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L’uomo partecipò all’omicidio della testimone di giustizia, simbolo della lotta alla ‘Ndrangheta

Si è suicidato nella tarda serata del 28 giugno, nel carcere di Opera, dove era detenuto, Rosario Curcio.
Il 46enne, originario della provincia di Crotone, è morto dopo il ricovero in terapia intensiva all’ospedale Policlinico. “U patatino”, com'era chiamato, è stato uno dei killer che il 24 novembre del 2009 uccisero la testimone di giustizia e simbolo della lotta alla Ndrangheta Lea Garofalo.

La condanna
Curcio, per l’omicidio, era stato condannato all’ergastolo insieme ai fratelli Vito e Carlo Cosco (quest’ultimo ex compagno della vittima e padre della figlia Denise) e Massimo Sabatino, mentre Carmine Venturino, successivamente divenuto collaboratore di giustizia, sta scontando una condanna a venticinque anni di reclusione.

La partecipazione all’omicidio
Curcio ha partecipato all’omicidio della Garofalo, di cui l’ex compagno voleva vendicarsi. La donna, infatti, divenuta testimone di giustizia, non solo diede importanti informazioni agli inquirenti, ma manifestò al marito la volontà di rompere i rapporti con lui e portare con sé la figlia.
Tuttavia le falle del sistema di protezione permisero a Cosco prima di tentare di rapire Lea, tramite il suo sodale Massimo Sabatino. E poi, dopo la rinuncia della donna alla protezione per via delle condizioni inaccettabili in cui viveva con la figlia, di incontrarla a Milano, a fine novembre 2009.
Da qui il ruolo di Curcio nell’omicidio. La donna venne rapita, poi strangolata e, infine, data alle fiamme. La Corte d’Appello, nella sentenza successivamente confermata dalla Cassazione, ha affermato che è da escludere la partecipazione materiale dell’ex compagno Carlo Cosco, ritenuto il mandante, all’omicidio, che sarebbe stato eseguito dagli altri condannati.

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