di Aaron Pettinari - Video e Foto
Così Maurizio Cortese gestiva la famiglia Serraino-Libri
Il Procuratore Bombardieri: "Parliamo di vicende attuali"
Cinquecento euro. Tanto avrebbe pagato Maurizio Cortese, già detenuto detenuto nel carcere di Torino ed indicato dagli inquirenti come il capo della cosca Serraino di Reggio Calabria, per corrompere un agente penitenziario, non identificato, ed ottenere l'introduzione di un telefono cellulare tramite cui riusciva a "svolgere le sue funzioni di capo cosca, impartendo direttive dal carcere per eseguire estorsioni e pianificare intestazioni fittizie di beni".
Era quello uno degli strumenti utilizzati per gestire gli affari illeciti della cosca, a cui si aggiungevano i colloqui con la moglie, Stefania Pitasi, e gli scambi episcopati con la stessa donna o le comunicazioni con Antonino Filocamo, o ancora avvalendosi del servizio di messaggistica "e-mail" attivo nella struttura di detenzione.
Lo spaccato emerge dalle carte dell'ordinanza Pedigree, emessa dal gip Filippo Aragona su richiesta della Procura reggina e che ha visto la squadra mobile di Reggio Calabria arrestare 12 persone appartenenti alla cosca dei Serraino-Libri.
In particolare è emerso che Cortese "aveva a disposizione telefoni cellulari e alcune schede 'citofono' con le quali riusciva a comunicare con l'esterno, impartendo disposizioni sia alla moglie che ad altri sodali". E' stato lo stesso boss, in una conversazione intercettata nel mese di aprile 2019, a spiegare agli investigatori le modalità con cui era riuscito ad introdurre in carcere il telefonino. Lo stesso apparecchio telefonico è stato rinvenuto e sequestrato, il 9 aprile 2019, nel corso di una perquisizione della cella, dopodiché il boss è tornato ad utilizzare vecchi metodi, come i pizzini.
Messaggi che in qualche maniera venivano veicolati dalla moglie "postina”, figlia di Paolo Pitasi, uomo di fiducia del mammasantissima Francesco Serraino, il “Re della Montagna” ucciso a metà degli anni ottanta nella seconda guerra di mafia.
Durante la conferenza stampa che si è tenuta alla presenza del Procuratore capo di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e del Questore Maurizio Vallone sono stati approfonditi alcuni dettagli dell'inchiesta condotta dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Paola D’Ambrosio e Diego Capece Minutolo. "Questa indagine certifica in certo dinamismo delle cosche criminali presenti in città - ha detto Bombardieri - Sono stare ricostruite vicende attuali che risalgono ad un anno addietro o ad appena sei mesi fa. Così è stata fatta piena luce su alcuni attentati che si sono verificati sul territorio".
Cortese "numero uno"
L'ascesa criminale di Cortese, arrestato nel 2017, si riassume nelle parole di altri indagati come Salvatore Paolo De Lorenzo che spiegava come "quando c’era lui tremavano pure le foglie”. Un ruolo da "numero uno" come lo aveva persino definito il boss Nino Labate. Una famiglia criminale, quella dei "Ti Mangiu", con cui Cortese aveva stretti rapporti, così come con Gino Molinetti dei De Stefano-Tegano, recentemente arrestato nell’ambito dell’operazione “Malefix”. "Di lui - ha proseguito Bombardieri - ci ha parlato anche il collaboratore di giustizia Pino Liuzzo per il quale Cortese era non solo intraneo alla cosca Serraino ma nell'ultimo periodo aveva una sua cellula propria".
L'inchiesta ha svelato una serie di attività estorsive nei confronti di imprenditori e commercianti operanti nei territori in cui la 'ndrina esercita la sua egemonia.
Tra queste, ad esempio, l'episodio in cui Cortese ha costretto un rivenditore ad acquistare pane (che in gran parte sarebbe rimasto invenduto) presso l'esercizio abusivo della moglie, che utilizzava un forno a legna fatto in casa.
https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/229-ndrangheta/79543-operazione-pedigree-ordini-dal-carcere-per-estorsioni-e-attentati.html#sigProId2c54f2282d
E poi ancora l'attività estorsiva dello stesso capomafia nei confronti del titolare di un bar del quartiere San Sperato. Lo scopo era quello di ottenere una mazzetta di 2.500 euro, ma di fronte alle difficoltà economiche del titolare del bar, impossibilitato a cedere al ricatto, Cortese ha ordinato a uno dei suoi uomini di danneggiargli l'esercizio commerciale. Se ciò non è avvenuto è solo grazie all'intervento della Squadra mobile che ha perquisito l'abitazione della persona incaricata dal boss. Fra gli episodi estorsivi di Cortese anche la richiesta di mille euro sull'importo dei lavori a una ditta impegnata nella ristrutturazione di un immobile. I proventi delle estorsioni venivano utilizzati da una parte per finanziare gli affiliati e supportare economicamente i detenuti e i loro familiari, dall'altra venivano reinvestiti in attività commerciali. Nel corso dell'operazione odierna sono stati sequestrati dalla Dda una serie di bar e negozi di generi alimentari e ortofrutta, intestati a prestanome. In particolare i sigilli sono stati applicati alle ditte individuali “Un mondo di frutta Vip di Nucera Bruno”, “Le primizie di Leone Massimo”, il bar “Mary Kate” e il “Royal Café”. A proposito dei bar, l’inchiesta della squadra mobile ha dimostrato come il boss Maurizio Cortese, non avrebbe esitato a ordinare la distruzione del Locale dell'affiliato Domenico Morabito, al fine di avvantaggiare Antonino Filocamo, operante nella stessa zona di viale Calabria, dal quale avrebbe ottenuto maggiori prebende. Morabito, gestore di fatto del bar "Mary Kate" sul viale Calabria di reggio, pagava Cortese per essere stato autorizzato ad aprire l'esercizio commerciale nella zona notoriamente controllata dai Labate. Tuttavia, il capo cosca, ritenendosi non soddisfatto dalle prestazioni di Morabito, che, peraltro, avrebbe riferito di aver aperto l'esercizio commerciale senza il placet di alcuno, ha preferito ampliare i suoi guadagni accettando offerte più cospicue da Filocamo, titolare del "Royal Cafe'", ubicato nelle vicinanze del "Mary Kate" che Cortese ha deciso quindi di far chiudere con due gravi danneggiamenti eseguiti mediante incendio con il concorso di Filocamo. Il primo episodio doloso avvenne il 12 aprile 2019. Filocamo e Cortese avrebbero concordato che se Morabito avesse riaperto il bar, sarebbero avvenuti ulteriori danneggiamenti.
"Quello che ci sconvolge - ha concluso il Procuratore Bombardieri - è l'episodio di un professionista, un dentista, che 'avvicinato' dalla cosca preferisce rivolgersi al boss Paolo Pitasi, genero di Cortese, piuttosto che allo Stato".
Durante le perquisizioni, la Squadra mobile ha sequestrato due pistole illecitamente detenute da un indagato e una grossa somma di denaro.
Sostegno alla politica?
Nelle indagini è anche emersa la funzione di collettore di voti che Morabito avrebbe avuto nel 2014 per la cosca Serraino.
Sul punto il Procuratore capo reggino ha spiegato che si tratta di "un'inchiesta precedente, relativa sempre allo stesso contesto criminale, confluita in queste indagini e in cui erano state registrate alcune conversazioni dalle quali emerge il ruolo dell'arrestato Domenico Morabito come 'uomo di rispetto'. Abbiamo registrato, in particolare, l'interesse di Morabito come 'collettore di voti' dell'ex consigliere regionale Alessandro Nicolo". In merito ai rapporti con la politica e con l'ex consigliere regionale Nicolo', già arrestato nell'ambito dell'inchiesta "Libro Nero" e tuttora detenuto, "si fa riferimento - ha spiegato il procuratore Bombardieri - alla necessità di un incontro tra lo stesso Nicolò e Domenico Sconti, personaggio all'epoca già condannato e il cui rilievo criminale era ben noto (è il genero di Francesco Serraino, ndr). Non abbiamo contezza che l'incontro sia effettivamente avvenuto, ma solo della fase preparatoria".