"I soldi arrivavano nei sacchetti neri dal Paraguay, dall’Uruguay"
“Ha capito che doveva andare via… per fare i soldi là! Se no qua… se lo pulivano”. Era il 29 gennaio 2022 quando questa frase venne intercettata a casa di Pietro Corigliano, una delle persone fermate lunedì mattina nell’ambito dell'inchiesta della procura di Catanzaro ha portato in campo anche gli agenti dell'Fbi. Gli investigatori calabresi avevano inoculato un trojan nel cellulare di uno dei partecipanti alla riunione. E, grazie a quell’intercettazione telematica, la Dda di Catanzaro ha segnato in rosso il nome di Antonio Iona, un signore che, nonostante non risulti indagato nell’inchiesta, viene descritto dagli altri indagati come una persona che “avrebbe conseguito – si legge nel provvedimento di fermo – ingenti profitti negli Stati Uniti d’America, grazie al reimpiego di capitali trasferiti dall’Italia, illecitamente, verso quello Stato”. Iona doveva andarsene per fare i soldi “là”, ovvero negli Stati Uniti d’Ameria, più precisamente New York dove la cosca Comito-Corigliano di Rocca di Neto, in provincia di Crotone, avrebbe avuto delle proiezioni sulle quali sta indagando non solo la Procura guidata da Nicola Gratteri anche l’Fbi.
Nella stessa intercettazione si sentono gli indagati che, parlando di Iona, lo definiscono “uno capace”. “È arrivato là ed ha aperto supermercati…”. E ancora: “Dice che quando erano là… i soldi arrivavano nei sacchetti neri dal Paraguay, dall’Uruguay”. La fondatezza di tali affermazioni non emerge dal provvedimento di fermo dove il nome di Iona – come ha sottolineato ieri Lucio Musolino tra le pagine de “Il Fatto Quotidiano” – “compare anche nel verbale del collaboratore di giustizia Francesco Oliverio”, l’ex capolocale di Belvedere Spinello che il 17 agosto scorso ai pm ha detto: “Confermo di avere parlato, nel corso della mia collaborazione, di rapporti tra soggetti di Rocca di Neto e soggetti dimoranti a New York. In particolare, elemento di punta era Iona Antonio che aveva negli anni effettuato attività di riciclaggio. Non so riferire di preciso come avvenisse il meccanismo, ma so per certo che proventi di attività delittuose furono impiegati in quel territorio”.
La Dda di Catanzaro, invece di procedere con il fermo degli indagati, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip perché, a quanto comunicato dalle autorità statunitensi, vi era “l’imminenza di perquisizioni da effettuare nel territorio di New York in cui si darà atto della esistenza di questo fascicolo”. Quidni se la Federal Bureau of Investigation avesse eseguito le perquisizioni prima della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, l’inchiesta calabrese, come ha scritto Musolino, “rischiava di essere compromessa a causa del carteggio intrattenuto con le autorità giudiziarie statunitensi che, dal marzo 2020, stanno indagando sulla ‘ndrangheta di Rocca di Neto e su una serie di presunte estorsioni commesse nell’area di Manhattan”.
Secondo i pm la possibilità che gli indagati si potessero dare alla latitanza volontaria era concreta e “ben illustrato nella informativa del 11 novembre 2022 laddove si evidenziano una serie di elementi che danno conto della progressiva emersione di possibili fughe di notizie circa non meglio indicate operazioni di polizia tali da suscitare apprensione negli indagati”. Timori dovuti a quanto emerso dalle intercettazioni: “Ci dobbiamo guardare… che abbiamo i telefoni sotto controllo”. “A me lo ha detto…”. “E guarda là, ha le microspie nella macchina…”. “Ti ho detto vedi che i telefoni sono sotto controllo…”. Dalle indagini è inoltre emerso che la ‘Ndrangheta di Rocca Di Neto aveva anche una “talpa” tra le forze dell’ordine: “Se non sia mai ti racconta cosa mi ha detto quello della Questura…”. “Mi ha acchiappato da qua a me gli ho detto ‘cambiati le macchine’”, “Tu a me devi dare mille euro”. “Togliti le macchine”. Sul punto la Dda di Catanzaro sta continuando ad indagare.
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