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di Emiliano Federico Caruso
I comandi provinciali della Questura di Roma e della Guardia di finanza hanno eseguito nella mattinata di ieri sette arresti nei confronti di altrettanti affiliati al noto clan camorristico dei Moccia. I provvedimenti di custodia cautelare, accompagnati da un sequestro di beni per un milione di euro, sono il culmine di un intensa collaborazione tra la Squadra mobile della Polizia di Stato, la Questura di Roma, il nucleo della Polizia tributaria di Roma e il G.I.C.O. (Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata). Come ogni storia di indagini, mafie e arresti, anche questa non è nata dal nulla, ma da un omicidio avvenuto quasi quattro anni fa.

Nettuno, piazza Garibaldi, 23 luglio del 2012, in una giornata calda come se ne ricordano molte di quell’anno, in pieno giorno si sentono almeno cinque colpi di pistola che lasciano morto a terra un uomo di circa 45 anni. Non è un uomo qualsiasi: si tratta di Modesto “O’Micillo” Pellino, nientemeno che il luogotenente dei Moccia, un clan camorristico che opera da decenni nei territori del Casertano e del Napoletano su due livelli: quello superiore di lusso, fatto di appalti truccati, edilizia e colletti bianchi, e quello inferiore di bassa manovalanza, fatto di spaccio di droga ed estorsioni. Pellino, dunque, è praticamente il ras del quartiere, uno dei più pericolosi, incaricato di gestire la parte operativa, per così dire,  del clan Moccia. Oltre che a Nettuno, O’Micillo controlla anche i comuni di Crispano, Frattamaggiore, Frattaminore, Caivano, Cardito. Carpitello e vanta un curriculum criminale talmente ricco da farlo considerare in passato uno dei 100 latitanti più pericolosi d’Italia fino alla sua cattura avvenuta il 20 aprile del 2010.

Ormai diventato un sorvegliato speciale sottoposto a obbligo di dimora a Nettuno, O’Micillo ha ancora un certo peso criminale nella zona, e quel pomeriggio del 23 luglio esce improvvisamente di casa senza documenti. Forse ha un appuntamento urgente, forse addirittura un regolamento di conti, fatto sta che non riesce nemmeno ad attraversare vivo piazza Garibaldi. Per questo omicidio, oltre a tre pregiudicati arrestati a fine novembre 2013, verrà accusato Raffaele Dell’Annunziata, latitante fino al suo arresto a febbraio del 2015 e ritenuto un affiliato del clan Ciccarelli.

Ma intanto l’omicidio di Pellino ha aperto una pista che porta fino a Roma, una traccia che porterà gli inquirenti a indagare nella Capitale in un sottobosco fatto di trasferimento fraudolento di valori, estorsioni, appalti, edilizia e illecita concorrenza nei confronti di imprenditori e commercianti del settore agroalimentare. Perché se c’è un settore in cui il clan Moccia, che si distingue per la sua spiccata abilità di penetrazione negli ambienti politici e imprenditoriali, risulta piuttosto attivo è proprio quello delle aziende di frutta e verdura, oltre a quello altrettanto redditizio delle strutture alberghiere.

Un giro d’affari illeciti di quelli pesanti, messo su da Luigi Moccia, considerato tra i vertici del clan camorristico, insieme a Gennaro Moccia, titolare della “Moccia Fruit” che dal 2010 si occupava soprattutto di influenzare gli affari dei mercati ortofrutticoli e caseari di Roma a favore del clan, nascondendo il tutto dietro una fitta rete di prestanome. Il potere di Luigi Moccia, già condannato nel 2004 per l’omicidio di Sergio Oliviero e Salvatore Natale (sentenza poi annullata per un vizio di forma) si era ormai talmente esteso da raggiungere molti ristoranti e mercati del centro storico della Capitale oltre a varie strutture alberghiere (sequestrate a giungo del 2013 e confiscate l’anno successivo), permettendogli anche di prendere personalmente ogni decisione riguardo a rifornimenti, personale, strutture, società ed estensione delle attività sia in Italia che all’estero (progettava persino di estendere il giro ortofrutticolo illecito fino a Barcellona).

Insomma, non si muoveva foglia nel settore ortofrutticolo/caseario senza che Luigi Moccia venisse a saperlo, mantenendo sempre quell’aria da rispettabile imprenditore, di uno che ragionava sempre in termini di appalti, contratti, investimenti, forniture e quasi permetteva che si parlasse con le pistole e la violenza come molti altri camorristi. Quasi, appunto: nel novembre del 2013 Gennaro Moccia aggredì con violenza un imprenditore concorrente nel Centro agroalimentare di Roma, in quella che sembrava una perfetta intimidazione camorristica.

Dopo questa lunga indagine chiamata, non a caso, “Poseidone-Passion Fruit”, che ha visto impegnati 160 elementi della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, sono finiti agli arresti il boss Luigi Moccia, il suo braccio destro Gennaro Moccia, un altro Gennaro Moccia di vent’anni più giovane, Carminantonio Capasso e Maria Maranta, mentre sono stati messi ai domiciliari Riccardo Nardella, considerato uno dei prestanome del clan, e Nicola Castaldo.
Un sodalizio, quello tra Luigi e Gennaro Moccia, talmente ben collaudato che a quest’ultimo venne persino intercettata l’emblematica affermazione “A Roma Moccia Fruit, a Napoli Moccia Camorra”.

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