"A Torino è mancata a lungo la consapevolezza della ‘Ndrangheta. Per impreparazione, ritardo culturale, miopia, una sorta di distacco sabaudo (forse anche con un’ombra di razzismo) rispetto a problemi nati al Sud e considerati una sua esclusiva. Sta di fatto che Minotauro e le inchieste successive dovrebbero aver aperto gli occhi. E non è proprio il caso di tornare a chiuderli. Vale anche per coloro i quali dovrebbe essere ancora vivo il ricordo di Enrico Berlinguer che della questione morale aveva fatto una bandiera e un programma". Lo ha detto Gian Carlo Caselli, già procuratore capo di Palermo e Torino, in un'intervista a 'La Stampa' a firma di Giuseppe Legato parlando del caso del consigliere Domenico Garcea, eletto in consiglio comunale a Torino in quota Forza Italia, parente di due boss della ‘Ndrangheta arrestati e condannati che si sono dimostrati concretamente interessati alla campagna elettorale del giovane Garcea - non indagato, ma il cui nome compare in un’inchiesta giudiziaria della Dda di Torino - alle Regionali del luglio 2019. Garcea, già vicesindaco di Torino, è stato nominato nella commissione consiliare legalità che necessariamente dovrà occuparsi anche del contrasto ai fenomeni mafiosi. Caselli - osserva su ‘La Stampa - che "il terreno dell'opportunità politica è scivoloso" e ricorda come "la stella polare dell’articolo 54 della Costituzione" chiarisca come "i titolari di funzioni pubbliche hanno come tutti il dovere di rispettare le leggi". Ai politici, come il giovane Garcea, per Caselli "è richiesto un dovere in più: onore e disciplina con il corollario che occorre coerenza nella fedeltà a questi valori fin dal momento dell’affidamento delle funzioni".
Caselli ha anche evidenziato che c’è “un problema di credibilità: un macigno che non può essere sbriciolato con luoghi comuni ‘sempre verdi’ anche se c’entrano poco o niente nel caso specifico”.
Fonte: lastampa.it
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