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Emersa una rete estorsiva legata ai De Stefano

La Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria (diretta da Giovanni Bombardieri) coordinando l'operazione "Nuovo Corso", assieme alla Squadra Mobile di Reggio Calabria, ha svelato un asfissiante sistema vessatorio le cui vittime sono gli imprenditori che operano sul territorio reggino. Un'area in cui viene esercitata, ancora oggi, l'egemonia mafiosa da parte di potenti e storiche cosche di 'ndrangheta come quella dei De Stefano del quartiere Archi (RC). Il blitz, realizzato lo scorso giovedì 25 febbraio, ha portato all'arresto di cinque persone affiliate e contigue ai De Stefano: Paolo Rosario De StefanoPaolo CaponeraAndrea GiungoDomenico Morabito e Domenico Musolino. Accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e tentata estorsione in concorso, aggravate dal metodo mafioso. 
L'inchiesta, coordinata dai Sostituti procuratori Stefano Musolino e Walter Ignazitto, ha fatto luce su alcune gravi vicende estorsive compiute nei confronti dell'imprenditore Francesco Siclari e di un suo consociato in Ati di altra provincia calabrese. I due sono aggiudicatari degli appalti pubblici per il rifacimento del Corso Garibaldi e di Piazza Duomo a Reggio Calabria (solo Siclari). 
Un sistema vessatorio asfissiante, dunque, comprovato dalle dichiarazioni delle vittime e anche da quelle del collaboratore di giustizia Maurizio De Carlo.

Stando alla ricostruzione degli inquirenti, l'estorsione è consistita nell'aver costretto Francesco Siclari (nella misura del 20%) e il socio (in quella dell'80%) a versare in contanti ed in più tranche, a seguito di pesanti intimidazioni, 80mila euro ad alcuni esponenti di rilievo della cosca De Stefano. Cifre corrispondenti al 2% dell'intero importo dei lavori di pavimentazione del Corso Garibaldi. 
Le ingenti somme di denaro venivano corrisposte dalle vittime agli estorsori quando, in base allo "status" dei lavori, il Comune di Reggio Calabria (committente dell'opera) pagava le quote relative al corrispettivo spettante alle ditte aggiudicatarie. "Siclari – hanno spiegato gli investigatori - ha riferito agli inquirenti che nel 2011, mentre era impegnato nei lavori di ristrutturazione di un immobile privato, era stato avvicinato da Andrea Giungo il quale, presentandosi come esponente della cosca De Stefano, gli offrì protezione, che però non veniva accettata". 
Una volta che l'imprenditore ed il socio si erano aggiudicati i lavori di riqualificazione del Corso Garibaldi (due anni dopo circa), e dopo aver subìto il danneggiamento a mezzo d’incendio dell'autovettura (nell'autunno del 2013), Andrea Giungo si presentò nuovamente da Siclari, sollecitandolo nuovamente ad accettare la sua protezione. Questa volta, però, assieme al 53enne Vincenzino Zappia (indagato nell'ambito dell'inchiesta “Nuovo Corso”), Giungo chiese espressamente all'imprenditore il pagamento della mazzetta alla cosca De Stefano.

Gli inquirenti, inoltre, hanno evidenziato un'altra circostanza in cui Siclari venne avvicinato da Giungo e da Domenico Morabito, i quali quantificarono l'ammontare della richiesta estorsiva in 80mila euro. Quando Giungo venne tratto in arresto (dicembre 2014), fu Morabito ad occuparsi della vicenda estorsiva, tanto che dopo l'avvio dei lavori sul Corso si presentò più volte presso l'abitazione e la sede dell'impresa dell'imprenditore, rivendicando il pagamento della somma di denaro richiesta in precedenza dai complici.
Nel 2015 vennero pagate le prime due rate (10mila euro) a Morabito, mentre la terza tranche venne pagata a Paolo Caponera: accreditato come rappresentate della famiglia De Stefano. Successivamente, una volta scarcerato nel marzo del 2016, Andrea Giungo riprese i contatti con l'imprenditore vessato, imponendogli anche il pagamento di un'estorsione (di entità non specificata), legata ai lavori di ristrutturazione di Piazza Duomo. Giungo, inoltre, reiterò a Siclari la pretesa estorsiva relativa ai lavori del Corso Garibaldi, richiamando i danneggiamenti e i furti che l'impresa aveva subito nei mesi precedenti ed offrendogli protezione anche per i lavori di riqualificazione di Piazza Duomo. L'imprenditore vittima, però, non cedette alla richiesta estorsiva, evidenziando che già aveva patito un rilevante danno economico con i furti e i danneggiamenti.

Successivamente, (autunno 2016) sempre stando alla ricostruzione degli investigatori, mentre percorreva con il suo motorino una via del centro urbano, Siclari venne affiancato da una motocicletta di grossa cilindrata a bordo della quale c'era Giungo insieme ad un altro soggetto che, con fare minaccioso, lo invitò a seguirlo in una traversa della zona universitaria. Una volta giunti, lo fece salire a bordo di un'utilitaria guidata da una terza persona, per condurlo infine in un appartamento all'interno del quale fu portato al cospetto di Paolo Rosario De Stefano (presentato da Giungo come il capo della famiglia De Stefano). Quest’ultimo rievocò all'imprenditore i danneggiamenti e i furti che aveva subìto. Gli garantì, inoltre, protezione se avesse mostrato amicizia nei confronti del sodalizio: un chiaro riferimento alle pretese estorsive. Siclari venne, poi, avvicinato da Domenico Musolino, già imprenditore edile legato da rapporti di affinità (essendone il cognato) con il 46enne Antonio Lavilla: genero di Giovanni Tegano, storico patriarca dell'omonima famiglia di 'Ndrangheta federata ai De Stefano. E fu proprio a Musolino che l'imprenditore e il socio, tra il 2017 e il 2018, pagarono le ultime tre tranche (pari a circa 45/50 mila euro) della mazzetta relativa ai lavori di ristrutturazione del Corso Garibaldi.

Un dato rilevante è la notorietà dei soggetti per i loro trascorsi penali e di polizia. Paolo Rosario De Stefano è figlio naturale del defunto Giorgio De Stefano (fratello del defunto boss Paolo De Stefano), condannato ad 8 anni di reclusione per associazione mafiosa nel 2009. Attualmente Paolo Rosario De Stefano è detenuto in forza della misura cautelare conseguente al fermo emesso dalla Dda ed eseguito dalla Squadra Mobile nel maggio 2017 nell'ambito dell'operazione “Trash” (contro la cosca De Stefano), per associazione mafiosa ed estorsione aggravata. Nel 2005, inoltre, era riuscito a sottrarsi all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa (nell'ambito dell'operazione "Number One" contro la stessa cosca) per associazione mafiosa, tentata estorsione e rapina, ed è stato poi catturato in stato di latitanza dalla Squadra Mobile il 18 agosto 2009 a Sant'Alessio Siculo (ME).

Anche Paolo Caponera (un altro dei cinque arrestati durante l’operazione "Nuovo Corso") è stato indagato per associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta "Number One". Per lo stesso reato, nel 2009 è stato condannato a 4 anni di reclusione e attualmente si trova detenuto (come Paolo Rosario De Stefano) in forza della misura cautelare eseguita nell'ambito dell'operazione "Trash" per associazione mafiosa ed estorsione aggravata. Andrea Giungo, invece, attualmente sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno a Reggio Calabria, ha scontato 6 anni di reclusione per associazione mafiosa dopo la condanna all'esito del processo scaturito dall'operazione "Il Padrino" (eseguita dalla Squadra Mobile nel mese di dicembre 2014). Infine, Domenico Morabito è stato condannato con sentenza definitiva nel 2011 a 4 anni di reclusione per associazione mafiosa e favoreggiamento personale della latitanza di Orazio De Stefano (Operazione "Number One").

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