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Il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena, rispondendo al controesame dell’avvocato Diego Brancia, nel corso del maxi processo “Rinascita-Scott”, ha svelato alcuni retroscena che lo riguardavano in prima persona durante i primi anni 2000: "Prima ancora di essere affiliato, nei primi anni 2000, ho cercato di collaborare con la giustizia. Se lo avessi fatto, diversi omicidi sarebbero stati sventati. Non è accaduto per ragioni diverse dalla mia volontà. Perché la situazione all’epoca era diversa rispetto ad oggi per quanto riguarda le forze dell’ordine e gli ordini inquirenti in generale".
Il suo desiderio di collaborare, ha raccontato in aula, è nato dal desiderio di scoprire cosa e chi si nascondeva dietro la morte di suo padre avvenuta nel 1985. "Il mio intento - ha detto - era quello di venire a capo di tutta le vicende che hanno sconvolto la mia vita" aggiungendo che "il mio desiderio non era quello di vedere una ‘Ndranghete forte, un locale a Vibo ma il mio desiderio è stato sempre quello di distruggerla".

L’affiliazione di Arena: "Non volevo vibonesi nella mia copiata"
"Io avevo rifiutato a Vibo di essere affiliato ai Lo Bianco-Barba", ha raccontato Arena, aggiungendo che "Enzo Barba mi ha sempre parato, sennò mi avrebbero ammazzato già minorenne". Arena non voleva portare in copiata nessun vibonese ma suo zio Domenico Camillò gli aveva detto che la cosa non era fattibile perché "prima devi essere riconosciuto nel tuo paese e dopo da altre parti". A quel punto Arena aveva chiesto allo zio un confronto con Domenico Oppedisano, il quale aveva acconsentito che in copiata il ragazzo poteva portare uno dei Camillò e per il resto non ci sarebbero stati problemi perché se la sarebbe vista lui. Ma Domenico Camillò "non voleva prendersi questa responsabilità per non mancare di rispetto a Carmelo Lo Bianco. Noi in quel periodo andavamo a trovare spesso a Carmelo Lo Bianco “Piccinni” che era agli arresti domiciliari per l’operazione ‘Flash’. Lui era contrario alla mia affiliazione perché diceva che io avevo offeso tutta la società di Vibo Valentia perché avevo rifiutato l’affiliazione quando ormai era accettata dal sodalizio. E una cosa di queste, da quando lui militava nella ‘Ndrangheta non l’aveva mai vista".

La mancata attivazione del locale di ‘Ndrangheta di Vibo
In quel periodo erano tutti detenuti, spiega Arena, sia dalla parte dei Mancuso, sia diversi vibonesi, e Carmelo Lo Bianco si era deciso a chiedere l’attivazione del locale di ‘Ndrangheta di Vibo. Secondo il racconto del pentito, la 'Ndrangheta di Polsi riconosceva la figura di Domenico Camillò, il quale avrebbe dovuto portare l’ambasciata a Domenico Oppedisano, che era capo crimine e che aveva consigliato di andare a parlare con le altre cariche; in quel caso dovevano andare a trovare Peppe Commisso “Il mastro”.
Tuttavia con l'operazione “Nuova Alba”, l'attivazione del locale di Vibo viene annullata ma, come raccontato da Arena, Domenico Oppedisano parlando con Domenico Camillò aveva detto di essere contento della cosa perché sarebbe stato davvero pericoloso a livello di intercettazioni.
"Si sarebbero potuti scoprire tutti i segreti di Polsi - ha detto Arena - anche se la cosa avvenne lo stesso negli anni successivi con l’operazione “Crimine” e tutti i segreti sono stati scoperti lo stesso, ovvero l’esistenza dei locali riconosciuti che facevano parte di Polsi, l’esistenza di locali esteri, italiani. Si è scoperto tutto con l’operazione Crimine. Sa perché non siamo stati intercettati noi nella lavanderia di Siderno? - ha domandato Arena in Aula - Perché quel girono siamo arrivati troppo presto e la lavanderia Ape Green di proprietà del ‘mastro’ era chiusa. Se fosse stata aperta ci avrebbero incastrato pure a noi quel giorno”.

Fonte: corrieredellacalabria.it

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