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A pochi giorni dalla giornata nazionale in ricordo delle vittime innocenti di mafia, su “Italia uno” è andato in onda uno speciale delle “Iene” in merito alla vicenda di Pompeo Panaro: uno degli oltre mille nomi ricordati lo scorso 20 e 21 marzo durante le commemorazioni organizzate da Libera. Quasi quarant’anni sono passati dal giorno in cui il commerciante calabrese Pompeo Panaro, ex consigliere, assessore e vicesindaco del Comune di Paola (CS) venne rapito, torturato e poi ucciso. Era il 28 luglio 1982 e le mani impiegate per l’esecuzione furono quelle mafiose.

Una storia dimenticata la sua, che, nonostante gli anni trascorsi, lascia ancora sbigottiti e perplessi per le varie, articolate e controverse vicissitudini che nel tempo si sono susseguite: un probabile omicidio volontario mascherato da “lupara bianca”, un corpo scomparso, errori giudiziari, indagini aperte e successivamente archiviate. A lasciare veramente attoniti in questa storia, però, è il fatto che secondo la magistratura 9 delle persone indicate dal pentito Giuliano Serpa (che si autoaccusò del delitto) di essere i presunti assassini risulterebbero morte, quando in realtà solo tre di loro sono realmente decedute. Ed è proprio su questo paradosso che la iena Alessandro Politi, durante la ricostruzione dell’omicidio Panaro, ha focalizzato l’attenzione andando ad incontrare proprio alcuni dei “presunti” deceduti.

Dell’intera vicenda, dunque, l’unica cosa certa è che Pompeo Panaro è stato ucciso. E per ripercorrere la vicenda e ricostruire il profilo del commerciante calabrese riproponiamo ai nostri lettori una nostra intervista realizzata nel 2019 al figlio Paolo.




Omicidio Panaro, il figlio Paolo: ''La 'Ndrangheta è stata il braccio armato di altri''

di Davide de Bari - Intervista
“Il motivo per cui è stato ucciso mio padre è ancora oggi attuale ma nessuno ne parla"

Ci sono storie, spesso dimenticate, che vale la pena raccontare e che, nonostante il trascorrere degli anni, ancora vengono schiacciate dal peso della mancata verità. Tra queste vi è quella del commerciante calabrese Pompeo Panaro, ex consigliere, assessore e vicesindaco del Comune di Paola, in provincia di Cosenza, rapito, torturato e poi ucciso il 28 luglio 1982 da mani mafiose.
Il suo nome compare nell'elenco delle vittime della mafia che ogni 21 marzo viene letto nel giorno della memoria organizzato da Libera. Un sostegno alla richiesta di verità e giustizia che la sua famiglia, in particolare il figlio Paolo, porta avanti tutt'oggi.
Perché, nonostante le indagini compiute non si è giunti ancora ad una verità completa sul delitto.
Secondo Paolo, che abbiamo raggiunto telefonicamente, all’interno di questa storia in cui “la ‘Ndrangheta è stata il braccio armato di altri”, uno degli aspetti più gravi ed inquietanti è rappresentato dalla sequela di "errori commessi dagli organi inquirenti".
Quando suo padre scomparve era appena un bambino ma col passare del tempo la necessità di una risposta su quanto avvenuto si è fatta sempre più insistente. Abbiamo ripercorso con lui la sua lotta per la ricerca della verità.

Cosa può raccontarci di suo padre? Chi era Pompeo Panaro?
Personalmente ricordo mio padre come una persona estremamente affettuosa con un senso unico della famiglia. Anche qui a Paola, dove aveva un negozio di generi alimentari gestendo anche numerose mense, viene ricordato come un uomo di grande generosità e disponibilità. Non rinunciava ad aiutare chi era in difficoltà. E lo stesso fece quando ricoprì le cariche di consigliere, assessore e vicesindaco in Comune. Politicamente era inserito nelle liste della Democrazia Cristiana ma non rinunciava mai ad esprimere il suo pensiero. In consiglio comunale, quando si dimise, pronunciò delle parole incredibili ma allo stesso tempo così forti nei confronti di quel partito che governava l’Italia in quel periodo.

Nonostante siano passati 37 anni dalla sua morte la sua famiglia ancora aspetta di conoscere una verità completa su quanto avvenuto. Cosa è accaduto?
Di mio padre fino al 2012 in qualunque storia di ‘Ndrangheta avevamo una carrellata di articoli, libri, ecc... con un'unica frase: scompare a Paola il 28 luglio 1982 per ‘lupara bianca’. All’ufficio anagrafe e stato civile del comune si dava atto della scomparsa e ufficialmente c’era un unico atto, la dichiarazione di morte presunta, richiesto da me, mia madre e mia sorella nel 1994, come la legge impone che incredibilmente ci fu concesso dal Tribunale. Dico incredibilmente perché abbiamo appreso successivamente che sulla morte di mio padre vi furono indagini ed accertamenti che nessuno ci aveva mai comunicato.

Nel 1983, ad esempio, non fummo avvisati che la polizia di Paola, dietro segnalazioni anonime, trovò su una montagna resti che poi una perizia dell’Università di Napoli attribuì a mio padre. Fu anche aperto un fascicolo di indagine per omicidio a carico di ignoti, poi archiviato nel 1984. Dunque, non era vero che su mio padre non si sapeva nulla. Eppure, il Tribunale certificò la scomparsa e nulla fu mai trasmesso allo Stato civile del Comune.

Non solo. Nel 1998 la Dda di Catanzaro aprì nuovamente l’inchiesta dopo le rivelazioni del pentito di mafia, Fedele Soria, che aveva parlato dell'omicidio di mio padre con riferimenti anche al movente dell'omicidio; all'arma (una pistola 28 Cobra) che venne utilizzata per il delitto; indicò anche il luogo in cui fu ucciso. Nel 2004 l'indagine venne archiviata in quanto lo stesso collaboratore di giustizia aveva ritrattato le dichiarazioni e da quel momento il fascicolo è transitato, con foto e perizie, nelle mani di almeno sette magistrati. Eppure, in inchieste come quelle che hanno portato all'operazione "Iceberg", "Costa", "Missing" e "Tela di Ragno" si è sempre parlato di scomparsa nonostante quel fascicolo presentasse un'intestazione di omicidio.

Nel 2007 un nuovo pentito, Giuliano Serpa, ha riferito le stesse cose del primo, ma con ulteriori dettagli indicando come causale il fatto che mio padre aveva denunciato l’omicidio del meccanico Luigi Gravina.

Tuttavia, l'inchiesta venne riaperta solo successivamente quando ho presentato un esposto a seguito di un articolo che avevo letto sul giornale in cui si parlava di mio padre. È da quel momento, infatti, che raccolsi l'input di ricostruire quanto era avvenuto e, con una banalissima richiesta di accesso atti, ritrovai il fascicolo della Dda dove si dava atto dell’esistenza dei resti recuperati di mio padre. Ma venni a sapere anche altro.





Cioè?
Quando furono rinvenuti i resti di mio padre furono consegnati ai fratelli di mio padre e non a mia madre, ma i miei zii non ci hanno mai detto nulla neanche quando ci siamo adoperati per la dichiarazione di morte presunta. Ho cercato di capire perché, chiedendo spiegazioni, non ho ricevuto risposte soddisfacenti. Io li ho denunciati perché avevano il dovere di andare a registrare il decesso in comune e non l’hanno fatto, e anche la Procura non ha fatto nulla.

Quel silenzio, probabilmente, poteva essere dato dal fatto che avevano degli interessi per i locali che mio padre dava in affitto.

Quando ho scoperto la verità tutti si sono defilati in famiglia. Tuttavia, ritengo che il ruolo dei miei zii sia marginale, anche se dal punto di vista morale è documentato quello che hanno fatto. I veri problemi sorgono successivamente durante le indagini della Dda, come ho denunciato nel 2013, poi chiuse nuovamente nel 2014 nonostante le anomalie.

Di che anomalie si tratta?
Abbiamo già parlato di quel che avvenne quando furono ritrovati i resti di mio padre. Quando nel 2007 il boss Serpa parlò dell’omicidio di mio padre, autoaccusandosi del delitto ed offrendo riscontro a quanto aveva già detto Soria, vi furono dodici indagati. Ebbene accadde che di questi ben dodici furono considerati deceduti anche se in realtà lo erano solo tre. L'unico che venne riconosciuto come responsabile fu il collaboratore di giustizia, il quale però è stato in qualche maniera "salvato" dalla condanna in quanto il reato è caduto in prescrizione.

Ancora oggi fatico a capire come sia potuto accadere un fatto del genere.

Ma le anomalie vi furono anche dopo il mio esposto quando la magistratura riaprì l'inchiesta. Nel 2013 venne disposto il test del DNA sui resti conservati nella cappella di famiglia. Alla mia presenza, del medico legale e dei tecnici venne aperta la cassetta di zinco. Il contenitore era avvolto in una carta da pacchi insolitamente asciutta e ben conservata. All'interno furono trovati due sacchetti di plastica della ‘Standa' e un sacco nero per i rifiuti. Dentro c'era l'omero ma mancavano i capelli, fondamentali per l'identificazione del DNA e i frammenti di cranio ritrovati nel 1983 e, secondo i documenti, mai consegnati ai parenti.

Tenuto conto che suo padre è stato consigliere comunale, assessore e vicesindaco a Paola la politica che atteggiamento ha avuto rispetto la sua scomparsa? Ha mostrato interesse nella ricerca della verità?
La politica a lungo è stata silente. Nel 2013 vi è stata un’interrogazione parlamentare da parte del deputato Pd Ernesto Magorno quando venne disposto il test del Dna sui resti conservati nella cappella di famiglia. Dopodiché intervenne anche il sottosegretario alla giustizia, Cosimo Maria Ferri. Si dava atto che il pentito, dopo 30 anni, aveva parlato del luogo in cui era stato sepolto mio padre, che i resti potevano essere analizzati con il Dna, risolvendo finalmente il caso della "lupara bianca". Ma non fu fatto riferimento a quel che era veramente avvenuto con i molteplici errori ed anomalie giudiziarie. L’omicidio di mio padre è particolare per i buchi presenti nelle indagini. E purtroppo, salvo qualche quotidiano come “Avvenire", in pochi si sono interessati ad approfondire, anche tra gli organi di informazione.

Secondo lei perché fu ucciso suo padre?
Proprio alla luce delle molteplici anomalie ritengo che la sua morte non sia stata solo una questione di 'Ndrangheta. Penso che la criminalità organizzata calabrese sia stata solo il braccio armato di altri. Dico questo perché in precedenti omicidi di ‘Ndrangheta le persone vengono uccise direttamente senza essere prima sequestrate e torturate.

Voci dicono che in molti sapevano che era stato rapito e poi imprigionato a pochi metri da casa, ma nessuno fece nulla per liberarlo.

Credo che possano esserci anche altri motivi per cui può essere stato ucciso. Ma le mie sono supposizioni. Nulla di concreto.

Caso vuole che mio padre sia stato ucciso in un periodo difficile per la nostra Italia, quello del compromesso storico. Mio padre non temeva di essere controcorrente all'interno della Dc e scorgo un'analogia con Aldo Moro, che qualche tempo prima fu rapito ed ucciso.

Ho raccolto delle voci che addirittura punterebbero verso la struttura Gladio ma voglio restare ai fatti. Ed è sconcertante quello che è accaduto dal punto di vista delle anomalie giudiziarie. Poi c'è un altro aspetto che mi fa pensare questo.

Ovvero?
L'aver ricevuto una serie di minacce da quando ho iniziato a farmi domande su quanto avvenuto. È accaduto all’indomani della pubblicazione di un articolo su Fanpage.it in cui si parlava per la prima volta degli imputati ritenuti morti ma che in realtà non lo erano. Dopo tre giorni, mi sono trovato una volpe morta appesa accanto alla mia macchina. A marzo dell’anno scorso ho rinvenuto un asparago sul parabrezza della mia auto. Negli anni precedenti, quando sono andato alla Dda a consegnare l’esposto, mi sono trovato una vite conficcata nella ruota e in un'altra occasione l’acqua nel serbatoio della benzina.

Episodi strani come l'incendio della mia macchina mentre viaggiavo in autostrada dopo essere stato in Procura. Era stato tagliato un tubicino del serbatoio. Poi uno dei miei cani è stato massacrato di botte il giorno prima che andassi a Roma per nominare l’avvocato che avrebbe seguito il caso penale. Naturalmente ho fatto denuncia contro ignoti. Sono stato interrogato dopo un anno ma anche in questi casi le indagini sono state archiviate.

Secondo lei, dopo così tanto tempo, sarà possibile arrivare ad una verità sulla morte di suo padre o avete perso la speranza?
Ormai nella magistratura non ho più fiducia. Quando ho ricostruito tutta la vicenda nell'esposto, mettendo tutto nero su bianco, ho chiesto che fosse fatta chiarezza su tutto. Ma ancora una volta mi sono trovato di fronte ad un'archiviazione. Non si è mai chiarito il perché si è parlato di lupara bianca ed i miei zii non sono stati coinvolti. Si è accertato che quello che dicono i pentiti è vero, ma gli imputati non lì hanno arrestati in quanto ritenevano che erano morti. Mi sento preso in giro.

Tuttavia, non voglio perdere la speranza, nonostante i silenzi e i muri che si sono sollevati. Da parte nostra continueremo a raccontare cosa è accaduto a mio padre e a chiedere risposte alle nostre domande. Spero che organi come il Csm possano approfondire e valutare quanto è stato svolto durante le fasi di indagini.

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