Nessuna rivelazione clamorosa su omicidi e rapporti con la politica, la Procura partenopea interrompe la collaborazione
Francesco Schiavone, noto capoclan dei Casalesi, è stato sottoposto nuovamente al regime di carcere duro, il 41 bis. La Procura di Napoli ha deciso di revocare il suo programma di protezione perché le informazioni fornite dal boss di Camorra non sono state considerate utili ai fini delle indagini. La notizia della collaborazione di Schiavone, soprannominato “Sandokan” per la sua somiglianza con l'attore Kabir Bedi, che ha interpretato la “tigre della Malesia”, è arrivata lo scorso marzo e ha fin da subito suscitato un grande interesse. D'altronde, le aspettative erano molto elevate. Dalla sua collaborazione con la giustizia ci si aspettava di conoscere nuovi dettagli sui casi di lupara bianca rimasti irrisolti, sui legami tra Camorra e politica, ma anche sulla morte del fondatore del clan dei Casalesi, Antonio Bardellino, ucciso nel maggio del 1988 in Brasile. Tuttavia, da Schiavone, durante questi novanta giorni di collaborazione con la giustizia, sarebbero emerse soltanto reticenze e contraddizioni. Da qui la decisione dei pm antimafia, coordinati dal procuratore Nicola Gratteri, di presentare un'istanza al ministero della Giustizia, il quale ha disposto nuovamente il 41 bis per il boss.
L'inefficacia della collaborazione di “Sandokan” con la giustizia, caratterizzata da silenzi, reticenze e informazioni già verificate, potrebbe essere collegata ai recenti avvenimenti di natura camorristica che si sono verificati a Casal di Principe. Questi eventi sono probabilmente dovuti alla mancanza di una leadership criminale consolidata, oltre che a vicende e contrasti familiari, in particolare con il figlio del boss Schiavone, Emanuele Libero Schiavone. Recentemente, il figlio del boss è finito in prigione per possesso di armi e per aver organizzato una rappresaglia dopo che diversi colpi di arma da fuoco sono stati esplosi contro la sua abitazione e quella di Francesco Reccia. Infatti, insieme a Reccia, Libero Schiavone ha tentato di riorganizzare la cosca mafiosa.
La frattura familiare - ha reso noto il “Domani” - è emersa a seguito di un'intercettazione avvenuta in carcere durante un colloquio tra il boss e suo figlio Emanuele. Durante la conversazione, Francesco Schiavone confida al figlio di aver iniziato a collaborare con le autorità, motivo per il quale gli consiglia di lasciare Casal di Principe. Ma il boss riceve come risposta un rifiuto categorico: “Devi far ridere i San Ciprianesi - ha risposto il figlio - dobbiamo far ridere tutti”. La discussione si intensifica, finché Emanuele Libero Schiavone decide di terminare la conversazione con un’ultima frase: “Ci porti sulla coscienza a me e tuo figlio Ivanhoe (l’altro figlio non pentito, ndr)”.
Dunque, la collaborazione tra “Sandokan” e la giustizia potrebbe essere terminata in un nulla di fatto a causa delle preoccupazioni che il boss nutre per la sua famiglia? È difficile dirlo con certezza. Ciò che è certo è che, ora, dopo 26 anni di carcere, “Sandokan” torna al regime di carcere duro. Schiavone, infatti, è stato arrestato nel 1998 e condannato all'ergastolo nel maxi-processo Spartacus per diversi omicidi. Prima di lui, avevano deciso di pentirsi il figlio primogenito Nicola nel 2018, seguito dal secondo figlio Walter nel 2021. Restano in carcere gli altri figli: Emanuele Libero, che uscirà di prigione il prossimo agosto, e Carmine.
Foto © Imagoeconomica
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