di Emiliano Federico Caruso - 2 luglio 2015
Questa notte, dopo una latitanza durata meno di un mese, è stato ucciso con un colpo di pistola Emanuele Sibillo, giovane boss del clan che da tempo controlla il territorio di Forcella, quartiere del centro storico di Napoli. Ma l’omicidio di Emanuele, forse un regolamento tra clan, è solo l’ultimo capitolo di una vicenda ben più ampia.
Questa, infatti, è una storia di mafia, di estorsioni e di omicidi, come purtroppo ce ne sono ancora tante a Napoli. Una storia violenta di clan che si spartiscono i quartieri della città come branchi di lupi che controllano un territorio, come quello di Forcella. Il quartiere è praticamente in mano al clan dei Sibillo, che intrattiene un solido cartello con i fratelli Brunetti e gli Amirante per il controllo del traffico di droga ed estorsioni nel triangolo tra Castel Capuano, Forcella e la Maddalena. I Sibillo sono in particolare in stretti rapporti con un clan conosciuto come i Nuovi Giuliano, o i Giuliano Junior, terza generazione del noto clan di Forcella, famoso già negli anni ’70 per il controllo su contrabbando di sigarette, spaccio di droga ed estorsioni.
In questa storia c’è un nome che si fa notare in particolare: Emanuele Sibillo, un ragazzo di appena 19 anni, ma si dice che già a 17 anni si mettesse tranquillamente seduto a colloquio con vertici camorristici di ben altro calibro, e ora si fa notare come spietato boss di una banda chiamata la paranza dei bambini, i cui esponenti hanno un’età tra i 16 e i 24 anni e si dedicano a estorsioni e spaccio di droga. A dispetto del nomignolo, questi bambini diventano subito temuti e rispettati, per la violenza e la tenacia con cui mantengono il potere nel quartiere guidati da uno spietato Emanuele, che vede il suo potere aumentare grazie anche al sodalizio con altri pericolosi clan della Camorra.
Ma ogni gloria criminale, anche la più organizzata, ha una sua fine: la mattina del 9 giugno, nonostante l’omertà degli abitanti del quartiere, la coordinazione tra la Dda e la Procura della Repubblica presso il tribunale dei minori permette l’arresto di 64 esponenti dei vari clan Brunetti, Amirante, Giuliano e Sibillo. Le accuse vanno dall’omicidio, tentato omicidio (spararono a un immigrato indiano solo per testare una pistola) associazione a delinquere di tipo mafioso, fino a traffico di droga, detenzione abusiva di armi, ed estorsione (pretendevano 500 euro al mese dai parcheggiatori abusivi). Tre esponenti in particolare vengono accusati dell’omicidio di Maurizio Lutricuo, ucciso in una discoteca di Pozzuoli perché si rifiutò di offrire una sigaretta a uno del clan.
La paranza dei bambini, che già era finita in un’inchiesta dei pm Francesco De Falco e Henry John Woodcock, viene così smantellata, ma non completamente: Emanuele, infatti, riesce a fuggire insieme al fratello Pasquale, detto «Lino» (ancora considerato tra i maggiori ricercati). Emanuele inizia così una breve latitanza, durante la quale Napoli viene coinvolta in altre storie di mafia, come quella della sparatoria che la notte tra il 28 e il 29 giugno coinvolge tre minorenni in circostanze non ancora chiarite, o come quella dei colpi di arma da fuoco sparati verso un appartamento situato al primo piano di un palazzo. Entrambi gli episodi avvengono in via Oronzio Costa, nel quartiere di San Lorenzo, ed è proprio da questa via che riprende la nostra storia di mafia, la storia del latitante Emanuele Sibillo.
Sono da poco passate le due di notte in via Oronzio Costa, la notte tra mercoledì e giovedì 2 luglio (poche ore fa, nel momento in cui scriviamo). Gli abitanti di via Costa sentono degli spari, alla violenza ci sono purtroppo abituati, ma quegli spari sono tanti: 13 colpi, forse un altro regolamento di conti tra i clan che si contendono il controllo dei territori di Napoli. Poco dopo davanti al pronto soccorso dell’ospedale Loreto Mare viene ritrovato il corpo di un giovane, ucciso con un colpo di pistola alle spalle che gli ha perforato un polmone. Ci vuole poco a capire di chi sia quel corpo: è del 19enne Emanuele Sibillo, proprio lui, il boss della paranza dei bambini. Le dinamiche, sin da subito, sono poco chiare, e notte fonda e non ci sono nemmeno testimoni, ma gli investigatori trovano i 13 bossoli in via Oronzio Costa, che risultano sparati da tre pistole diverse e, messi in relazione al ritrovamento del cadavere di Sibillo avvenuto poco dopo la sparatoria, farebbero pensare a una vendetta tra clan, nel quadro della rivalità tra i Mazzarella e i Giuliano-Sibillo. Una storia di mafia, quindi, di violenza ed estorsione, di camorristi giovanissimi, di droga e omicidi, l’ultimo tassello di una storia che non è ancora giunta alla fine. L’omicidio di Emanuele, infatti, è di quelli importanti, che fanno scalpore nell’ambiente e vengono definiti eccellenti, e che gli investigatori temono possa portare a una scalata di violenza tra i clan che si dividono il controllo delle zone di Forcella, San Lorenzo, Maddalena e Castel Capuano.