Due boss, coinvolti nel processo Rinascita-Scott, elogiavano il capo mafia e chiosavano contro i corleonesi che con le bombe provocarono il 41bis
Un mafioso più manageriale rispetto agli altri, dal profilo basso, con uno spiccato senso dell’affare. Matteo Messina Denaro è “un signore che fa sempre cose buone”. A sostenerlo sono due boss di ‘Ndrangheta coinvolti nel processo Rinascita-Scott. I due ‘ndranghetisti dedicano parole di stima per il boss stragista arrestato lo scorso 16 gennaio. “E’ più simile a noi”, dicono, chiosando contro gli altri siciliani, in particolare i corleonesi, che con il loro strafare, affermano, hanno costretto lo Stato a stringere il 41bis in risposta alle bombe di Capaci e via d’Amelio contro i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. “I siciliani hanno ‘a vucca’, specialmente i palermitani e i catanesi…”, dicevano, intercettati, i due padrini di ‘Ndrangheta nel 2018. “Ma che era cosa uccidere quei giudici? Riina e Provenzano ficiru abusi, abusi chi mancu i cani. Hanno fatto abusi”, commentavano. “Altrimenti il 41 non c’era. Dicevano: abbiamo amici al Senato, e perché non li nomini ora a questi amici del Senato?”.
Messina Denaro, invece, “è buono, fa sempre cose buone”, ribadiscono (anche se il capo mafia diede il consenso per attuare le stragi ai giudici e ora è condannato all’ergastolo in primo grado).
“E’ uguale a come era suo padre (Francesco Messina Denaro, ndr) - dicono ancora i due padrini - che è stato latitante 30 anni e quando è morto lo hanno messo in una bara e glielo hanno portato davanti casa ai familiari. Il figlio è come il padre, fa sempre del bene, si comporta da signore. Per questo lo ascoltano tutti”.
La latitanza in Calabria
Restando sulla ‘Ndrangheta, la procura di Palermo, da un mese al lavoro per ricostruire la rete di favoreggiatore del capo mafia di Castelvetrano, sta indagando sull’ipotesi che Messina Denaro abbia trascorso una parte della sua latitanza anche in Calabria. E’ un ipotesi che regge su elementi concreti, emersi nelle indagini svolte in questi anni sul conto dell’ex primula rossa. Di certo, per esempio, l’accordo tra le Cosa Nostra e ‘Ndrangheta riguardo al narcotraffico. Una la liason rappresentata dal boss stragista. L'intenzione sarebbe stata addirittura quella di diventare "un'unica famiglia" per gli affari in territori del Nord, in particolare in Piemonte. Un collaboratore di giustizia ascoltato dalla procura di Torino nell'ambito del maxiprocesso Carminius-Fenice sulla presenza della criminalità organizzata nella zona di Carmagnola, aveva detto che “nel 2015 Matteo Messina Denaro e altri capi di Cosa Nostra avevano stretto un patto con i capi della ‘Ndrangheta per lavorare insieme e diventare un’unica famiglia”. La stessa Teresa Principato(, ex procuratore Aggiunto di Palermo che per 8 anni si è dedicata a dare la caccia a “u siccu”, aveva detto nel 2016 che “la ‘Ndrangheta ha sostenuto la latitanza di Matteo Messina Denaro. In questo momento il suo business principale è soprattutto il traffico di droga”. Il denominatore comune tra il boss e la ‘Ndrangheta sarebbe proprio la droga. Un business in grado di portare fiumi di soldi liquidi, cioè il tesoro che serviva a mantenere un latitante con un tenore di vita altissimo (si parla di 150 milioni l’anno).
Fonte: Giornale di Sicilia
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