Le dichiarazioni in aula del collaboratore di giustizia Ficarra
Il magistrato Roberto Placido Di Palma (in foto), attuale capo della Procura della Repubblica dei Minori di Reggio Calabria, precedentemente Sostituto procuratore della Dda, era finito nel mirino della temibile cosca di 'Ndrangheta dei Mole' di Gioia Tauro. A svelarlo oggi dinanzi al Tribunale di Palmi, il collaboratore di Giustizia Domenico Ficarra, imputato nel processo 'Nuova narcos europea', scaturito dall'omonima operazione del novembre del 2021 che portò all'arresto di 36 persone, tra cui elementi di primo piano delle cosche di Gioia Tauro e Rosarno, con interessi criminali estesi anche a Milano e Firenze. I Molè - secondo quanto ha riferito oggi Ficarra, che è stato condannato in primo grado a quattro anni e quattro mesi di reclusione - avrebbero pensato a una ritorsione contro il magistrato a seguito di un diverbio in aula con Mommo Mole', padre di Rocco, condannato in primo grado a 20 anni di reclusione. Mommo Mole' si era lamentato pubblicamente contro Di Palma.
"Vi piace vincere facile – aveva affermato il boss in aula durante l’udienza del suo processo – Sempre con noi ce l’avete, vi volete fare pubblicità sulle nostre spalle". Affermazione prontamente rintuzzata dall'ex sostituto procuratore distrettuale, il quale aveva risposto: "Noi la trattiamo per quello che è, signor Molè. Un mafioso. E trattiamo i suoi figli per quello che sono, mafiosi. Noi facciamo indagini e il nostro scopo non è certo farci pubblicità o acquisire notorietà. Se fosse vero, considerato che l’arresto ogni due mesi, dovrei essere procuratore nazionale e invece sono un semplice pubblico ministero. Lei, invece, signor Molè, non è nessuno. Come vede, qui non ci sono giornalisti, non ci sono telecamere perché lei, signor Molè, non conta più niente".
Frasi queste che avrebbero provocato il disappunto di Rocco Molè il quale, stando al racconto del pentito Ficarra, reagì minacciando il pm davanti agli altri affiliati della cosca. «Adesso ti faccio vedere io chi sono i Molè» sarebbero state le parole del rampollo di ‘Ndrangheta.
Un’intenzione, quella della cosca Molè che, fortunatamente, non ha avuto un seguito e che, per la prima volta, è diventata pubblica durante un processo.
