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metauros c strettoweb simone pizziOperazione “Metauros”, 7 arresti: “Fanghi come fertilizzanti, pericolo per la salute"
di Miriam Cuccu
Per le cosche il termovalorizzatore di Gioia Tauro era il crocevia dello smaltimento di rifiuti: un business interamente nelle mani del clan Piromalli, dalla manutenzione, allo smaltimento dei fanghi, al trasporto, grazie anche all'utilizzo di false fatturazioni e all'inserimento di propri uomini nel ciclo dello smaltimento e della lavorazione dei rifiuti. L'enorme giro d'affari emerge dall'operazione “Metauros”, scattata per opera della Squadra mobile di Reggio Calabria e del Comando provinciale dei carabinieri, che ha portato all'arresto di sette soggetti considerati affiliati ai Piromalli.
“Dalla meccanica generale, alla carpenteria, all'installazione di parti di strutture metalliche, come il nastro trasportatore dei rifiuti - si legge nell'atto d'accusa - tutto era controllato, in via esclusiva, dai Piromalli e dai loro prestanome”. Tra i fermati, anche Rocco La Valle, ex sindaco di Villa San Giovanni: la sua famiglia è proprietaria della Eco.Fal., impianto per la raccolta delle autovetture rottamate. Poi c'è l'avvocato Gioacchino Piromalli, figlio di don Pino “facciazza” attualmente detenuto, secondo gli inquirenti al vertice della cosca e ideatore delle infiltrazioni mafiose nelle attività del termovalorizzatore. Arrestato anche l'ex vicesindaco di Gioia Tauro, pure lui avvocato, insieme ai fratelli Giuseppe, Domenico e Paolo Pisano, imprenditori considerati uomini di fiducia dei Piromalli, e l'autotrasportatore reggino Francesco Barreca. L'ex vicesindaco è ritenuto l'uomo politico di riferimento della cosca per gli affari che ruotavano attorno al termovalorizzatore attraverso l'impresa dei fratelli Pisano.
Sono iscritti nel registro degli indagati anche il boss Giuseppe Commisso e l'ispettrice della polizia di Stato Ilenia Coco, moglie di Giuseppe Pisano, già in servizio nella sezione di polizia giudiziaria della Procura di Palmi e in seguito trasferita nella Questura di Firenze. Le accuse, nei suoi confronti, sono di rivelazione di segreto d'ufficio e indebito accesso alla banca dati interforze. I fatti a lei contestati risalgono agli anni 2012 e 2013, periodo in cui era in servizio alla sezione di polizia giudiziaria della procura della Repubblica del tribunale di Palmi. La poliziotta avrebbe rivelato a Pisano, all'epoca suo convivente, notizie relative alla sua posizione giudiziaria e a quella di altre persone, in parte apprese da una collega in servizio al commissariato di polizia di Gioia Tauro. L'ispettrice, nel 2014, ottenne poi il trasferimento da Palmi a Fiesole, alle porte di Firenze, dove già in precedenza il marito si era trasferito in seguito ad un agguato a colpi di kalashnikov a Gioia Tauro nel dicembre del 2013, quando non erano ancora emersi i suoi presunti legami con la criminalità organizzata.
La decisione di costruire il termovalorizzatore - l'unico della regione dove vengono conferiti rifiuti indifferenziati dai centri di compostaggio di tutta la Calabria - fu presa dalla Giunta regionale in carica nel 2002. Fu per la realizzazione dei lavori, poi terminati nel 2004, che i Piromalli si rivolsero ai fratelli Pisano. “Questa operazione certifica, per l'ennesima volta, l'interesse economico e di potere sul territorio della 'ndrangheta nel riciclo dei rifiuti” ha dichiarato il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho. "Il termovalorizzatore - ha proseguito il magistrato - era di fatto nella disponibilità del 'casato' dei Piromalli e dei loro sodali, tra i quali i fratelli Giuseppe, Domenico e Paolo Pisano, imprenditori di riferimento del clan”.
Ma il controllo dei Piromalli si sarebbe esteso anche sulla società Iam (Iniziative ambientali meridionali) che gestisce le acque reflue dei comuni di Anoia, Cinquefrondi, Feroleto della Chiesa, Cittanova, Melicucco, Polistena San Giorgio Morgeto, Taurianova, Laureana di Borrello, Galatro, Gioia Tauro, Rosarno, Palmi, San Ferdinando e Rizziconi, per un bacino di utenza di oltre 150 mila persone. Il condizionamento sarebbe stato messo in atto, anche in questo caso, attraverso un consolidato sistema di attività estorsive. “Con il sistema della sovrafatturazione - ha spiegato il procuratore aggiunto Gaetano Paci - le persone coinvolte nell'operazione ottenevano, di fatto, il pagamento della tangente, occupandosi anche dello smaltimento dei fanghi di depurazione, provenienti da impianti di tipo biologico e industriale, per la produzione di 'compost' per usi agronomici”. Un capitolo dell'inchiesta riguarda infatti l'utilizzo dei fanghi prodotti dal termovalorizzatore, che “per volontà della cosca Piromalli, che controllava l'impianto, - ha aggiunto de Raho - venivano trasformati in fertilizzanti destinati al settore agricolo, con conseguente pericolo per la salute pubblica”. L'inchiesta punta ora a verificare le quantità di sostanze inquinanti immesse nell'aria dal termovalorizzatore, gestito fino a pochi mesi fa dalla multinazionale francese Veolia. L'attenzione è concentrata, in particolare, sul particolato di diossina.

Foto © StrettoWeb / Simone Pizzi

Articolo modificato il 24 aprile 2023

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