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"I Grande Aracri si sono infiltrati in punta di piedi"

"Nonostante le inchieste per mafia abbiano ampiamente parlato di Brescello, nel paesino raccontato da Guareschi (5.500 abitanti, 1.700 dei quali di origine calabrese) a denunciare o a parlare apertamente sono stati in pochi". Lo scrive il Gup Sandro Pecorella, nella sentenza del processo Grimilde su un'associazione di tipo 'ndranghetistico con epicentro proprio nella provincia di Reggio Emilia. "Emblematico in tale senso - prosegue il Gup citando la relazione della commissione d'inchiesta che portò, nel 2016, allo scioglimento dell'amministrazione comunale per mafia - l'atteggiamento del personale del Comune di Brescello, apparso ancorato a quella che sembra essere una posizione di inconsapevolezza, in taluni casi mista a timore, verso l'argomento criminalità organizzata". Per Pecorella se qualcuno non sapesse prima di leggere la relazione "che si tratta di un vero atto amministrativo, potrebbe pensare che nasca dalla fantasia di qualche autore di fantascienza ucronica e distopica che raffigura la concreta vita dell'Italia asservita ad un malaffare che arriva anche alle minutissime cose della vita di tutti i giorni". E nel descrivere la penetrazione della criminalità organizzata, il giudice sottolinea come la 'Ndrina dei Grande Aracri, "in linea con le moderne strategie sociali della 'Ndrangheta, faceva in modo di accreditarsi a Brescello attraverso comportamenti apparentemente innocui, entrando illecitamente in punta di piedi nelle articolazioni economiche e sociali della città, cercando di scongiurare così reazioni di allarme sociale prefigurabili in presenza di episodi violenti e eclatanti". Nella sentenza in abbreviato Salvatore Grande Aracri, figlio del boss Francesco, è stato condannato a 20 anni, mentre il padre e il fratello sono stati rinviati a giudizio a Reggio Emilia.

Infiltrazioni nell'economia
Nella sentenza si parla anche delle infiltrazioni economiche della 'Ndrangheta nell'economia nazionale riprendendo alcuni casi che sono emersi negli ultimi anni. Tra questi viene messo in evidenza dai giudici come il caso dell'azienda Riso Roncaia, al centro del processo sia emblematico di come agisce la criminalità organizzata al Nord.
"Così la 'Ndrangheta si infiltra nell'economia nazionale, anche in attivita' imprenditoriali prestigiose e affermate", scrive il gup Sandro Pecorella nelle motivazioni della sentenza. La vicenda, per il giudice è "uno spaccato dinamico della vita dell'associazione a delinquere" di tipo mafioso, ma allo stesso tempo "solo una delle punte dell'iceberg che viene fuori e sulle quali l'inchiesta ha gettato un luminoso faro". La ditta mantovana chiese aiuto, in una situazione di difficoltà finanziaria, ai fratelli Giuseppe e Albino Caruso, il primo all'epoca era un esponente di FdI ed ex presidente del consiglio comunale di Piacenza, oltre che funzionario doganale. I due fratelli, arrestati a giugno 2019, sono stati condannati rispettivamente a 20 anni e a 12 anni e 10 mesi, considerati "il gancio che ha portato il faro degli investigatori sui Grande Aracri di Brescello", i boss di cui erano a disposizione. L'intervento della 'Ndrangheta sulla Riso Roncaia rappresenta l'esempio dell'espansione "di un sodalizio dentro un'attività imprenditoriale, in palese crisi finanziaria", attraverso l'offerta e poi la messa in atto di alcuni interventi (tutt'altro che legali) a favore della società, così da accreditarsi e acquisire un diritto di credito, da riscuotere in denaro o in beni, contribuendo ad aggravare le già gravi problematiche finanziarie. Con l'obiettivo finale di "offrire l'aiuto 'estremo' ai soci ormai consumati dai debiti: il finanziamento, l'immissione di soldi con proventi dai delitti della consorteria mafiosa per superare la crisi pretendendo, in cambio, naturalmente, il subentro da patte del sodalizio" come socio occulto, ormai proprietario di una percentuale delle quote sociali.

Foto © Imagoeconomica

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