Con l'operazione "Garden" colpiti i clan di Borghetto e Latella
Sono ventisette le misure cautelari, di cui 25 in carcere uno ai domiciliari e uno all’obbligo di firma, che la Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Reggio Calabria ha eseguito stamane nelle Province di Reggio Calabria, Agrigento, Cosenza, Messina, Milano e Roma. L'ordinanza è stata emessa dal Giudice per le indagini preliminari della città calabrese dello Stretto, su richiesta della Procura della Repubblica distrettuale antimafia diretta da Giovanni Bombardieri. Gli indagati interessati dal provvedimento sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco, spaccio e traffico di sostanze stupefacenti, usura. Nel mirino degli inquirenti una cosca storica di 'Ndrangheta e i nuovi equilibri mafiosi a Reggio. Nel mirino le attività criminali di due delle cosche di 'Ndrangheta più potenti di Reggio Calabria: i Borghetto e i Latella, storicamente legate nella seconda guerra di ‘Ndrangheta che insanguinò Reggio Calabria dal 1985 al 1991, al 'cartello' De Stefano, Libri, Tegano, in contrapposizione ai Serraino-Imerti-Condello. L'inchiesta, inoltre, avrebbe posto in evidenza una sorta di riorganizzazione degli equilibri e interessi criminali definiti alla fine del 1991, con una nuova mappa delle influenze territoriali, in particolare per i soggetti oggi indagati, nei quartieri 'Modena-Ciccarello' e le frazioni della Vallata del Valanidi, a sud del centro storico di Reggio Calabria.
La scalata dei boss
C'era una diarchia formata dai fratelli Cosimo e Eugenio 'Gino' Borghetto, rispettivamente, di 69 e 55 anni, cresciuti all'ombra dei defunti boss Domenico e Pasquale Libri, a capo del clan Borghetti-Latella.
I due boss, un tempo subordinati al clan Libri, nel tempo sarebbero riusciti a scalare autonomamente le gerarchie del "Mandamento" di 'Ndrangheta di Reggio Calabria, "rivestendo un ruolo di primo piano negli equilibri mafiosi, attribuendo doti 'ndranghetiste e cariche organizzative agli adepti, e programmando le ripartizioni dei proventi illegali fra il sodalizio e le altre 'famiglie' della città" ed avvalendosi della criminalità Rom, riportano gli investigatori.
Il ruolo dei Rom
L'inchiesta "Garden" della Procura della Repubblica di Reggio Calabria tratteggia anche il nuovo ruolo dei rom negli ambienti criminali e mafiosi reggini. Secondo gli inquirenti, i rom dei quartieri Modena-Ciccarellò e Arghillà avrebbero trovato 'un posto a tavola' nell'organizzazione dello spaccio di stupefacenti, di traffico di armi, estorsioni e usura, una 'divisione del lavoro' criminale che sta interessando da tempo anche altre aree della Calabria, come la Piana di Gioia Tauro, la Sibaritide, il Lametino. "Non si tratta ormai di manovali del crimine - affermano fonti investigative con riferimento ai rom - ma di un'organizzazione autonoma che può contare su decine e decine di persone, soprattutto giovanissimi, che è ormai diventata una pericolosa realtà". Secondo la Dda, l'indagine svela un nuovo e pericolosissimo volto della ‘Ndrangheta che, pur di perseguire i propri lucrosi scopi, ampliare la potenza economica, rafforzare le fila militari e il controllo sul territorio, sarebbe giunta a stringere patti con le comunità nomadi, avvalendosi della stabile collaborazione dei loro più temibili esponenti. Stando a quanto trapela dagli investigatori, i Borghetto-Latella si sarebbero avvalsi delle comunità rom per il compimento delle più efferate attività criminali, come reati in materia di armi, di droga e, alla bisogna, anche di condotte violente. Rispetto al passato quando si parlava di manovalanza della ‘Ndrangheta, adesso ci sarebbe una sorta di "do ut des" che, grazie alla protezione di cosche storiche e potenti, ha consentito alla comunità rom di essere legittimata sul territorio conquistando uno spazio di autonomia e libertà delinquenziale di estrema pericolosità sociale. Nel corso delle indagini, la guardia di finanza ha trovato un vero e proprio arsenale costituito da decine di armi, anche da guerra, tra mitragliette, fucili e pistole, munizioni, nonché di un ordigno estremamente pericoloso.
Durante la conferenza stampa, il procuratore Giovanni Bombardieri ha spiegato che “non bisogna generalizzare con la comunità rom. Si tratta di soggetti proveniente dalla comunità rom che si erano costituiti in gruppi organizzati. È un modo di relazionarsi nuovo della ‘ndrangheta. Finora noi avevamo accertato, anche in via giudiziaria, l’appartenenza di singoli soggetti e provenienti dalla comunità rom in cosche di ndrangheta. Oggi verifichiamo invece un relazionarsi della cosca di ndrangheta con gruppi di criminalità organizzata formati da soggetti provenienti dalla comunità rom che operavano in accordo con le cosche di 'Ndrangheta”.
"Abbiamo trovato un modo nuovo di relazionarsi della criminalità organizzata di stampo 'ndranghetista con gruppi di criminalità provenienti dalla comunità rom" ha detto, aggiungendo: "I fratelli Borghetto - spiega il procuratore - si ponevano all'interno di questo patto federativo con una propria autonomia criminale che riguardava un settore della città di Reggio. Ci sono conversazioni che sono molto frequenti su questo punto e ci sono dichiarazioni di collaboratori su una 'cassa comune' che serviva per il mantenimento e per la tutela di detenuti a prescindere dalla cosca di riferimento". Bombardieri, infine, si sofferma sulle estorsioni ai danni degli imprenditori: "Dalle intercettazioni è emerso che gli indagati discutevano della scelta di alcuni imprenditori di denunciare e sottolineavano la necessità di trovare un modo diverso per entrare in contatto con loro. Questa preoccupazione da parte delle cosche dà riscontro a quello che noi andiamo dicendo, cioè che è importante denunciare perché chi denuncia non è lasciato solo dalle istituzioni". Per il comandante regionale della guardia di finanza, generale Gianluigi D'Alfonso, si tratta di "una bella operazione che documenta la capacità della 'ndrangheta di intessere relazioni", e per il colonnello Mauro Silvari, comandante del Nucleo di polizia economico-finanziaria, l'inchiesta "Garden" dimostra che "non possono esistere aree della città che possano essere considerati 'fortini' dove non vi è un'azione delle forze dell'ordine".