i familiari della perquisizione che i carabinieri hanno fatto a casa sua il giorno prima, nella quale è stata sequestrata una lettera. La moglie lo rassicura dicendo che c'erano scritti solo saluti e argomenti di natura familiare, poi è costretta ad ammettere che c'era anche un riferimento a faccende economiche. Lui cerca di giustificare tutto "affermando che si trattava di un nipote che lavora e che mensilmente corrispondeva loro piccole somme di denaro e che quella doveva essere la risposta che la moglie avrebbe dovuto fornire nel caso le fosse stato chiesto dai magistrati". Secondo il Gip, Del Core era "preoccupato del fatto che gli aiuti economici di cui beneficia la sua famiglia potessero essere ricondotti al sostentamento ricevuto delle organizzazioni criminali e negava più volte a gran voce una simile evenienza all'evidente scopo di attribuirne maggiore credibilità alle risposte che sarebbero tutti stati eventualmente chiamati a fornire in sede di interrogatorio”. La versione che si affannava a sostenere nel corso del colloquio risulta in contraddizione con il tenore di vita della sua famiglia, con il figlio ad esempio che gli racconta di una vacanza nelle Canarie. La "natura artefatta" delle argomentazioni è "palesata da alcune espressioni del detenuto che esortava in maniera stentata il figlio a trovare una occupazione lavorativa salvo poi avvertirlo della presenza delle telecamere che registrano l'incontro". "Se fai quello che ti dice papà - diceva il killer - non te ne troverai pentito, ma se cominci a fare di testa tua non ti troverai...Vai sullo studio di quel ragioniere... 'ha detto papà' gentilmente siccome che stiamo un po' stretti... la famiglia ...un po' di fatica io voglio lavorare e basta'... Tu non vai lì a cercare l'aria, tu lì vai a cercare la fatica. E' normale se quello vuol darti 20 euro al giorno, 10 euro al giorno dici 'Vedi tu'. Però io penso che quello ti tratti bene le giornate la paga sindacale... però ci devi andare... dici ragioniere 'papà' vi manda i saluti'... Nicola qua sentono tutte cose".
A commentare le vicende emerse dall’inchiesta è stato il fratello del giornalista assassinato, Paolo Siani, in un video messaggio. "Mentre lo Stato sta in questi giorni provando ad affrontare e risolvere la più grande crisi economica, sociale e sanitaria del nostro Paese, - ha detto - con grandi investimenti economici, scopriamo che esiste un altro sistema, il welfare criminale, che riesce per ben 35 anni ad assicurare un sostegno alle famiglie di killer in carcere con la pena dell'ergastolo". E poi ha aggiunto il deputato: "Questo dimostra che la lotta alle mafie non basta lasciarla ai magistrati, alle forze dell'ordine, non bastano le manette e gli arresti. C’è bisogno di un grande intervento sociale sul territorio. C’è bisogno di ridare opportunità e speranza a queste famiglie, perché il vero welfare che da benessere ai cittadini è quello dello Stato. Non certo quello criminale. La battaglia secondo me si vince solo su questo terreno".
Secondo il magistrato Armando D'Alterio, che assicurò alla giustizia i killer e i mandanti dell'omicidio di Giancarlo Siani, in un’intervista quest’oggi al quotidiano “Il Mattino”, “i finanziamenti alle famiglie dei malavitosi in carcere servono a rafforzare l'omertà, proprio quell'omertà interna ai clan che Siani aveva attaccato con le sue coraggiose inchieste”. Per il pm il finanziamento dei detenuti e delle loro famiglie da parte di pregiudicati liberi “è un fenomeno storico del crimine organizzato campano e nazionale a partire sin dai primi maxi processi per i clan di mafia e di camorra, svoltisi a Palermo e Napoli, dagli anni '80, fino ai giorni nostri. Seguire le tracce del denaro a favore dei detenuti ha consentito di cogliere importanti elementi di collegamento criminale tra il soggetto o l'entità finanziante e il finanziato detenuto o i suoi parenti. - ha concluso - Le erogazioni economiche di cui sia accertata provenienza e natura criminale, possono costituire l'effetto della persistenza del vincolo associativo nonostante la detenzione, nonché la causa di un ulteriore rafforzamento del vincolo stesso, cui è essenziale il mantenimento della consegna del silenzio, costantemente comprata nel tempo. La consegna del silenzio, l'omertà è oggetto del patto fondativo del reato di associazione mafiosa".

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