di Marta Capaccioni
Depositate le motivazioni del Tribunale con cui è stata rigettata l’istanza di revoca della custodia cautelare
Per Giancarlo Pittelli “non appare idonea alcuna misura cautelare meno afflittiva della custodia in carcere”. A scriverlo è il Tribunale del Riesame (presidente Giulio De Gregorio, a latere Simona Manna e Gaia Sorrentino) che ha così motivato la decisione, presa lo scorso gennaio, di rigettare l’istanza di revoca dell’ordinanza di custodia cautelare presentata dai legali dell’ex parlamentare di Forza Italia (Salvatore Staiano, Guido Contestabile ed Enzo Galeota), arrestato lo scorso dicembre nell’ambito dell’Operazione Rinascita-Scott coordinata dal Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. In quel medesimo provvedimento i giudici avevano anche riqualificato il capo d'accusa da associazione a delinquere in concorso esterno.
Secondo i giudici del Riesame Pittelli sarebbe “solito commettere reati, utilizzando proprio la sua rete di connivenze e di complicità con pezzi dello Stato, reti di relazioni che gli hanno consentito di conoscere in anticipo persino le accuse che lo riguardavano”.
Il Tribunale ha continuato ribadendo che “anche ove astrattamente il titolo di reato consentisse la concessione degli arresti domiciliari, l’indagato è immeritevole di alcun credito fiduciario, essendovi rilevanti probabilità, che egli violi le prescrizioni imposte dagli arresti domiciliari, pur caratterizzate da stringenti e frequenti controlli, comunicando con l’esterno e ricevendo notizie dall’ambiente criminale”.
“Il contesto non è per nulla tranquillizzante”, scrivono i giudici nelle motivazioni, avvallando le risultanze dell’inchiesta della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro. In effetti come era stato scritto nell’ordinanza di un mese fa, l’ex senatore di Forza Italia è ritenuto il faccendiere della cosca Mancuso di Limbadi, un vero e proprio “uomo cerniera” che "accreditato nei circuiti della massoneria più potente, è stato in grado di far relazionare la 'Ndrangheta con i circuiti bancari, con le società straniere, con le università, con le istituzioni tutte, fungendo da passepartout del Mancuso, per il ruolo politico rivestito, per la sua fama professionale e di uomo stimato nelle relazioni sociali”, mettendo a disposizione dei criminali “il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale”.
Sulla doppia appartenenza di Pittelli e le dichiarazioni dei pentiti
Nelle indagini i pm De Bernardo, Falvo, Frustaci e Mancuso hanno ricostruito la doppia appartenenza dell’ex parlamentare alle logge massoniche, una “pulita” e “l'altra sussurrata”.
Un’affiliazione, quest'ultima, di cui hanno parlato i pentiti Andrea Mantella e Cosimo Virgiglio. Il primo nel 2016 ha iniziato a collaborare e questo aveva suscitato un po' di preoccupazioni in Pittelli, il quale, scrivono i giudici, “qualche scheletro nell’armadio li aveva”. L’avvocato infatti avrebbe avuto qualche interesse personale all’acquisizione di informazioni sul contenuto dei verbali contenenti le dichiarazioni di Mantella. Quest’ultime interessavano allo stesso modo anche il super boss Luigi Mancuso, al quale Pittelli ha cercato di avvicinarsi il più possibile, per risolvere pressioni personali riguardanti un debito da pagare. I giudici scrivono che questo avvicinamento da parte di Pittelli al mafioso sarebbe avvenuto “violando ogni regola nell’acquisire notizie riservate, dimostrandosi pronto a soddisfare ogni necessità degli associati con le sue relazioni in ogni ambiente della società e ricevendo anche vantaggi di apprezzabile entità”.
Il tenente colonnello, Giorgio Naselli
Per il Tribunale del riesame le dichiarazioni dei pentiti comunque "non presentano le caratteristiche della convergenza del molteplice”. Quindi non ci sarebbe la prova della partecipazione di Pittelli a logge segrete. Al momento, dunque, non è possibile contestare il reato previsto dalla Legge Anselmi riguardo alle associazioni segrete, ma “se ne riscontrano indizi consistenti”.
Secondo i giudici “emerge in modo chiarissimo il tentativo di Pittelli, reiteratamente perseguito con un’attività di proselitismo nell’affiliazione alla massoneria, di crearsi un nucleo di relazioni privilegiate. Tale attività, continuano, si colora di tinte fosche se perseguita in ambiti di funzionari pubblici, di alti ufficiali dell’Arma e della Guardia di finanza e di militari dei servizi segreti”.
Le gravi violazioni del segreto di ufficio
"Pittelli non solo non si è mantenuto nell’ambito di quanto legalmente consentito, ma ha anche concorso con pubblici ufficiali nel commettere a vantaggio della cosca gravi fatti di violazione del segreto di ufficio”, scrive il Tribunale.
Per il Riesame risultano allarmanti “le modalità attraverso le quali l’avvocato si è creato canali di flussi informativi su notizie che dovevano restare riservate e segrete", ossia un nucleo di fonti privilegiate da individuarsi in funzionari e militari infedeli.
Infatti Pittelli è accusato di rivelazione di segreto in concorso con un altro indagato eccellente, il tenente colonnello Giorgio Naselli, comandante provinciale dell’Arma di Teramo all’epoca dei fatti contestati. Quest’ultimo, secondo l’accusa, avrebbe fornito notizie riservate su alcune indagini all’ex parlamentare. Ancora, Marinaro, già in servizio presso la Sezione operativa della Dia di Catanzaro e in seguito alle dipendenze della Presidenza del consiglio, è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di rivelazione di segreti nei confronti dello stesso ex parlamentare. La Dda ha prodotto, in relazione a quest’ultima vicenda, i tabulati telefonici del legale con il maresciallo della Guardia di Finanza. Inoltre vi sarebbero anche incontri personali che avvenivano tra Pittelli e il boss Mancuso, mentre quest’ultimo si sottraeva agli obblighi di misura di prevenzione. Secondo gli inquirenti i due discutevano della difesa del boss, di incarichi, raccomandazioni, facilitazioni e questioni finanziarie.
I giudici scrivono infine che “la fuga di notizie sull’indagine Rinascita-Scott è certificata dal ritrovamento nel suo studio, al momento dell’applicazione della misura cautelare, di un appunto con tutti i temi che lo riguardano”, affermando che i suoi rapporti con esponenti dei servizi segreti sono “provati” e che queste relazioni sono state sfruttate da Pittelli al fine di acquisire “notizie riservate per i suoi clienti particolari”. Il Tribunale conclude affermando che l’ex senatore di Forza Italia avrebbe aperto una pericolosa “breccia tra le fila degli uomini delle istituzioni”.
I difensori di Pittelli, Staiano, Contestabile e Galeota, ricorreranno in Cassazione contro la conferma della decisione da parte dei giudici del Riesame di mantenere ferma la custodia cautelare del loro assistito che si trova nel carcere di Nuoro. I legali inoltre, hanno già proposto ricorso al Tdl (Tribunale della Libertà) contro il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari che ha negato all’indagato i domiciliari fuori regionale con l’uso del braccialetto elettronico. L’udienza è già stata fissata per il 23 aprile prossimo.
Foto di copertina © Imagoeconomica
ARTICOLI CORRELATI
Il Riesame ha deciso: ''Pittelli resta in carcere''
Pentito Marino accusa: ''L'avvocato Pittelli aggiustava i processi''
Operazione ''Rinascita-Scott'': relazione diretta tra 'Ndrangheta e massoneria