di AMDuemila
Per l'ex coordinatore campano di Forza Italia il pm Alessandro Milita aveva chiesto 16 anni
L'ex sottosegretario parlamentare e coordinatore regionale del Pdl Nicola Cosentino è stato condannato a nove anni di carcere e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso esterno in associazione camorristica. E' questa la decisione dei giudici della prima sezione collegio C del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere al termine del processo Eco 4. L'assoluzione c'è stata solo per un capo d’imputazione residuale, ovvero quello riguardante lo scambio di assegni e titoli di credito tra esponenti del clan e impresa di famiglia, la Aversana Petroli. La sentenza è arrivata al termine di un processo particolarmente lungo, iniziato il 10 marzo 2011.
Il pm Milita lo scorso 13 ottobre, al termine della requisitoria, aveva chiesto per l’ex sottosegretario la condanna a 16 anni. “E' il processo più grave che c'è oggi in Italia. Nicola Cosentino era legato ai Casalesi da un saldo accordo politico-mafioso che, come si evince dal racconto dei collaboratori di giustizia, risaliva al padre e che permane ancora. È facile fare carriera così, fare i soldi così, ma si finisce in carcere. Spero che termini qui e con la condanna richiesta la storia della famiglia Cosentino e spero che questo processo serva a non creare più emulazioni perché è facile fare soldi e carriera in questo modo, ma poi si finisce inevitabilmente in carcere – ha detto il pm in aula – questo processo sia da esempio affinché non accadano più certe cose”. Tra Cosentino e il clan dei Casalesi per l’accusa c’era un patto, uno scambio politico mafioso “che ha origine con il padre per poi essere tramandato al figlio”. L'ordinanza di arresto nei confronti di Cosentino, fu firmata il 7 novembre 2009 dall'allora gip di Napoli Raffaele Piccirillo. L'arresto era stato respinto dalla Camera fino al 15 marzo 2013 quando Cosentino, dopo essersi dimesso da coordinatore campano del Pdl in Campania, si è costituito presso il carcere di Secondigliano. Il 5 agosto 2014, al termine del mandato parlamentare, non si è sottratto all'arresto. A dare il via all'inchiesta giudiziaria sono state le parole del collaboratore di giustizia Gaetano Vassallo, il ministro dei rifiuti del clan Bidognetti. Questi aveva dichiarato di essersi incontrato con Cosentino nell'abitazione di quest'ultimo (ha persino descritto le stanze della casa agli inquirenti) per discutere di un suo ruolo in una società controllata dalla Eco 4, la società dei rifiuti del casertano con a capo Sergio e Michele Orsi, imprenditori vicini al clan dei Casalesi, nonchè società operativa del Consorzio Ce4 con a capo Giuseppe Valente, diventato poi nel corso del dibattimento uno dei principali teste della procura.
La risposta di Cosentino a Vassallo sarebbe stata negativa (tra le altre cose avrebbe anche detto "L’Eco 4 è una mia creatura, la Eco 4 song’io”) in quanto in quel momento gli interessi economici dei clan si erano spostati a Santa Maria la Fossa dove a comandare era il clan degli Schiavone, che avevano estromesso i soldati di Bidognetti.
Secondo l'accusa, Cosentino sarebbe stato sin dal 1980 e fino al 2014 il referente politico-istituzionale dei clan casalesi, dai quali avrebbe ricevuto sostegno elettorale e capacità di intimidazione e ai quali avrebbe offerto la possibilità di partecipare ai proventi delle assunzioni e degli appalti del ciclo dei rifiuti.
L'ex politico di Forza Italia avrebbe poi cercato di costruire un vero e proprio ciclo dei rifiuti alternativo e concorrenziale a quello ufficiale gestito da Fibe-Fisia-Impregilo attraverso il contratto stipulato con il commissariato per l’emergenza, ovvero attraverso l’Impregeco. Per il pm, Cosentino da un lato aveva un progetto, quello di realizzare il ciclo integrato dei rifiuti nel Casertano, e per questo con loro e con la Impregeco mette in atto un piano. Dall’altro, sfruttava il suo ruolo e le sue relazioni per favorire la camorra in cambio di voti.
Tra gli affari di interesse contestati dall'accusa gli sversamenti illeciti, la costruzione dell'inceneritore di Santa Maria la Fossa che Cosentino avrebbe finto di osteggiare per favorire invece un altro progetto, ed il presunto controllo assoluto delle assunzioni e degli incarichi all'interno della Eco4.
Tra i testimoni del processo vi sono stati, oltre a Vassallo, anche altri nomi di spicco del clan dei Casalesi, oggi pentiti di camorra. Tra questi l’ex reggente del clan Bidognetti Luigi Guida, Anna Carrino, Franco Di Bona, e alcuni tra i leader della politica campana, tra cui l’ex Governatore della Campania Antonio Bassolino. A salire sul pretorio vi sono stati anche il suo ex braccio destro Massimo Paolucci, l’ex parlamentare Lorenzo Diana, l’ex ministro dell’Ambiente Altero Matteoli.
Circa un'ora prima della lettura della sentenza Cosentino ha lasciato l'aula per tornare nell'abitazione di Venafro (Isernia) dove si trova agli arresti domiciliari. "E' una sentenza che non mi convince. La valuteremo. Sono convinto che Cosentino non abbia commesso il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, aspettiamo le motivazioni", ha detto l'avvocato Agostino De Caro, uno dei difensori dell'ex sottosegretario. Per il pm Alessandro Milita, la sentenza "rende merito al grande lavoro della Dda, sia dei colleghi attualmente in servizio sia da quelli che iniziarono l'inchiesta". Ed ai cronisti che gli hanno chiesto se la sentenza gettasse un'ombra sulla politica casertana ha risposto: "E' riduttivo dire un'ombra". In serata è arrivato anche il tweet di Roberto Saviano, che già guarda oltre: "Ora che Cosentino è stato condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione camorristica dobbiamo chiederci chi ha preso il suo posto".