di Pietro Nardiello
Le infiltrazioni mafiose nella politica possono avvenire in qualsiasi momento. Le stesse, poi, possono manifestarsi con molteplici azioni. La penetrazione della criminalità organizzata, spesso, pare sia diventata incontrollabile mentre l’asticella di sciasciana memoria non solo ha superato i confini nazionali ma si è trasformata in liquido. Nessun confine geografico o di azione sembra più contenere le mafie. Quando poi scoppia un nuovo bubbone la maggioranza dei cittadini sembra rassegnata, sembra subire passivamente il nuovo arresto semplificando con il solito “tanto sono tutti uguali”. La classe politica è spesso vittima o complice, rappresentante o addirittura comporre una sola entità con le mafie. Dalla politica ancora ci attendiamo gesti concreti e non azioni di eroismo, come sosteneva il giudice Falcone, dal singolo cittadino. Il segreto dell’urna rappresenta il momento del possibile cambiamento, certo, ma poi solo l’azione amministrativa quotidiana può sugellare la vera inversione della rotta. Anche colui che è trasparente può essere vittima di tentativi di corruzione, essere individuato come l’anello debole sul quale fare pressioni. Solo una politica unitaria e di azioni concrete potrà impedire tutto questo. Nella primavera prossima tanti comuni si appresteranno a vivere una nuova tornata elettorale, ed in provincia di Caserta, terra nota per essere quella di don Peppe Diana e del clan camorristico dei casalesi alcuni comuni dovranno rinnovare il proprio consiglio di amministrazione. Noi puntiamo la lente su S.Maria C.V., quarantamila abitanti circa, la città che sorge sulle fondamenta di quella che fu l’Antica Capua palcoscenico della rivolta contro Roma guidata dal gladiatore Spartaco. La città dispone di un patrimonio artistico e archeologico di un valore inestimabile, ma conosciuto poco dai flussi turistici che contano. Di pari passo la città è piombata in una crisi economica senza fine, che costringe gran parte delle nuove generazioni a cercare fortuna altrove o, nella migliore delle ipotesi, ad accontentarsi di qualche elemosina dell’amministrazione di turno. Già, la politica. La cattiva politica che su questo territorio ha spartito prebende, incassato tangenti, diviso appalti e venduto posti di lavoro. La stessa classe dirigente che da circa vent’anni non riutilizza i beni confiscati ai sensi della legge nr 109 del 1996 e assegnati al patrimonio indisponibile del comune. Incapacità? Tutt’altro. Qui si tratta di manifesta volontà a non riutilizzarli. Si tratta di Palazzo Teti, una dimora storica del 1839 composta da 55 vani e da un giardino di oltre 6.500 metri quadrati oltre ad altri 4 appartamenti tutti confiscati alla famiglia Di Muro, nello specifico a Nicola, vice sindaco democristiano della città per oltre vent’anni, e al figlio Biagio sindaco uscente di un’amministrazione attualmente commissariata. Per quanto riguarda lo storico Palazzo Teti, che fu anche dimora di Garibaldi, dopo circa quindici anni dalla confisca l’amministrazione comunale è riuscita a presentare un progetto di ristrutturazione e, guarda caso, proprio durante la guida di Biagio Di Muro si sarebbero dovuti avviare i lavori finanziati con tre milioni di euro dal PON sicurezza. Ma proprio l’estate scorsa, a lavori ancora fermi, la DDA di Napoli è intervenuta perché si ipotizza che l’aggiudicazione dei lavori sarebbe avvenuta grazie agli “stretti rapporti di natura corruttiva” stabiliti con funzionari “collusi” dell’amministrazione, tra i quali viene indicato anche il sindaco uscente Biagio Maria Di Muro. Ma solo nel nostro Paese si accettano casi strani del genere: cioè che a decidere il destino dei beni confiscati siano proprio coloro a cui sono stati sottratti. Altro che semplice commissariamento perché la maggioranza ha rimesso il proprio mandato con un atto notarile, qui è tempo che si faccia chiarezza con commissioni di accesso del Ministero degli Interni prima di giungere alla nuova tornata elettorale della primavera prossima. Elezioni che in tanti attendono con frenesia, ma a queste latitudini per dare un taglio definitivo con il passato e con la politica delle connivenze e della contiguità, la nuova amministrazione dovrà risolvere la ristagnante situazione del mancato riutilizzo dei beni confiscati. Qualsiasi altro risultato sarebbe equiparato ad una sconfitta e a una vittoria, l’ennesima, per chi sostiene logiche figlie di un pensiero mafioso.
A S. MARIA C.V. non si riutilizzano i beni confiscati
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