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di AMDuemila - Video
Bombardieri: "Possibile riesaminare le prove di casi irrisolti"

Li chiamano Cold case, delitti irrisolti. Tra questi, fino ad oggi, vi era anche l'omicidio del 21enne Giuseppe Cartisano, avvenuto il 22 aprile 1988, a Reggio Calabria, a pochissimi metri dal Museo nazionale della Magna Grecia. A 32 anni di distanza questa mattina i carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno dato esecuzione ad un'ordinanza di applicazione di misura cautelare, emessa dal gip, a carico di una persona ritenuta responsabile dell'omicidio: Vincenzino Zappia, già detenuto per scontare tre condanne per associazione mafiosa.
L'inchiesta dei carabinieri del Nucleo investigativo di Reggio, coordinati dal Procuratore capo di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e dal pm Walter Ignazitto, è stata avviata nel settembre del 2019 ed ha consentito di fare completa chiarezza su uno dei fatti di sangue più efferati ed eclatanti della faida reggina a cavallo tra gli anni '80 e '90.
Una guerra di 'Ndrangheta che esplose dopo l'assassinio del boss Paolo De Stefano e del suo autista Antonino Pellicanò, avvenuto ad Archi il 13 ottobre 1985 nel "regno" della potente famiglia di 'Ndrangheta dei Condello. I motivi di scontro erano già emersi pochi giorni prima con il tentativo posto in essere a Villa San Giovanni da Paolo De Stefano di eliminare con un'autobomba il suo rivale, Antonino Imerti, detto "nano feroce".
Con la morte di "don Paolino" si crearono due fazioni: da una parte i Condello che strinsero alleanze con i Serraino, i Rosmini, i Nicolò; dall'altra i De Stefano assieme ai Tegano, i Libri e i Latella.



Cartisano era uno dei killer dell'ala "condelliana". La sera del 22 aprile 1988 stava per entrare in un bar quando arrivarono i suoi ex "compagni" Vincenzo Zappia e Luciano Pellicanò, con i quali era cresciuto nel quartiere Cep di Archi, che gli scaricano le pistole addosso. I due si allontanarono inseguiti dai carabinieri, dopodiché si sviluppò un conflitto a fuoco. Pellicanò morì in quella circostanza mentre Zappia, ferito, riuscì a fuggire.
I carabinieri analizzarono la scia di sangue ma con i mezzi dell'epoca non ottennero risultati. I reperti sono stati utili 32 anni dopo. Infatti, dopo aver letto le testimonianze di diversi collaboratori di giustizia, il pm Ignazitto ha disposto nuove perizie e le analisi svolte dai carabinieri del Ris di Messina hanno permesso di isolare il Dna del sicario che è stato così individuato.
"L'indagine di oggi trova sintesi e convergenza tra le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia e l'alta professionalità del Ris dei carabinieri - ha commentato il procuratore Bombardieri durante la conferenza stampa - L'omicidio di Cartisano è la risposta alla morte di Cannizzaro. I carabinieri avevano immediatamente raccolto le tracce ematiche di Zappia, conservandole in perfetto stato. Particolare che ha permesso ai loro colleghi, con gli strumenti odierni, di verificare puntualmente a chi appartenessero le tracce di sangue, risultate di Vincenzo Zappia. In quegli anni a Reggio Calabria si contarono centinaia di morti ammazzati tra le opposte fazioni per il dominio del malaffare e molti omicidi sono rimasti insoluti. Faremo di tutto - ha concluso il procuratore - per assicurare alla giustizia gli autori di quei fatti di sangue".

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