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reggio calabriadi Davide de Bari
Dalla relazione semestrale la criminalità organizzata calabrese mirerebbe all’infiltrazione nel settore imprenditoriale

La ‘Ndrangheta è “fortemente proiettata verso la gestione di tutte le attività economico-finanziarie più appetibili” e “mantiene intatta la propria supremazia, nel traffico degli stupefacenti, non solo a livello nazionale, interloquendo direttamente con i più agguerriti ‘cartelli’ della droga del mondo”. È da questi elementi che parte l’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia. Quella calabrese viene descritta come un’organizzazione “compatta” e tendenzialmente “refrattaria al fenomeno del pentitismo e quindi in grado di fare efficacemente ‘sistema’ sia nelle aree d’origine che al di fuori”. Secondo la relazione la ‘Ndrangheta è ancora molto legata “ai riti di affiliazione” in quanto è proprio questo che li permette di “rafforzare il senso di identità e per dare ‘riconoscibilità’ all’esterno, anche in contesti extraregionali e persino internazionali”. Infatti, il modello organizzativo della ‘Ndrangheta “sinora ha tracciate continua ad essere replicato, oltre che in Calabria, anche in altre aree nel Nord Italia ed all’estero, con proiezioni operative in Germania, Svizzera, Spagna, Francia, Olanda e nell’Est Europa, nonché nei continenti americani (con particolare riferimento al Canada) ed australiano”.
Non di poco conto il dato per cui sul fronte imprenditoriale alla ‘Ndrangheta sono “riconosciute potenzialità criminogene, proiettate verso ambiti delinquenziali sempre più raffinati, nel contaminare pericolosamente l’economia legale, alterando le condizioni di libero mercato con il monopolio di interi settori, da quello edilizio, funzionale all’accaparramento di importanti appalti pubblici, a quello immobiliare o delle concessioni dei giochi”.
Le infiltrazioni nell’economia non si fermerebbero solo in Calabria, ma “sono consistenti anche nel nord Italia”. E molto spesso questo accade quando le cosche cercano “imprenditori prestanome, necessari per l’aggiudicazione degli appalti pubblici, a prescindere dalla loro area di origine e dal contesto geo-criminale in cui insistono le sedi legali delle società”.
La relazione ha evidenziato che nel semestre preso in esame la Calabria ha visto sciogliersi ben sette comuni (Cirò Marina, Scilla, Strangoli, Limbadi, Platì, San Gregorio d’Ippona e Bratico) per mafia, in quanto le indagini mettevano alla luce le “collusioni tra i sodalizi e gli apparati politico-amministrativi locali, finalizzate alla acquisizione delle commesse pubbliche”.
L’azione criminale delle cosche “non manca, inoltre, di manifestarsi anche attraverso la pianificazione di atti intimidatori in danno di esponenti delle Forze dell’Ordine”.

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Le ‘ndrine tra infiltrazione economica e narcotraffico
La Dia ha sottolineato come nella “Piana di Gioia Tauro si conferma la leadership delle cosche Piromalli e Molè”. Inoltre, nel “mandamento tirrenico” le famiglie “continuano ad esprimere una spiccata vocazione imprenditoriale, che ha determinato, con il passare del tempo, una serie di mutamenti strutturali ed organici nelle storiche famiglie mafiose della ‘Ndrangheta. Tali mutamenti sono risultati funzionali anche alla nascita di nuove alleanze, che non hanno scalfito gli equilibri esistenti”.
Per quanto riguarda il Porto di Gioia Tauro, “da sempre considerato strumentale ai traffici illeciti delle cosche calabresi”, si registra un “calo dei quantitativi di droga sottoposti a sequestro negli ultimi tempi” e questo “renderebbe ipotizzabile l’adozione di nuove strategie, poste in essere attraverso una rimodulazione delle rotte per l’ingresso dello stupefacente. I sodalizi criminali potrebbero, infatti, aver dirottato i carichi di droga verso altri scali (soprattuto del nord Europa)”.

La presenza al Nord
Per la Dia la ramificazione della ‘Ndrangheta continua ad essere capillare in Lombardia. "La criminalità organizzata calabrese espande il suo modello organizzativo in Lombardia", si legge nel documento. Le cosche cercano, anche nella regione più industrializzata del Paese, di accreditarsi per accedere ai circuiti "utili a condizionare scelte politiche e amministrative, regolare rapporti con imprese, enti, banche ed istituzioni, consolidando la capacita di riciclare e reimpiegare i capitali illeciti". Sono "sempre piu sofisticate" le tecniche con cui la mafia si inserisce nello Stato "facendo diventare l'organizzazione criminale calabrese una vera e propria holding integrata del crimine".
La relazione ha evidenziato che anche in Piemonte vi è ormai “uno storico radicamento” delle cosche calabresi che spingerebbero i propri interessi “per i settori più floridi del tessuto economico e finanziario locale, con una conseguente creazione di attività imprenditoriali, connesse all’edilizia ed alla movimentazione della terra e degli inerti, spesso funzionali al riciclaggio di capitali illeciti”.
Secondo la relazione semestrale la ‘Ndrangheta in Liguria tende a “mimetizzarsi” e questo “ha reso più difficile, nel tempo, comprendere e far emergere il fenomeno, favorendo in tal modo tentativi di condizionamento delle amministrazioni locali e talvolta, la commissione di atti intimidatori (sopratutto incendi dolosi), strumentali al raggiungimento degli obiettivi criminali”. Questo è stato appurato grazie alle indagini che “negli ultimi anni hanno accertato l’esistenza di una macro-area criminale”.

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Dentro Aemilia
“Tra le mafie nazionali, la ‘Ndrangheta ha adottato, anche in questa regione, un approccio marcatamente imprenditoriale - si legge nella relazione in riferimento all’Emilia Romagna - l’infiltrazione sia del tessuto economico produttivo sia nelle amministrazioni locali”. La Dia ha spiegato che la ‘Ndrangheta “aggredisce il territorio, non attraverso il predominio militare, ma orientandosi alla corruttela e alla ricerca delle convenienze, funzionali ad una rapida acquisizione di risorse e posizioni di privilegio. Tale modello operativo si è agevolmente presentato a consolidare un ‘sistema integrato’ di imprese, appalti ed affari, che hanno creato un efficace humus con il quale avviare le attività di riciclaggio e di reinvestimento di capitali”. Tutto questo, ha sottolineato la Dia, “è emerso, da ultimo, nell’ambito dell’inchiesta ‘Aemilia’ del gennaio 2015, che ha fatto luce sulla pervasività della cosca curtense Grande Arcadi”.
La presenza delle cosche calabresi è in crescita anche in Toscana dove “è sensibilmente diminuita la presenza di gruppi mafiosi riconducibili a cosa nostra e di appartenenti alla sacra corona unita. Di contro, la camorra e la ‘ndrangheta si confermano protagoniste di un consolidamento organizzativo, colmando, specie nel caso delle cosche calabresi, gli spazi lasciati vuoti dai gruppi siciliani”.

La possibile espansione a Nord-est
Per quanto riguarda le regioni del Nord-est la Dia ha lanciato l’allarme di possibili infiltrazioni. In Veneto “la capillare presenza di piccole e medie imprese” insieme a “importanti snodi di comunicazione quali, il porto di Venezia-Marghera e gli aeroporti internazionali “Venezia-Marco Polo” e “Verona-Valerio Catullo” per la Dia potrebbe essere una “potenziale attrattiva per la criminalità mafiosa, principalmente interessata a riciclare e reinvestire capitali illeciti”. Mentre per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia “la ricchezza del tessuto economico-produttivo”, potrebbe essere “un polo di potenziale attrazione per i sodalizi criminali, anche di tipo mafioso”. Su questo la Dia ha ricordato le parole della Commissione parlamentare antimafia nella relazione conclusiva: “Anche il Friuli Venezia Giulia è oggetto di attenzione dei gruppi mafiosi per alcune ragioni specifiche: presenza nelle zone confinanti dei Paesi della ex Jugoslavia di organizzazioni criminali; l’espansione nella vicina Europa orientale di un vasto mercato di stupefacenti; l’influenza del porto di Trieste nei traffici verso l’est; i flussi migratori che transitano attraverso il territorio... La Commissione ha sollecitato una maggiore vigilanza sui rischi di infiltrazioni criminali, in particolare nei cantieri navali di Monfalcone... “.

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