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Antonio Nicaso ospite di “Mafia in Nove Atti”

"Le mafie, per arrivare a conquistare posizioni di prestigio all’interno della società civile, “hanno bisogno di legittimazione. Così da ladri di polli sono diventati Sistema di potere”. È questo uno dei concetti espressi dal professore Antonio Nicaso, scrittore e studioso dei fenomeni criminali di tipo mafioso, intervenuto venerdì all’evento inserito nel progetto “Mafia in Nove Atti", organizzato dall’associazione Elsa Verona in collaborazione con l’associazione culturale Falcone e Borsellino. Assieme a Nicaso sono intervenuti diversi relatori come il giornalista e caporedattore di ANTIMAFIADuemila Aaron Pettinari, il coordinatore dell’associazione Corto Circuito e giurista Elia Minari, il professore Lorenzo Picciotti, il colonnello dei Carabinieri Carlo Pieroni. Inoltre c’è stata la partecipazione di due attori della compagnia Teatro Bresci, Anna Tringali e Giacomo Rossetto, moderatore Niccolo De Pra.

L’ndrangheta questa sconosciuta
Certo, come ha ricordato Pettinari, possiamo dire che quella della ‘Ndrangheta sia un’organizzazione criminale presente in tutti i continenti del mondo, che si è fatta strada con il traffico di droga ricavando da esso ingenti introiti e che ha contatti consolidati con “pezzi dell’imprenditoria e dell’economia”. Perché nel corso del tempo la ‘Ndrangheta ha fatto un salto di qualità nel momento in cui ha creato strutture criminali parallele come la Santa ed ha iniziato a fare affari con altissimi livelli della politica, dell’imprenditoria e della finanza.

Ladroni legittimati
Successivamente c’è stato l’intervento del professore Nicaso: “Per parlare di ‘Ndrangheta io vorrei capovolgere un po’ il discorso e partire dal Veneto, partire da un processo, da una sentenza che è quella dell’inchiesta ‘Camaleonte’ che ha portato alla condanna di tantissime persone che sono riconducibili al clan Grande Aracri, che ha portato anche alla condanna di alcuni imprenditori del Veneto”. Un modo diretto per eliminare il luogo comune per cui la mafia sarebbe un problema solo del Meridione. Così non è.
Una struttura come quella delle mafie per arrivare a conquistare posizioni di prestigio all’interno della società civile “hanno bisogno di legittimazione” ha detto Nicaso citando anche esempi storici come “la nomina del più grande malfattore di Reggio Calabria, Raffaele Morgante, a capo della guardia cittadina, perché doveva garantire l’ordine pubblico mentre era in corso il passaggio dal regime borbonico all’unificazione. Stesso discorso succede a Napoli dove il camorrista Salvatore De Crescenzo viene nominato capo della guardia cittadina”.
Oppure, quando - ha aggiunto sempre Nicaso - “alla fine del 1800 sono emigrati (gli ndranghetisti, ndr) negli Stati Uniti, e dove sono riusciti ad entrare? In quella che all’epoca si chiamava Tammany Hall che era una potente macchina politica elettorale del partito democratico dello Stato di New York, e grazie a quelle capacità, di garantire manodopera a basso costo e sostegno elettorale in cambio di licenze a gestire delle taverne, che erano i centri di ritrovo e di collocamento del tempo, sono riusciti a fare il salto di qualità, quel salto di qualità che poi hanno portato in Calabria dopo il 1908”.
Sono queste le legittimazioni che hanno permesso alla mafia di raggiungere posizioni di potere e di sopravvivere lungo tutto il percorso post unitario, accumulando delle vere e proprie fortune in termini economici e sono arrivati ad intrecciare rapporti anche con altre organizzazioni criminali a livello internazionale come le mafie degli altri paesi e i vari cartelli della droga sud americani e Messicani.

La società incivile che accoglie le mafie
Elia Minari, giurista e coordinatore dell’associazione Corto Circuito nel suo intervento ha lasciato ampio spazio a quelle situazioni che hanno reso facile l’ingresso della criminalità organizzata calabrese nel tessuto sociale del nord Italia, al primo posto la pesante crisi economica del 2008 seguita da quella innescata dalla pandemia, ma il fattore determinante, come ha spiegato, è stato l’atteggiamento compiacente degli imprenditori “molte società hanno cercato di utilizzare i servizi della criminalità organizzata come il recupero crediti o lo smaltimento illecito di rifiuti (…). Sono stati gli imprenditori a cercare l’Ndrangheta e non il contrario”.
Nel suo intervento Minari ha poi descritto il suo metodo di inchiesta basato sullo studio delle cosiddette fonti aperte e sulle connessioni tra le informazioni delle misure camerali grazie alle quali è possibile conoscere i proprietari di un’azienda e le relazioni economiche che intercorrono con le altre società. Con questo metodo di indagine è possibile riconoscere quelli che secondo lui sono “degli indici” sintomatici di infiltrazione mafiosa. “Sinteticamente ci sono cinque categorie, la prima categoria è l’espansione di catene come ad esempio quelle dei ristoranti, o anche altre tipologie di imprese che riescono ad espandersi in tempi particolarmente rapidi oppure l’improvviso e consistente aumento di capitale non giustificato dalla pregressa attività, così come anche l’accesso agevolato al credito. La seconda categoria sono i mutamenti non giustificati, come il cambio improvviso di amministratori e di soci. La terza riguarda le strutture aziendale, delle costruzioni con scatole cinesi che si vanno a creare con una società che è proprietaria di un’altra società, e prima di arrivare a quelli che sono i reali proprietari occorre fare delle intersezioni economiche complesse. La quarta categoria è data da un indicatore diretto che è quello delle interdittive antimafia” e infine “la quinta categoria sono i cosiddetti indicatori materiali, quindi andando a vedere nell’opera chi esegue realmente i lavori. Il subentro nell’esecuzione di appalti formalmente aggiudicati ad altre imprese.

Il silenzio paga più delle stragi
Il colonnello dei Carabinieri Carlo Pieroni nel suo intervento ha descritto come l’ndrangheta calabrese si muove all’interno del bacino economico del nord Italia riuscendo a legarsi con estrema facilità agli interessi di carattere economico dell’imprenditoria. Dal momento che la mafia calabrese ha trovato terreno fertile nelle grandi regioni industrializzate, non si trovano più nella necessità di “fare grandi stragi, grandi azioni eclatanti” - ha detto il colonnello - e che “al nord la ‘Ndrangheta si adatta a quelle che sono le esigenze economiche del momento”.
Siamo ormai lontani dalla figura del mafioso con la coppola e la lupara, ora la mafia si presenta in 24 ore e con attestati universitari. Davanti ad una tale figura che promette grandi guadagni con meno della metà dello sforzo alla classe imprenditoriale, l’espansione delle mafie nel tessuto sociale si fa sempre più rapida e insidiosa e che inoltre “tutto questo investire e guadagnare da parte dell’ndrangheta fondamentalmente poi danneggia quella che è l’imprenditoria che rispetta quello che sono le regole”, ha detto infine il colonnello.

Foto © Imagoeconomica

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