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A Reggio Calabria sono stati condannati come mandanti i boss Graviano e Filippone. Le cosche aderirono al progetto stragista di Cosa nostra per piegare lo Stato

Sono trascorsi 30 anni dall'omicidio di Antonio Fava e Vincenzo Garofalo, gli appuntati scelti dei carabinieri uccisi allo svincolo autostradale di Scilla in un attentato della ‘Ndrangheta.
Era il 18 gennaio 1994, Antonino Fava, 36 anni, di Taurianova (Reggio Calabria) e Vincenzo Garofalo, 31 anni, di Scicli (Ragusa) viaggiavano su un’Alfa 75 del Radiomobile di Palmi. Proprio da Palmi erano partiti con la Gazzella per svolgere un controllo sull'autostrada. All'altezza dell'uscita per Scilla, in prossimità del km 420 dell'A2 Salerno - Reggio Calabria, si videro affiancare da un'auto sospetta, riuscirono a segnalarla, ma non a sfuggire, un attimo più tardi, ai colpi di mitragliatrice M12, finendo sul guard-rail. Gli autori materiali del delitto furono due giovanissimi killer di ‘Ndrangheta: Consolato Villani, poi divenuto collaboratore di giustizia, e Giuseppe Calabrò. Entrambi condannati in via definitiva.
L’agguato rientrava all’interno del patto stipulato da Cosa nostra e ‘Ndrangheta. Un patto che vedeva quest’ultima aderire al piano stragista dei corleonesi per piegare lo Stato a suon di bombe e attentati.
Il progetto terroristico-eversivo sposato dalla mafia calabrese ebbe il suo esordio il 2 dicembre 1993, alcuni mesi dopo che Cosa nostra piazzò le bombe nelle chiese di Roma, e si concluse con un nulla di fatto dopo che i sicari non riuscirono a colpire i bersagli. Quindi il secondo del 18 gennaio 1994 contro gli appuntati Fava e Garofalo. L’ultima azione si tenne il 1° febbraio 1994, quando i militari Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra vennero investiti dai proiettili durante il controllo di un'autovettura. Entrambi riuscirono per fortuna a salvarsi nonostante le gravi ferite. Il piano, disegnato con il sangue dei carabinieri, doveva avere il suo apice nemmeno una settimana dopo quest’ultimo agguato, con l’attentato dinamitardo organizzato da Cosa nostra all’esterno dello Stadio Olimpico di Roma durante la partita di Serie A Roma-Udinese. L’obiettivo era il presidio di carabinieri presenti in Viale dei Gladiatori. Ne sarebbero potuti morire a decine ma l’esplosivo, mischiato a biglie di ferro, e inserito in una Lancia “Thema” non si azionò per un malfunzionamento del telecomando. I boss siciliani avrebbero potuto ripeterlo in altre occasioni, ma il piano, misteriosamente, venne fatto archiviare.


filippone graviano

Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano


L’inchiesta “‘Ndrangheta stragista”

Sull’attentato mortale del 18 gennaio ’94, nel luglio 2017 la Dda di Reggio Calabria arrestò il boss di Melicucco, Rocco Santo Filippone, che all’epoca del duplice omicidio era a capo del mandamento tirrenico della 'Ndrangheta, e il boss stragista di Cosa nostra Giuseppe Graviano. L’accusa: essere i mandanti dell’attentato. Contro di loro, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo imbastì un processo, giornalisticamente battezzato “’Ndrangheta stragista”, poi suggellato da due condanne all'ergastolo per entrambi gli imputati. L’ultima sentenza è stata pronunciata lo scorso 25 marzo dalla corte d’Appello di Reggio Calabria. Il presidente Bruno Muscolo Campagna ha accolto le valutazioni del procuratore aggiunto, applicato al processo come procuratore generale, e del sostituto procuratore Walter Ignazitto.
"Gli attentati contro i carabinieri in Calabria - ha affermato Lombardo nella sua requisitoria - non vanno letti ciascuno in maniera singola ed isolata, ma vanno inseriti in un contesto di più ampio respiro e di carattere nazionale nell'ambito di un progetto criminale attraverso la sinergia, la collaborazione e l'intesa di organizzazioni criminali, che avevano come obiettivo l'attuazione di un piano di destabilizzazione del Paese anche con modalità terroristiche".
Per gli inquirenti, infatti, la morte di Fava e Garofalo e il ferimento dei loro colleghi, sono "tasselli di un unico inquietante piano: un attacco ai rappresentanti dello Stato per sovvertire l'ordine repubblicano, preludio alle cosiddette stragi continentali a Firenze, Roma e Milano". Durante il processo la procura - anche per il calibro delle deposizioni dei testimoni auditi tra pentiti di primo rilievo, ufficiali di pg, faccendieri, ex terroristi, massoni e persino ex ambasciatori - ha dovuto addentrarsi tra le pieghe più fitte della storia della Prima Repubblica nelle quali compariva lo zampino della ‘Ndrangheta. Dal progetto delle Leghe Meridionali, alle manovre di Licio Gelli al Sud, passando per il contributo del terrorismo nero nei progetti del gotha di ‘Ndrangheta, fino ad arrivare al presunto incontro che vi sarebbe stato nel 1978 tra i capibastone, Bettino Craxi e l’allora imprenditore Silvio Berlusconi. E poi ancora, la presenza dei servizi segreti e infine l’adesione al piano terroristico di Cosa nostra al quale parteciparono le cosche più potenti: i Piromalli, di Gioia Tauro, i Pesce, di Rosarno, i Mancuso, di Limbadi.
I pentiti hanno raccontato di almeno tre incontri avvenuti in Calabria tra i 'corleonesi' e i rappresentanti della ‘Ndrangheta: il primo, e forse il più importante, nell'estate del 1992, avvenuto in una struttura turistica del Vibonese, terra dominata dai Mancuso; gli altri due, a Oppido Mamertina, nella Piana di Gioia Tauro. In quegli incontri i 'corleonesi' convinsero i vertici dei clan calabresi a serrare i ranghi nell'attacco alle istituzioni. E' il prodromo di quelle azioni "per rompere le corna allo Stato" deliberate da Totò Riina, dopo gli esiti del maxi processo.
Fu il pentito Gaspare Spatuzza, al tempo fedelissimo di Giuseppe Graviano, a confermare che "furono i calabresi ad aprire le danze", e che Graviano gli disse che "dovevamo fare la nostra parte perché i calabresi si sono mossi uccidendo due carabinieri e anche noi dovevamo dare il nostro contributo. Il nostro compito - confermò Spatuzza - era abbattere i carabinieri, almeno 100-150”.


processo appello ndrangheta stragista

Una delle udienze del processo d'Apello 'Ndrangheta stragista


Le commemorazioni

I carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria, alla presenza delle autorità civili, militari e giudiziarie assieme ai familiari delle vittime, hanno ricordato ieri i loro colleghi caduti nell'attentato. La commemorazione ha avuto inizio a Palmi, nella cattedrale, con la messa in suffragio dei militari caduti, officiata dal cappellano militare, don Aldo Ripepi, per poi proseguire, con la deposizione di una corona d'alloro, nell'area di sosta dell'autostrada prima dell'uscita di Scilla, dove fu perpetrato l'attentato e dove oggi si trova il monumento alla memoria dei 2 Carabinieri. "I militari e i familiari - spiega una nota - non hanno mancato, anche quest'anno, di far sentire la loro presenza, a testimonianza dell'inscindibile vincolo che lega nel tempo i militari in servizio, i commilitoni caduti nell'adempimento del dovere e le famiglie che hanno perso i loro cari".
Inoltre, ieri la caserma dei Carabinieri di Donnalucata è stata intitolata all'appuntato Vincenzo Garofalo, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria, in occasione della ricorrenza del 30°simo anniversario della sua uccisione. In una lapide all'interno della caserma è stata incisa la motivazione del riconoscimento all'appuntato Garofalo: "Conduttore di autoradio di nucleo radiomobile in area a elevata densità mafiosa, nel corso di predisposto servizio di controllo del territorio, intimava in movimento l'alt ad autovettura sospetta. Fatto segno a reiterata azione di fuoco da parte dei malviventi che non arrestavano la marcia, li affrontava con insigne coraggio e grande determinazione replicando con l'arma in dotazione finché, colpito in più parti del corpo, si accasciava esanime. Le successive indagini consentivano di arrestare gli autori, identificati in cinque pericolosi pregiudicati appartenenti ad agguerrita organizzazione criminosa, e di recuperare le armi e l'autovettura di illecita provenienza, utilizzate dai malfattori. Fulgido esempio di elette virtù militari e di altissimo senso del dovere spinto fino all'estremo sacrificio. Scilla (Reggio Calabria), 18 gennaio 1994".

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