Ventidue anni dopo il ricordo del parroco ucciso dalla Camorra
di Aaron Pettinari
Ventidue anni sono passati da quando don Peppe Diana, sacerdote in prima linea a Casal di Principe, è stato ucciso dalla Camorra. Erano le 7,30 del 19 marzo 1994 e don Peppe si stava apprestando a celebrare la Messa nella chiesa di San Nicola di Bari, a Casal di Principe (diocesi di Aversa e provincia di Caserta). I killer hanno deciso di colpire nel corridoio che dalla sacrestia porta alla chiesa mentre stava per iniziare la Santa Messa. Era l'unico modo per togliergli la parola. Quella parola che stava portando un cambiamento all'interno della società, soprattutto tra i giovani.
Perché il parroco, con le sue omelie, denunciava le connivenze con la Camorra, spingeva a rifiutare la convivenza con l'intera organizzazione criminale. Ed è per questo che è stato definitivamente zittito.
Le sue non erano prediche generiche o esortazioni buone per ogni cerimonia, ma ragionamenti ricchi di esempi, di nomi e di cognomi, di denunce etiche e politiche.
Come don Puglisi, in Sicilia, lavorava dal basso e scavava negli animi dei ragazzi, dimostrando che c'era anche una parte di Chiesa che non era disposta a piegarsi. Perché quello era anche il tempo dove vi erano preti che benedicevano le feste della camorra, che negavano l'esistenza delle mafie, che frequentavano corrotti e collusi.
Da allora tante cose sono cambiate. Nel nome di don Diana, il 19 marzo a Casal di Principe, studenti, volontari, rappresentanti istituzionali, cittadini si ritroveranno a Casa don Diana per fare memoria.
Quella di oggi sarà una giornata ricca. Il primo appuntamento è alle ore 7,30 nella chiesa San Nicola di Bari la celebrazione della Messa, presieduta dal vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo.
Alle ore 10, dall’Istituto Tecnico Commerciale Guido Carli, partirà il corteo che arriverà in via Urano, nel bene intitolato Casa don Diana dove lo scorso anno si è tenuta la prestigiosa mostra “La luce vince l’ombra - gli Uffizi a Casal di Principe”; qui saranno presenti Pierfrancesco Diliberto in arte Pif, vincitore nel 2015 del Premio Nazionale don Diana - Per amore del mio popolo, che presenterà l’app NOma-museo urbano NOmafia, ideata per custodire la memoria dei luoghi e delle persone, la giornalista messicana Daniela Rea Gomez, e don Luigi Ciotti presidente di Libera.
Verrà inaugurata la mostra “Non invano” e presentato il progetto del “Museo della Resistenza” per testimoniare la lotta per il riscatto di terre, un tempo di camorra, e adesso conosciute come le “Terre di don Diana”.
Per onorare al meglio la sua memoria non si può non ricordare la sua “predica” più famosa, “Per amore del mio popolo non tacerò”, il documento letto in tutte le chiese di Casal di Principe il 25 dicembre del 1991. In quel giorno il prete anticamorra rimarcava come il disfacimento delle istituzioni civili avesse consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. “La Camorra - diceva - riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche é caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi”. E poi ancora: “La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini”. Don Diana era anche critico rispetto alle carenze della Chiesa e rimarcava: “L’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una 'ministerialità' di liberazione, di promozione umana e di servizio”. Un testo intenso, unico, che proponiamo nella sua interezza.
“Per amore del mio popolo non tacerò”
di don Peppe Diana
Siamo preoccupati. Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere ‘segno di contraddizione’. Coscienti che come chiesa ‘dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà’.
La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.
È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti.
Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23); Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5). Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza.
Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe”. Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa. Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26). Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.