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di Davide de Bari
Pubblicata la relazione al parlamento della Dia del secondo semestre del 2018

La ‘Ndrangheta ha una “spiccata vocazione imprenditoriale”. E’ quanto viene descritto dalla relazione della Direzione Investigativa antimafia relativa al secondo semestre del 2018. Seconda la Dia la ‘Ndrangheta, pur mantenendo una struttura su base territoriale, in maniera verticistica e ancorata ai tradizionali vincoli familiari, si sta “modernizzando” grazie alle ingenti risorse economiche di cui dispone, grazie al narcotraffico internazionale, gestito in posizione egemonica, all’infiltrazione negli appalti, alle estorsioni, alle ingerenze nel settore dei giochi e delle scommesse e ricicla in attività apparentemente legali il proprio fatturato.
Grazie alle numerose inchieste calabresi e non solo si è arrivati alla “individuazione dei locali dislocati sia nel territorio di origine, ma anche attestati fuori Regione e all’estero”. E proprio nel semestre preso in esame che si fa riferimento all’operazione “Aemilia” del 2015 contro la filiale emiliana del “locale di ‘Ndrangheta di Cutrò da cui è scaturito il processo più grande contro le mafie al Nord: il 24 ottobre 2018, la Corte di Cassazione ha confermato, per gli imputati che avevano richiesto il rito abbreviato, 40 condanne per oltre 230 anni di carcere. Inoltre, il 31 ottobre, il Tribunale di Reggio Emilia ha condannato 125 dei 148 imputati con rito ordinario per circa 1200 anni di reclusione. Secondo la Dia un altro fatto da cui emerge l’espansione extraregionale della ‘Ndrangheta è l’operazione “Geenna” che ha svelato infiltrazioni in Valle d’Aosta. Mentre oltre oceano, la Corte dell’Ontario ha riconosciuto per la prima volta la struttura gerarchico mafiosa della ‘Ndrangheta ramificata in Canada”.
Dal rapporto emerge che le consorterie calabresi radicate oltre i confini regionali annoverano affilati di “ultima generazione in grado di consolidare relazioni affaristico-imprenditoriali, condizionando gli ambienti politico-amministrativi ed economici locali. L’omertà pervade perfino territori del Nord. Senza dire dell’avvicinamento di imprenditori ai mafiosi calabresi per soddisfare un proprio interesse contingente. Insomma una straordinarie capacità di riprodursi al Nord secondo lo schema tipo delle strutture calabresi”. Secondo la Dia in Calabria la ‘Ndrangheta è il “principale ostacolo a qualsiasi forma di sviluppo sociale, economico e culturale di una regione con un tasso di disoccupazione pari a circa il 20% della popolazione”. Di questo è “ulteriore testimonianza” l’operazione “Lande desolate” del mese di dicembre nel cui ambito gli agenti della Guardia di Finanza hanno individuato un “sistema criminoso finalizzato a distrarre risorse pubbliche, in violazione delle prescrizioni nell’ambito della gestione degli appalti per l’ammodernamento dell’aviosuperficie di Scalea e degli impianti sciistici di Lorica”. In questa inchiesta è anche coinvolto, tra gli altri, il governatore Mario Oliviero. Quindi, la ‘Ndrangheta è in grado di “riciclare ingenti quantitativi di proventi illeciti e di compromettere il corretto funzionamento della cosa pubblica, in un contesto in cui “il sistema mafioso annulla ogni possibilità di sviluppo della società, favorendo, di contro il benessere di pochi”.

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L’area grigia e i vertici delle cosche
Nel mandamento del centro della Calabria si conferma anche nel secondo semestre del 2018 l’egemonia delle cosche Libri, Tegano, Condello e De Stefano, confermata da importanti pronunciamenti giudiziari come gli esiti del processo “Gotha” che ha fatto emergere i vari aspetti criminali, l’operatività di un’"area grigia" funzionale al condizionamento del voto. Dal rapporto emerge che secondo le ultime inchieste le cosche maggiormente strutturate dalla ‘Ndrangheta reggina al pari di altre organizzazioni mafiose di diversa matrice, non si siano lasciate sfuggire il lucroso settore dei giochi. E proprio l’operazione “Galassia” ha colpito duramente le cosche Tegano, De Stefano, Piromalli, Pesce e Bellocco, rivolti, tra l’altro, anche alla gestione delle attività illecite connesse al settore del gioco e delle scommesse. Per quanto riguarda la mappatura geo-criminale delle organizzazioni del mandamento ionico, la relazione ha richiamato, in primo luogo, il locale di Platì, nell’ambito del quale si conferma l’operatività delle cosche federate Barbaro-Trimboli-Marando. Mentre nel locale di San Luca, secondo la Dia, risultano tuttora egemoni le cosche Pelle-Vottari-Romeo e Nitra-Strangio che, analogamente alle altre compagini ‘ndranghetiste del mandamento jonico non disdegnano, nelle loro proiezioni extraregionali, relazioni con i sodalizi di altra matrice. Secondo la relazione sono ancora in corso le ingerenze tra le cosche Pesce e Bellocco nelle varie attività illecite nel comprensorio di Rosarno-San Ferdinando, dal traffico di armi e stupefacenti all’infiltrazione nell’economia locale e nelle attività portuali.

La 'Ndrangheta al Nord
Secondo il rapporto per quanto riguarda il Piemonte “il radicamento sul territorio dei gruppi di origine ‘ndranghetista e le evidenze giudiziarie e di polizia non fanno intravedere, allo stato, inversioni di tendenza ovvero previsioni di ridimensionamento, anche in ragione dell’esistenza di una sorta di reciproca accettazione tra le consorterie di diversa matrice, anche straniera”. Inoltre, si è evidenziato che “esponenti dell’imprenditoria piemontese non abbiano disdegnato, all’occorrenza, di scendere a patti con esponenti dei locali di ‘Ndrangheta, per massimizzare i propri introiti e profitti”.
Per quanto riguarda la Lombardia oggi “la penetrazione del sistema imprenditoriale lombardo appare sempre più marcata da parte dei sodalizi calabresi. - è scritto nella relazione - L’infiltrazione in Lombardia non è stata ‘silente’ lasciando spazio, in diversi casi, all’esteriorizzazione del metodo mafioso, mettendolo ‘a sistema’ esattamente come nei territori di origine: negli anni, taluni omicidi registrati nella regione sono risultati funzionali alle dinamiche evolutive dei sodalizi, esattamente come il pressing intimidatorio e estorsivo sulle fasce produttive, sovrapponibile a quello praticato nelle aree di provenienza. Nel comasco, ad esempio, le vicende giudiziarie degli ultimi anni hanno evidenziato come le nuove generazioni di ‘ndranghetisti ‘blasonati’ non sembrano manifestare la tipica propensione imprenditoriale e la capacità di 'mimetizzarsi', propria di altri gruppi calabresi stanziati in Lombardia. Queste nuove leve, infatti, pur non disdegnando le attività illecite più ‘sofisticate’, come il riciclaggio e il reimpiego di capitali, sembrano privilegiare strategie ‘militari’ di controllo del territorio che - per quanto meno evolute nel profilo economico-criminale - creano tuttavia un diffuso allarme sociale, proprio per la pratica della violenza e della intimidazione". Mentre in Emilia Romagna, già da quanto è emerso dal processo Aemilia, la ‘Ndrangheta continua ad adottare “un approccio marcatamente imprenditoriale, prediligendo, tra le proprie direttrici operative, l’infiltrazione del tessuto economico-produttivo e, in taluni casi, del mondo politico-amministrativo, lasciando così spazio ad un’aggressione del territorio non militare, ma orientata alla corruttela e alla ricerca della connivenza. Tale modello operativo si è agevolmente prestato a consolidare un ‘sistema integrato’ di imprese, appalti ed affari, che ha costituito l’humus sul quale avviare le attività di riciclaggio e di reinvestimento delle risorse illecitamente acquisite”.

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I rapporti con Cosa nostra
Da quanto emerge dalla relazione secondo le indagini che “hanno confermato, peraltro, la tendenza dei gruppi calabresi a instaurare forme di utilitaristica interazione con consorterie di diversa matrice mafiosa, nella fattispecie con Cosa nostra. Una cooperazione tra matrici mafiose che, in linea generale, è giustificata da specifiche contingenze più che da una costante condivisione di interessi criminali”. Infatti su questo il rapporto cita una delle più importanti indagini della Dda di Reggio Calabria chiamata “’Ndrangheta stragista”, oggi confluita in un processo che vede alla sbarra il capo mafia di Brancaccio Giuseppe Graviano, e il boss Rocco Santo Filippone, entrambi accusati per gli attentati ai Carabinieri avvenuti tra il 1993 e il 1994 in cui morirono anche i due appuntati Garofalo e Fava. E proprio in questo processo sarebbero emersi legami tra ’Ndrangheta e Cosa nostra nel compimento di stragi contro uomini istituzionali. Secondo la Dia una “riprova di tali forme di cooperazione si sono avute anche nell’ambito di un’altra inchiesta, l’indagine ‘Pollino-European ‘Ndrangheta connection’ del mese di dicembre, ove le cosche di ‘Ndrangheta coinvolte sono risultate in affari con il clan Cappello di Catania e con due soggetti casertani”.

Scarica il PDF della 2° relazione semestrale: Clicca qui!

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