Dal sottosegretario all’Interno Nicola Molteni nessuna spiegazione
Al noto pentito di 'Ndrangheta Luigi Bonaventura - un tempo esponente di spicco della cosca Vrenna, la più importante famiglia di ‘Ndrangheta di Crotone - è stata revocata la protezione, a lui e alla sua famiglia.
La revoca, come ha riportato Il Fatto Quotidiano, è stata disposta dalla Commissione centrale di protezione, guidata dal sottosegretario all’Interno Nicola Molteni (esponente della Lega) il quale, contattato telefonicamente da Ilfattoquotidiano.it, non ha voluto dare spiegazioni: “Sono tenuto al riserbo per disposizioni di legge - ha detto Molteni - La vicenda ovviamente è nota. Purtroppo o per fortuna, dipende dai punti di vista, su questo tema non posso rilasciare dichiarazioni”.
"Loro (i funzionari che si occupano del programma di protezione n.d.r) - ha spiegato Bonaventura - motivano la revoca con il fatto che mia moglie ha rifiutato il trasferimento. Ma non è così. Nel verbale di comunicazione c’è scritto chiaramente che mia moglie non ha rifiutato il trasferimento. Mia moglie ha detto solamente che ne avrebbe parlato con gli altri familiari. È una trappola”. La stessa descrizione che il collaboratore aveva detto il 3 agosto scorso quando era stato ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta dal senatore Nicola Morra, secondo cui “il quadro è grottesco”.
Il motivo lo ha spiegato lo stesso collaboratore. Stando al suo racconto, alla famiglia del pentito era stato proposto di trasferirsi in un’altra provincia ma, "gli stessi Nop (Nuclei Operativi di Protezione n.d.r) - ha affermato Bonaventura durante l’audizione - ammettono che le Marche non sono un territorio adatto a noi. È chiaro che ci sono delle difficoltà per il programma di protezione. Se mia moglie avesse accettato subito le Marche, avrebbe significato che saremmo potuti morire in una provincia non sicura. Perché ci sono collaboratori che hanno rifiutato il trasferimento e sono sotto programma? - ha detto Bonaventura - Potrei fare anche i nomi e cognomi di tanti. Io non sto chiedendo che a queste persone venga revocato il programma, fatta eccezione per chi ha commesso reati, sto cercando di farvi vedere che c’è un serio squilibrio. Io me la sono fatta tutta la galera. Io non vi sto chiedendo compassione per me, ma sto dicendo di aiutare questa famiglia”.
Il 7 agosto il Tar del Lazio aveva sospeso la revoca accogliendo il ricorso presentato dall’avvocato Enrico Morcavallo e fissato l’udienza al 6 settembre in cui si dovrà decidere se i pericoli per i famigliari di Bonaventura sono “ancora sussistenti”, come ritengono la Procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, e la Dna diretta dal procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. Il collaboratore davanti alla Commissione antimafia ha letto uno stralcio della revoca disposta dal Servizio centrale di protezione. Nel provvedimento c’è scritto che “la Procura della Repubblica di Catanzaro Direzione distrettuale antimafia con nota del 6 aprile 2021, ha confermato i pregressi pareri volti a sostenere la proroga del programma speciale di protezione sostenendo che la collaborazione di Bonaventura Luigi, pur non essendo titolare di un programma di protezione e pur datata nel tempo, risulta ancora utile per ricostruire i profili criminali delle zone del Crotonese. Inoltre lo stesso sarà ancora impegnato nell’ambito dei procedimenti che riguardano i contrasti tra le cosche nella città di Crotone. La medesima autorità giudiziaria, dopo la premessa sull’importanza delle dichiarazioni rese dal Bonaventura, ha evidenziato come i pericoli per l’incolumità dei suoi familiari siano ancora sussistenti proprio in considerazione dei futuri impegni processuali del Bonaventura”.
Ma nonostante i pareri condivisi sia dalla procura di Catanzaro che dalla Dda la protezione è stata tolta al pentito e a tutti i suoi congiunti.
Agli agenti del Nucleo di operativo di protezione che si erano recati per notificarle il trasferimento, la moglie dell’ex boss ha dichiarato: “Prendo atto della comunicazione, riservandomi di comunicare le mie intenzioni dopo un consulto con i miei familiari”.
Inoltre la moglie del pentito, Paola Emmolo non è una persona affiliata o un collaboratore ma una persona che ha denunciato le cosche.
“Resta solo il mio rammarico per tutta questa situazione – ha detto durante un'audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia - Mi sento un cattivo esempio nel senso che chi denuncia fa la mia fine, come quella di tante altre donne. Mi sento un cattivo esempio per la società per colpa di un sistema di protezione che non funziona. Io non ho mai chiesto nulla se non perché ho fatto questa scelta: ho denunciato e ho portato mio marito alla collaborazione. L’ho fatto perché era giusto farlo senza nessun altro fine, nessun altro scopo. Però trovarsi qui per lottare per la mia vita e per la vita dei miei figli, di mia madre e dei miei fratelli, che sono anche loro dei denuncianti, io non lo trovo giusto. Qualcuno si dovrebbe mettere la mano sulla coscienza”.
Infatti la 'Ndrangheta è molto difficile se non impossibile che si sia dimenticata di Luigi Bonaventura e della sua famiglia.
Ricordiamo che il pentito è stato sentito nel maxi-processo “Gotha” contro le cosche di Reggio Calabria dove la Direzione distrettuale antimafia lo ha interrogato anche su altre delicatissime inchieste. A febbraio e marzo, la Dda di Catanzaro lo ha chiamato due volte a testimoniare nel maxi-processo “Rinascita-Scott” contro la cosca Mancuso e i colletti bianchi del Vibonese e appena venti giorni fa è stato convocato davanti al Tribunale di Crotone per essere sentito nel processo “Malapianta” che vede alla sbarra i clan di Cutro.
“Ho collaborato con 14 Procure - ha detto il collaboratore - ma i miei figli vanno a scuola con il loro cognome originale. In pratica la protezione consiste nel prestito di una casa e in un sussidio che per tre persone adesso è arrivato a 1.400 euro. Si che questo sussidio sia un contributo o lo stipendio dei pentiti. Non è così, ci ripaga di tutto quello che non possiamo fare. Ho scontato la mia pena ma adesso io non posso lavorare perché dovrei farlo con il mio nome. Per me è impossibile trovare un impiego. Siamo due nuclei familiari con un invalido al 100%”.
La situazione si è aggravata ulteriormente poiché come denunciato dalla famiglia del collaboratore, non é stato erogato il sussidio di agosto destinato al mantenimento del nucleo famigliare composto da sette persone, tutte incensurate, di cui tre malati e un minorenne.
Ad aggiungere ulteriore peso alla situazione c'è anche la locazione attuale della famiglia: le Marche. Dove nel 2018, il giorno di Natale, in pieno centro a Pesaro, mentre era sotto protezione, è stato ammazzato Marcello Bruzzese, pregiudicato di origini calabresi e fratello del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese di Rizziconi.
“A dicembre saranno tre anni dall’omicidio Bruzzese e nessuno sa niente - ha detto il collaboratore - Tutto tace. Quando si parlerà di ‘Ndrangheta nelle Marche vedremo che questa regione è messa peggio della Lombardia e dell’Emilia Romagna”. Luigi Bonaventura si sente abbandonato da quello Stato che lui stesso ha aiutato nella lotta alle cosche calabresi. Purtroppo il nostro Paese è ben noto per avere delle contraddizioni, e il fatto che una procura come quella da Catanzaro e la Dda si esprimano in un modo e la politica faccia esattamente il contrario la dice lunga.
Fonte: ilfattoquotidiano.it
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