di AMDuemila - Video
Indagine delle Procure di Reggio Calabria, Catania e Bari coordinata da Dna. Sequestri per 1 miliardo
Il mercato delle scommesse scelto per fare affari, riciclare il denaro e reinvestirlo per svariati milioni. E' questa la nuova via delle mafie del nuovo millennio, sempre più inabissato e capace di nascondersi dietro le piattaforme di gioco. La 'Ndrangheta reggina, la mafia catanese e le famiglie pugliesi, avevano trovato il modo di inserirsi nel mondo del betting, spartendosi il mercato e controllando in maniera diretta o indiretta giocate per oltre 4,5 miliardi di euro. Il dato emerge da ben tre inchieste delle procure di Bari, Reggio Calabria e Catania, coordinate dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che hanno portato all'arresto di 68 persone e al sequestro di beni in Italia e all'estero per oltre un miliardo. Il volume delle giocate, riguardanti eventi sportivi e non, scoperto dagli investigatori di Guardia di Finanza, Polizia e Carabinieri, è da capogiro.
I destinatari dei provvedimenti cautelari sono tutti importanti esponenti della criminalità organizzata pugliese, reggina e catanese, oltre a diversi imprenditori e prestanome. Guardia di Finanza, Polizia, Carabinieri e personale della Dia da questa mattina stanno inoltre eseguendo una ottantina di perquisizioni in diverse città. I reati contestati, a vario titolo, vanno dall'associazione mafiosa al trasferimento fraudolento di valori, dal riciclaggio all'autoriciclaggio, dall'illecita raccolta di scommesse on line alla fraudolenta sottrazione ai prelievi fiscali dei relativi guadagni. Dalle indagini è emerso che i gruppi criminali si erano spartiti e controllavano, con modalità mafiose, il mercato delle scommesse clandestine on line attraverso diverse piattaforme gestite dalle stesse organizzazioni. Il denaro accumulato illegalmente, il cui percorso è stato monitorato dalla Guardia di Finanza, veniva poi reinvestito in patrimoni immobiliari e posizioni finanziarie all'estero intestati a persone, fondazioni e società, tutte ovviamente schermate grazie alla complicità di diversi prestanome. E proprio per rintracciare il patrimonio accumulato ed effettuare i sequestri è stata fondamentale la collaborazione di Eurojust e delle autorità giudiziarie di Austria, Svizzera, Regno Unito, Isola di Man, Paesi Bassi, Curacao, Serbia, Albania, Spagna e Malta.
"Cerco chi clicca non chi spara"
Nel corso di alcune intercettazioni è emerso proprio il "pensiero" della mafia che si rinnova. Si ha bisogno di "quelli che cliccano, che movimentano" i soldi facendoli transitare da un Paese all'altro senza lasciar traccia delle transazioni online, non di quelli che fanno "bam bam", cioè di quelli che sparano. A parlare così è uno degli indagati, intercettato dalla Guardia di Finanza, mentre parla della strategia da attuare: "Io cerco i nuovi adepti nelle migliori università mondiali - lo sentono dire i finanzieri - e tu vai ancora alla ricerca di quattro scemi in mezzo alla strada vanno a fare così: 'bam bam!'" "Io invece - aggiunge l'uomo - cerco quelli che fanno così: 'pin pin!!'. che cliccano, quelli che cliccano e movimentano. E' tutta una questione di indice, capito?".
Ma a chiarire il funzionamento del "gioco on line" è stato un collaboratore di giustizia, un professionista del betting, che ha operato proprio con i clan reggini, catanesi e baresi per lo sviluppo e l'imposizione sul mercato di varie piattaforme di gioco. È stato lui a svelare le nuove frontiere degli affari criminali e il profilo dei nuovi picciotti chiamati ad esplorarle.
A Reggio, tre anni fa, l'operazione Gambling
Secondo quanto emerso dalle indagini, dietro all'organizzazione criminale c'erano i "rampolli" emergenti di alcune delle principali cosche della 'ndrangheta di Reggio Calabria. Secondo quanto emerso dall'inchiesta coordinata dalla Dda di Reggio Calabria - che ha portato al fermo di 18 persone - vi erano Danilo Iannì, Domenico Tegano e Francesco Franco. Grazie a questo accordo, l'accordo poteva sfruttare i caratteristici metodi di un'associazione mafiosa, la forza di intimidazione e la condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, per commettere delitti e per acquisire, in modo diretto o indiretto, la gestione o il controllo di attività economiche illegali. Tegano e Franco, per realizzare i propri progetti, si sono avvalsi a loro volta del peso criminale dei rispettivi padri: Pasquale Tegano, vertice dell'omonima cosca, più volte condannato per associazione mafiosa, e Roberto Franco, capo dell'omonima 'ndrina operante nel rione Santa Caterina di Reggio e aderente al sodalizio che fa capo alle famiglie De Stefano-Regano coinvolto recentemente nell'operazione denominata "Sistema Reggio" ed attualmente detenuto. E sono proprio le nuove leve delle cosche, secondo l'accusa, ad avere organizzato, nel 2016, una manifestazione icastica di appartenenza alla 'ndrangheta, un pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Polsi a San Luca, in Aspromonte, evocativo di una ritualità tipica della 'ndrangheta. In occasione dei festeggiamenti in onore della Madonna di Polsi, infatti, il Santuario è stato per decenni il luogo individuato dalle varie 'ndrine per stringere alleanze e per progettare strategie criminali. Un pellegrinaggio che per gli investigatori assume un particolare significato dal momento che viene anche definito il percorso da seguire che prevede inizialmente un passaggio, in segno di rispetto, davanti alle carceri di Reggio Calabria "San Pietro" e "Arghillà" nonché nei pressi dell'abitazione di Roberto Franco. Analoga attenzione viene posta alle modalità di trasporto ed ai partecipanti: è stato utilizzato un autocarro scoperto allestito con un'impianto di amplificazione e generatore elettrico, ed invitati soggetti ritenuti idonei a partecipare all'evento, precisando che avrebbero preso parte esponenti delle "locali" di Archi, Condera e Cannavò. "..facciamo il triangolo delle bermuda Archi, Condera e Cannavò .." dice uno degli indagati intercettato.
Non è la prima volta che il mondo delle scommesse finisce sotto la lente degli investigatori. Tre anni fa un'inchiesta della Dda di Reggio Calabria, denominata Gambling, aveva portato all'arresto di 41 persone e al sequestro di beni pari a 2 miliardi di euro.
Già allora era emersa l'esistenza di un sistema di affari complicato da individuare.
Di fatto le cosche reggine avevano creato un sistema parallelo di scommesse basato sul pagamento delle puntate in contanti, vietato dalla legge che impone la tracciabilità delle giocate e l'identificazione del giocatore. Dietro le imprese schermo era poi stata nascosta l'offerta al pubblico e la gestione di siti di poker e scommesse online che consentivano l'accesso al gioco illecito. Così facendo le cosche di 'ndrangheta si sottraevano al pagamento delle imposte, ottenendo lauti guadagni, riciclando al contempo un'enorme massa di denaro "sporco" attraverso l'utilizzo di conti di gioco intestati a persone compiacenti o inconsapevoli. A gestire l'affare miliardario, secondo quanto emerso nell'operazione Gambling, era Mario Gennaro - poi divenuto collaboratore di giustizia - indicato dagli investigatori come uomo della potente famiglia dei Tegano. Era grazie a lui - che viveva a Malta - che le cosche avevano creato numerose società estere di diritto maltese con le quali gestivano i traffici. E proprio a gennaio avrebbe iniziato a collaborare con la giustizia rivelando il sistema d'affari.
Affari che 'ndrangheta, mafia catanese, criminalità pugliese hanno gestito, appunto, di comune accordo. "Ormai non esiste più una 'ndrangheta, una mafia siciliana o pugliese, sono organizzazioni fluide che in accordo fra loro gestiscono affari diversi", ha detto il procuratore capo della Dna, Federico Cafiero de Raho. "Di questi rapporti - ha aggiunto - abbiamo una fotografia sempre più chiara, vediamo anche da indagini ancora in corso come le mafie tutte lavorino insieme in diversi settori. Resta da capire se esista una cabina di regia stabile o se gli accordi maturino di volta in volta sui territori interessati, ma anche su questo stiamo lavorando". Infine il Procuratore nazionale antimafia ha concluso: "Con questa indagine si dimostra in modo chiaro di quale sia la ricchezza di cui dispongono queste associazioni criminali. Se si riuscisse a sviluppare un vero contrasto su questo fronte, se davvero se ne capisse l'importanza, si potrebbe risollevare l'economia di questo Paese. Battere le mafie significa dare lavoro alle persone oneste che non sarebbero costrette a confrontarsi con la concorrenza sleale dei clan".
A Catania 28 fermi e chiuse 46 agenzie
Per quanto riguarda il segmento d'inchiesta sviluppato dalla Procura distrettuale di Catania in totale sono 28 le persone fermate. Tra loro vi sono esponenti dei clan Cappello e Santapaola-Ercolano. I provvedimenti sono stati eseguiti da personale di Guardia di Finanza, Polizia di Stato e Carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Catania e del Ros. Contestualmente sono stati sequestrati preventivamente in via d'urgenza beni per circa 70 milioni di euro, in Italia e all'estero, e 46 agenzie di scommesse e internet point nelle province di Catania, Messina, Siracusa, Caltanissetta e Ragusa. Le indagini si sono avvalse anche del contributo di un collaboratore di giustizia che, grazie alle proprie competenze tecniche specifiche, era stato l'ideatore della struttura organizzativa utilizzata dai clan. La mafia catanese, secondo stime della Procura, avrebbe ottenuto un profitto complessivo di oltre 50 milioni di euro tra il 2011 e il 2017. La Procura ha delegato le indagini a guardia di finanza e carabinieri su "esponenti di spicco della 'famiglia' Santapaola-Ercolano ed in particolare a Carmelo, Giuseppe Gabriele e Vincenzo Placenti", fermati da militari dell'Arma e dal Ros, e alla Polizia di Stato sulle "attività illecite riconducibili ad esponenti di rilievo del clan Cappello". Secondo l'accusa, il "gruppo Placenti attraverso il sito revolutionbet, aveva compiuto un autentico salto imprenditoriale assurgendo al primario ruolo di bookmaker in grado di imporsi nel mercato regionale del gaming con una rete commerciale di 8 master sotto i quali hanno operato 28 commerciali, 7 sub-commerciali e 20 presentatori". Gli accertamenti patrimoniali condotti sul gruppo Placenti dalla guardia di finanza di Catania ha permesso alla Procura di emettere provvedimenti ablativi cautelari per 42 unità immobiliari e 36 società commerciali (tra le quali oltre a società nazionali ed estere attive nel gaming anche un autosalone, una società di rimessaggio di barche e noleggio di moto d'acqua, una palestra, una squadra di calcio militante nel campionato di Promozione). Tra i beni di particolare pregio, vi sono una villa sul mare, edificata ad Augusta e non censita al catasto e un lussuoso appartamento di 11 vani sita a Castelnuovo di Porto a Roma (fittiziamente intestato a un Gruppo Europeo di Interesse Economico maltese) nonché 5 appartamenti in Austria (Vienna e Innsbruck). Da indagini della Squadra Mobile di Catania e dello Sco di Roma sono emersi che gli interessi del clan Cappello nel settore del gaming on line clandestino venivano curati, sul versante catanese, da Giovanni Orazio Castiglia, legato da rapporti diretti di parentela a Salvatore Massimiliano Salvo, esponente di vertice della cosca, mentre sul versante siracusano emergeva la figura dell'imprenditore Antonino Iacono, residente a Pachino (Sr). Castiglia è accusato dalla Procura di essere "organizzatore e direttore dell'associazione per delinquere, promossa da Salvo, al quale è contestato il ruolo di capo promotore". Inoltre Castiglia è indagato per concorso esterno all'associazione mafiosa Cappello perché, "pur non essendo stabilmente inserito nel sodalizio, contribuiva sistematicamente e consapevolmente alla realizzazione di talune attività ed al raggiungimento degli scopi del clan, avendo organizzato e garantito la diffusione sul territorio di Catania e Siracusa della rete necessaria per realizzare i giochi on line, acquisendo agenzie, dirigendo i master e gli agenti, gestendo il flusso di denaro necessario per le vincite, in tal modo fornendo un contributo causale di rilievo per il mantenimento e la realizzazione degli interessi del predetto clan mafioso".
A Bari 22 arresti
Per quanto riguarda l'operazione compiuta a Bari la Guarda di Finanza ha arrestato 22 persone, 7 in carcere e 15 ai domiciliari, e vi sono anche altri 22 indagati. Inoltre sono stati sequestrati beni per un valore complessivo di 200 milioni di euro. Ad essere colpiti gli esponenti dei clan mafiosi Parisi e Capriati, nell'ambito di una indagine della Dda avviata nel 2015. I due gruppi criminali, in contatto anche con le organizzazioni mafiose di Sicilia, Campania e Calabria, avrebbero costituito una vera e propria "multinazionale delle scommesse" movimentando oltre 1 miliardo di euro da Malta a Curacao, passando per le Isole Vergini e le Seychelles. Gli investigatoti hanno accertato il passaggio dei due clan "da un modello tradizionale di mafia militare a quello più evoluto di mafia degli affari" che "ha ora assunto, stabilmente, una sua specifica identità imprenditoriale e cerca i nuovi adepti nelle migliori Università". Il centro di potere di questa mafia del "clic" e del "punto. com'è stato individuato nella famiglia barese dei Martiradonna, il padre Vito, soprannominato "Vitin l'Enèl" e i figli Michele, Mariano e Francesco. Vito Martiradonna era il cassiere del clan Capriati. Il "grande salto di qualità" lo ha reso oggi un bookmaker, grazie contributo della nuova generazione di famiglia. "Questa indagine, per la prima volta, - spiega la Procura di Bari - certifica la radicale evoluzione in chiave economico finanziaria di quelli che sono, sul piano strategico, i nuovi ambiziosi obbiettivi della criminalità organizzata barese. Non più semplice attività di riciclaggio, ora si entra in maniera prepotente e spregiudicata nei settori di avanguardia del mercato economico globale e lo si fa da protagonisti, con investimenti diretti verso un settore altamente strategico quale quello delle scommesse e del gioco d'azzardo". "Gli indici non tirano più i grilletti delle armi ma cliccano sulle tastiere dei personal computer e sugli smartphone di ultima generazione per gestire in rete il gioco d'azzardo e per movimentare il denaro ricavato" hanno aggiunto gli inquirenti della Dda di Bari.