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di Mattia Fossati
La guerra fredda per il controllo del Litorale di Jesolo

Dai soldati di Felice Maniero ai pischelli di Casal di Principe. Il Litorale veneto, quello spicchio di terreno che collega Caorle a Jesolo, è sempre stato al centro delle attenzioni delle mafie, che sia la mala del Brenta o la Camorra. Quando il Veneto apparteneva a Faccia d’angelo, le città di San Donà ed Eraclea era sotto il controllo del boss Silvano Maritan. Ora, come la nuova inchiesta della Dda di Venezia ha certificato, nuovi padrini hanno preso il posto del vecchio capo della mala. Forse, però, come alcuni cronisti hanno ipotizzato, non siamo di fronte ad una sostituzione di un boss quanto ad un patto tra il nuovo e il vecchio padrone per spartirsi il territorio.
Riavvolgiamo le lancette agli anni Ottanta, quando Felice Maniero, all’epoca giovanissimo capo del gruppo dei bravi ragazzi della Riviera del Brenta, decide di affidare il controllo del traffico di stupefacenti nella zona di San Donà al boss Silvano Maritan, suo fidato alleato.
Maritan, come impongono le regole della mala del Piovese, si rifornisce di droga solo da Felice Maniero però riesce, grazie a i suoi nebulosi rapporti con il clan Guida, ad importare cocaina direttamente da Napoli e in questo modo l’organizzazione di Faccia d’angelo ottiene un altro importante contatto per la propria rete criminale.
Il boss di San Donà stringe i rapporti anche con Domenico “Mimmo” Celardo, camorrista trapiantato ad inizio degli anni Ottanta nel Litorale, il quale fa presto a mettersi in affari con lo stesso Maritan. Non sono le uniche figure dell’alta borghesia mafiosa che Maritan ha presentato alla malavita del Brenta. Segnala, ad esempio, la commissione parlamentare antimafia nel 1994, che il boss di San Donà “aveva coltivato vincoli di amicizia con il noto mafioso Salvatore Contorno (spedito in soggiorno obbligato in un paesino sulla Riviera)”, capodecina di Cosa Nostra legato al boss della Cupola Stefano Bontate. Nel 1991, Maritan finisce in carcere dopo essere stato trovato in possesso di un chilo di cocaina. Tre anni più tardi, Maniero inizia a collaborare e la mala del Brenta, come noi la conosciamo, si dissolve a seguito delle rivelazioni del padrino di Campolongo maggiore.
Nel 2006, dopo quasi vent’anni di detenzione a seguito delle condanne rimediate (tra cui quella per il triplice omicidio Rizzi) nel processo scaturito dal pentimento di Felicetto, l’ex capo del gruppo dei sandonatesi viene scarcerato ma non passa molto tempo prima che si rimetta in attività. Assieme ad alcuni reduci della vecchia mala, il boss Maritan riorganizza una banda per il controllo del traffico di stupefacenti nel Litorale di Jesolo. Secondo fonti di polizia, si sarebbe formato un gruppo capace di importare cocaina direttamente dal Sudamerica, come ai tempi di Felice Maniero.
Qualcosa, però, non torna. Diverse fonti investigative segnalano che il 17 aprile 2007 Maritan, assieme al braccio destro Luca Fregonese e a Domenico “Mimmo” Celardo si sarebbe recato a Napoli per incontrare Raffaele Sperandeo e Massimo Gallo, presunti affiliati al clan dei Casalesi principali gestori della droga venduta nell’area di Torre Annunziata. Un contatto che, sospettano gli investigatori, sarebbe stato favorito da Antonio “Marietto” Pandolfo, l’ex braccio destro di Faccia d’angelo.
All’epoca, gli investigatori sospettarono che il presunto incontro si sarebbe svolto poiché il gruppo di Maritan stava cercando un possibile fornitore di stupefacente. Trattativa che sarebbe poi saltata a causa del prezzo troppo alto praticato dai due camorristi. Con il nuovo arresto dell’ex boss della mala veneta (novembre 2008), il business della cocaina sarebbe passato in mano - in funzione di semplice luogotenente - al nipote, Luciano detto Cianetto, il quale ha di fatto rimesso in piedi un'altra banda per riorganizzare lo spaccio di stupefacente nel sandonatese, sgominata poi nel 2015. Il legame con i camorristi, però, non si sarebbero interrotti, come dimostrano i contatti tra Cianetto Maritan e il figlio di Mimmo Celardo, Raffaele (anch’egli arrestato nella maxi inchiesta della Dda di Venezia). Oggi, alla luce della nuova inchiesta, sorgono nuovi dubbi sulla possibilità che vi sia stato un patto di spartizione dei vari settori criminali nel Litorale tra il clan di Maritan e la Camorra affaristica di Luciano Donadio. I Casalesi avrebbero ottenuto il beneplacito per l’ingresso a Eraclea e a San Donà (occupandosi in primis di usura ed estorsione) e in cambio l’ex boss della mala veneta avrebbe mantenuto la possibilità di trafficare in droga nel Litorale. Non vi sono prove del do ut des però è un’ipotesi che potrebbe dare spiegazioni a molti tratti oscuri della vicenda, tra cui alcuni colloqui che sono intercorsi tra Silvano Maritan e il boss dei camorristi Donadio.

Contatti che, come rivelano le carte dell’inchiesta, avrebbe mantenuto anche il nipote dell’ex boss di San Donà. Pare che il 5 novembre 2015 Cianetto (all’epoca era agli arresti domiciliari) abbia telefonato a Donadio per risolvere “un problemino”. Uno degli uomini dell’imprenditore di Casal di Principe avrebbe ricevuto in prestito 400 euro proprio da Maritan, il quale pretende la restituzione dei soldi. “Prima che gli mando uno a tirargli le orecchie, per rispetto ti chiamo a te, Luciano” - chiarisce Cianetto in un’intercettazione.
Il dato interessante, che getta nuove ombre sul rapporto tra il clan Maritan e i Casalesi, è costituito proprio dalle tempistiche dell’arrivo dei pischelli campani in Veneto.
Donadio e Buonanno, i presunti nuovi padrini del Litorale, si insediano alla fine anni Novanta, quando ormai la mala del Brenta era giunta all’ultimo respiro. Stazionano lì anche quando Silvano Maritan, uscito dal carcere, si reinserisce nel business della cocaina. Ma non esplode alcuna guerra per il controllo del territorio. Non dimentichiamoci che lo stesso “Mimmo” Celardo, molto vicino al boss di San Donà, “ha mantenuto stretti rapporti con il sodalizio del Donadio”. I nuovi sviluppi dell’indagine della Dda di Venezia, derivanti anche grazie alle rivelazioni del pentito Umberto Manfredi (genero di Silvano Maritan), testimoniano che i camorristi di Eraclea avrebbero preteso “un aggio”, cioè una sorta di pizzo, ai gruppi criminali operanti nel sandonatese dediti al narcotraffico. Se anche il gruppo di Maritan avesse dovuto versare questa tangente ai camorristi, non ci è dato sapere.
Poche sono le certe in questa vicenda, eccetto una: sebbene i clan Maritan e Donadio abbiano stazionato nella stessa zona per oltre vent’anni, non hanno mai cozzato uno contro l’altro. Come dire, quanto più sono delineati i confini delle attività dei due gruppi, meno problemi ci saranno per tutti. Non sappiamo se alla base di tutto ciò vi sia un patto per non pestarsi i piedi, un dato però resta fermo: la Camorra, come ai tempi di Felicetto, è tornata in Veneto. Questa volta da protagonista assoluta.

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