Per i giudici è stato e rimane il capo indiscusso della cosca 'ndranghetista
Lo storico boss che ha dominato e soggiogato il Tirreno cosentino è stato condannato a 20anni di reclusione per associazione mafiosa nell'ambito del processo d'appello di Catanzaro in relazione al blitz "Frontiera".
Infatti i giudici, in concerto con il ricorso presentato dalla Dda di Catanzaro diretta dal procuratore capo Nicola Gratteri, hanno stabilito che il "Re del pesce" è stato e resta il capo della cosca del Tirreno cosentino e che, come si legge nella sentenza di primo grado emessa nel luglio del 2019 dal tribunale di Paola, "l'esistenza della cosca è comprovata da diverse sentenze in gran parte irrevocabili" e che tale organizzazione era riuscita a soggiogare tutta l'economia della zona "imponendo con una capillare attività estensiva un giogo opprimente alla libertà e autonomia degli imprenditori della zona, soprattutto di quelli del settore ittico e dei locali notturni".
Il suddetto ricorso era stato presentato perché nella sentenza di primo grado il Tribunale di Paola aveva condannato Muto a sette anni di carcere per intestazione fittizia di beni ma lo aveva assolto dal reato di associazione mafiosa stabilendo quindi che Franco Muto ormai ultra ottantenne non era più il potente mamma-santissima, nonostante che nella lunga e articolata requisitoria della Dda di Catanzaro, declamata davanti alla Corte tre anni fa, gli elementi per dimostrare lo strapotere della cosca sul territorio e la posizione di vertice di Muto c'erano tutti.
A confermare la supremazia del "Re del pesce" era stato anche il pentito Franco Pino che ha riferito ai magistrati di un accordo stretto a Cosenza con le pescherie, le quali a seguito del patto potevano ottenere il pescato solo da Cetrato. E nel 2014, il collaboratore di giustizia Adolfo Foggetti ha raccontato ai magistrati di aver avuto rapporti con Antonio Mandaliti, ritenuto referente dei Muto per la zone di Diamante.
"In particolare Mandaliti mi diceva - ha dichiarato Foggetti - che tutto il pescato, in tutta la costa tirrenica cosentina era imposto dalla famiglia Muto". Il pentito ha detto inoltre di aver contrattato lui stesso il pesce dai Muto quando, nel 2011, doveva preparare il banchetto per il battesimo del figlio a Cosenza.
L'esistenza di tale organizzazione criminale diretta dal "Re del pesce" è stata già dimostrata con una sentenza emessa dalla corte di Assise di Appello di Bari il 19 marzo del 1987. L'originario impianto accusatorio comprendeva molteplici e gravi delitti ed era scaturito dall'omicidio di Giovanni Losardo, l'allora segretario della procura di Paola e consigliere comunale di Cetraro.
Il suo omicidio, come si legge nella sentenza di primo grado del processo "Frontiera", "veniva ricollegato all'avversione che questi (Losardo n.d.r) aveva dimostrato nei confronti di Franco Muto" a cui aveva contestato una pescheria abusiva.