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di Emiliano Federico Caruso
Ferdinando Varlese e Consiglia Marigliano, rispettivamente Amministratore e prestanome della Tecnodem srl di Napoli, sono stati arrestati in seguito alle indagini partite dall'interdittiva antimafia di maggio scorso nei confronti dell'azienda, che aveva in subappalto la demolizione di quel che rimane del Ponte Morandi. Al momento sono in corso altre perquisizioni e sequestri preventivi tra Napoli e Genova.
Nel capoluogo ligure la DIA ha eseguito oggi, alla guida del colonnello Mario Mettifogo, due ordinanze di custodia cautelare nei confronti di Ferdinando Varlese (domiciliato in via Lamarmora, a Rapallo, e ora in carcere) e Consiglia Marigliano (domiciliata in via Procida, a Napoli, ora ai domiciliari).
A indagare sui legami tra gli arrestati e la criminalità organizzata è stato il Sostituto procuratore della DDA di Genova Federico Manotti, in un'inchiesta svolta in parallelo con quella che ha già portato all'interdittiva antimafia per Tecnodem, emessa dal Prefetto di Genova, Fiamma Spena.
Ma partiamo da Ferdinando Varlese. 65enne con un curriculum criminale che include varie sentenze per lesioni, furto e contrabbando, nel 1986 viene condannato dalla Corte d'appello di Napoli per associazione a delinquere nel corso di un processo che, tra i vari imputati, aveva anche alcuni affiliati del clan Sarno-Mizzo-Mazzarella, vicinissimo alla Nuova Famiglia di Ciro Mazzarella e Michele Zaza, già referente dei corleonesi dopo la rottura con i Marsigliesi.
Varlese è anche ritenuto vicinissimo al clan D'Amico, molto attivo nei quartieri napoletani del rione Pazzigno, Teduccio e san Giovanni (dove, guarda caso, troviamo anche la sede dell'azienda di Varlese) con estorsioni, traffico di armi e, soprattutto, di droga, per la quale facevano riferimento al clan Lo Russo, egemone del quartiere Miano.
Ma quello tra Varlese e D'Amico non è solo un legame di affari: tre suoi nipoti sono infatti considerati elementi importanti del noto clan. Con uno di loro, tra l'altro, Ferdinando Varlese venne condannato nel 2004 in primo grado a tre anni e tre mesi per tentata estorsione. Due anni dopo si prese poi un'altra condanna in secondo grado per tentata estorsione con aggravante mafiosa, dalla quale vennero fuori i suoi legami con il clan D'Amico.
Proprietario, insieme ai suoi figli, della Varlese s.r.l., nell'ottobre 2014 ha fatto confluire tutte le acquisizioni e i rami dell'azienda nella Eurodemolizione s.r.l., sempre sua. In un gioco di scatole cinesi finito male, Varlese a novembre del 2018 fece poi inglobare queste due aziende nella Tecnodem s.r.l., attiva nel settore delle demolizioni di materiali di ferro, inserendovi anche la consuocera Consiglia Marigliano (la cui figlia è sposata a uno dei figli di Varlese) e intestandole il 100% delle quote aziendali, nel tentativo di nascondere i legami con la Camorra.
Persona totalmente sprovvista di qualsiasi qualifica professionale, la Marigliano si rivela comunque abbastanza spregiudicata da poter fare da prestanome al giro di passaggi di società messo su da Varlese per aggirare le verifiche antimafia nei suoi confronti. Tra l'altro le tre imprese, Varlese s.r.l., Eurodemolizioni e Tacnodem, avevano sempre tra i soci e gli amministratori delle persone legate in vari modi, anche di parentela, al fondatore Ferdinando.
Arriviamo al 14 agosto del 2018, quando crolla il Ponte Morandi seppellendo 43 persone. Tra le 92 aziende che in quasi un anno hanno lavorato al cantiere di demolizione, grazie all'interesse diretto di Varlese (che sembra abbia usato lo stesso metodo anche per partecipare alla dismissione della centrale nucleare di Caorso) ci finisce anche la Tecnodem, che si aggiudica un subappalto di 100 mila euro dalla F.lli Omini S.p.a, capofila tra le aziende dell'Ati (Associazione temporanea di imprese, ndr) messa su dalla struttura commissariale per demolire i tronconi di cemento e ferro che sostengono quel che rimane del ponte Morandi.
Quando un'azienda entra nell'appalto del ponte Morandi, nel contratto deve firmare anche una clausola che comporta un'immediata decadenza in caso di interdittiva antimafia. Nonostante la Tecnodem sembri avere tutte le carte in regola per partecipare alla demolizione del ponte, salta fuori che l'azienda è effettivamente gestita da un pluripregiudicato in vari processi di Camorra, e viene quindi estromessa dalla partecipazione agli appalti. Varlese fa comunque in tempo a entrare due volte in cantiere, l'11 e il 12 aprile scorsi, superando i tornelli di controllo con un lasciapassare di visitatore, pur risultando ufficialmente un dipendente della Tecnodem.
La stessa Ati dei demolitori confermerà poi che l'azienda "...prima dell'inizio dei lavori aveva presentato alla committenza tutta la documentazione richiesta e prevista ai fini delle verifiche antimafia per ottenere il permesso al subappalto delle relative attività. Ottenuta l'autorizzazione, soggetta a successiva verifica da parte della Prefettura, sono stati consentiti gli ingressi in cantiere", quelli, appunto, dell'11 e 12 aprile.
Varlese, si scoprirà poi, ha anche tentato di fondare una nuova società fittizia nella quale far confluire "Baracca e burattini" delle varie Varlese s.r.l., Eurodemolizioni e Tecnodem, sempre con lo scopo di tornare ad avere qualche fetta delle torta di appalti del Ponte Morandi, intorno ai quali, ha poi ricordato il colonnello Mario Mettifogo, "...ballano cifre consistenti e quindi è evidente che ci sia un interesse da parte della criminalità organizzata".
Tra l'altro, la Procura aveva anche avviato una serie di controlli per stabilire se Varlese avesse fatto pressioni alla F.lli Omini per ottenere il subappalto. Dall'inchiesta, poi archiviata, non sono però emerse estorsioni di nessun tipo e l'esclusione della Tecnodem, come ha precisato lo stesso sindaco di Genova, Marco Bucci, non ha causato nessun rallentamento ai lavori di demolizione dei pilastri del ponte Morandi.

Foto © Imagoeconomica

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