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verona aerea effdi Sara Donatelli
I GRANDE ARACRI A VERONA

L’inchiesta Aemilia, insieme ad altre inchieste “gemelle” (come ad esempio Kyterion in Calabria), ha fatto emergere non solo lo  spessore criminale della Cosca Grande Aracri ma ha posto l’accento sulle sue capacità di tessere rapporti con diversi ambienti, siano essi politici, massonici, economici e persino religiosi. Focalizzando la nostra attenzione sui rapporti tra la cosca cutrese e il mondo economico, vediamo come, leggendo le carte del processo Aemilia, il clan Grande Aracri sia stato in grado di entrare anche nel mondo del business immobiliare veronese.

L’AFFARE RIZZI
In questo scenario si colloca la vicenda inerente all’affare del “Fallimento Rizzi”, che riguarda l’acquisizione dei beni della Rizzi Costruzioni s.r.l, una grande azienda fallita il cui procedimento era gestito dal tribunale fallimentare di Verona. Nell’ordinanza si legge che “l’organizzazione ‘ndranghetista emiliana intravede, dall’eventuale acquisizione dei beni immobili fallimentari e delle aree ex industriali ubicate tra la Gardesana e Verona, la possibilità di ricavare ingenti introiti, ammontanti a diversi milioni di Euro, che deriverebbero dalle vendite degli immobili in acquisizione (per alcuni beni infatti risultano interessati dei compratori “russi” non meglio identificati)”. E ancora “L’operazione dimostra la capacità di penetrazione anche in contesti diversi da quello emiliano, come quello veronese, coinvolgendo settori dell’imprenditoria come Moreno Nicolis - che dispone di contatti anche con l’Amministrazione comunale scaligera - e altre organizzazioni criminali come la famiglia Galasso”. Non solo il clan Grande Aracri, dunque. Ma altri protagonisti le cui storie e i cui nomi si intersecano e convergono tutti nella medesima vicenda. Al tavolo della trattiva (durata sei mesi, dal dicembre 2011 al maggio 2012) si siedono mafiosi, imprenditori, professionisti e persino politici. A spartirsi il bottino, due “gruppi”: quello emiliano (rappresentato inizialmente da Antonio Gualtieri e Francesco Lamanna, esponenti del clan Grande Aracri) e quello veronese (la famiglia Galasso-Larosa, riconducibile al clan Facchineri). Insieme al “gruppo emiliano” abbiamo tre tecnici: Roberta Tattini, Giovanni Summo e Mauro Sgarzi. In mezzo, Moreno Nicolis, imprenditore veronese, chiave d’accesso per entrare in contatto con l’amministrazione comunale veronese. Ai margini, infine, il vicesindaco e il sindaco di Verona, Vito Giacino (condannato in appello 3 anni e 4 mesi) e Flavio Tosi. Della vicenda del fallimento Rizzi ne ha lungamente parlato il Maresciallo Dubrovich (chiamato a deporre al processo Aemilia) che ha riconosciuto in Nicolis il “soggetto che ha permesso al  sodalizio emiliano di avvicinarsi alla zona veronese per fare affari”. Ed è lo stesso Dubrovich che, parlando proprio dell’affare Rizzi, afferma come questo “doveva essere la più importante operazione finanziaria trattata da Gualtieri”. A dare l’input, dunque, è Moreno Nicolis che prospetta ad Antonio Gualtieri il progetto di acquisizione del patrimonio immobiliare derivante dal fallimento Rizzi Costruzioni s.r.l. Inizia la complessa trattativa.

LA COMPLESSA TRATTATIVA
Il 3 dicembre 2011, a Sona (Verona), presso il parcheggio dell’industria T.M. Logistica S.r.l. avviene un primo incontro tra i due gruppi protagonisti dell’affare, quello emiliano (rappresentato da Francesco Lamanna e Antonio Gualtieri) e il gruppo veronese (rappresentato da Rocco Larosa e Antonino Galasso). “La riunione - si legge nell’ordinanza - ha avuto sicuramente tra gli argomenti anche l’accordo tra i rappresentanti delle due famiglie mafiose nella gestione dell’acquisizione dei beni immobili del fallimento della Rizzi Costruzioni di Verona. Antonio Gualtieri  si fa accompagnare da Francesco Lamanna personaggio di assoluto rilievo e carisma nella consorteria criminale emiliana”. Durante la sua deposizione, il Maresciallo Dubrovich afferma che, in quell’occasione “si cerca denaro per comprare questi beni e compratori a cui rivenderli”. Per capire il rapporto tra i due gruppi, è utile citare una conversazione intercettata dai carabinieri in cui Gualtieri afferma che la famiglia Galasso è sottomessa alla famiglia cutrese: “noi sai quanto li calcoliamo a loro? Come il due di briscola! sono sotto le nostre palle questa gente” e ancora “loro sono sotto il nostro torchio, basta che io stringo la vite e loro ci rimangono con le palle”. Gualtieri fa inoltre una netta distinzione tra la locale madre di Cutro e la cellula di ‘ndrangheta emiliana: “io dispongo di 150 uomini, mentre lui dispone di 500 uomini, penso che forse in carcere ne ha una novantina, penso in carcere che deve uscire”. E’ proprio in questa “fase preliminare” che subentra la figura di Roberta Tattini (già condannata nel rito abbreviato del processo Aemilia a 8 anni e 8 mesi) Nell’ordinanza si legge infatti che “l’operazione era realizzabile soltanto una volta individuato un finanziatore, reperito da Roberta Tattini”. Gualtieri incarica dunque Roberta Tattini di aiutarlo nella gestione dell’affare. La donna, a sua volta, si fa affiancare da altri due collaboratori: Giovanni Summo, (assolto con rito abbreviato nel processo Aemilia) e Mauro Sgarzi. Quest’ultimo, in una conversazione con la Tattini dove la donna spiega quanto siano importanti i personaggi che gravitano attorno alla vicenda del fallimento Rizzi, dirà: “per certi affari ci vuole da un lato la pila e  dall’altro la potenza”. Il 10 gennaio 2012, la Tattini, Gualtieri e Nicolis si recano nuovamente presso la T.M. Logistica S.r.l. per incontrarsi nuovamente con Rocco Larosa. Saranno solamente Nicolis e Gualtieri ad entrare all’interno dell’azienda, la Tattini resterà in auto. Ancora una volta, è il Maresciallo Dubrovich a raccontare la vicenda: “La sera, la donna parlando con il marito racconta di aver conosciuto un grande imprenditore veronese (Moreno Nicolis, ndr) grazie a cui è possibile entrare  in un affare importante inerente al fallimento di un’azienda (la Rizzi costruzioni, ndr). La Tattini dice che deve mettersi a studiare perché se l’operazione fosse andata in porto, il guadagno sarebbe stato notevole”. Nel frattempo, i carabinieri registrano una “trasferta” di Moreno Nicolis a Cutro. Tra le varie conversazioni intercettate tra Nicolis e Gualtieri, ve ne sono alcune in cui si fa riferimento ad affari sulla fornitura di ferro e acciaio per impianti eolici nel crotonese. Nicolis non sembra affatto stupito dell'incontro con il boss, anzi all'inizio sembra quasi deluso: “Non mi sembra tanto forte questo qua”. Ma Gualtieri ribatte: “Morè, ascolta, lui è quella persona che comanda la Calabria... Senti a me, a un tuo fratello, che io ti voglio bene veramente … Morè, lui comanda”. Gualtieri, arriverà addirittura a chiedere all’imprenditore veronese chi sia, secondo lui, più 'ndranghetista tra lui e Grande Aracri: "Morè, dimmi la verità, tu mi fai più 'ndranghetista a me che  a lui". Il 30 gennaio 2012, Gualtieri e Lamanna si recheranno nuovamente a Verona per incontrare Nicolis e Galasso. Sull’auto di Gualtieri si registrano numerose conversazioni tra Gualtieri e Lamanna in merito alla necessità di fare “affari puliti” e sarà Gualtieri a porre l’accento sugli affari emiliani: “Io me ne frego di Cutro, però qualcosa gli tocca Francù, un terzo glielo devi dare”. Dopo una piccola fase di stallo, dovuta alle problematiche sollevate dalla Tattini in merito al mancato pagamento per alcuni lavori da lei svolti da parte di Antonio Crivaro, riprendono le trattative. I tre tecnici (Tattini, Summo e Sgarzi) si incontrano a Bologna con Antonio Gualtieri che, dopo questa riunione, chiamerà i Galasso per tranquillizzarli sull’andamento dell’affare. Durante la sua deposizione, il Maresciallo Dubrovich mostra in aula alcune fotografie (sequestrate dal PC di Roberta Tattini) che mostrano i beni che il gruppo aveva intenzione di acquisire. L’1 marzo 2012 è una data di fondamentale importanza: scende in campo Nicolino Grande Aracri che, insieme ad Antonio Gualtieri, si reca presso l’ufficio di Roberta Tattini per parlare dell’affare Rizzi e, come si legge nell’ordinanza, darà “il benestare e la linea di condotta”. Non a caso, due giorni dopo la Tattini parlerà di questo incontro con il collega Sgarzi, a cui dirà “tutto è positivo” e, parlando di Nicolino Grande Aracri, lo  definisce “sanguinario”. Considera l’incontro, testualmente, “un  grande onore” e, così come riferito in aula dal Maresciallo Dubrovich “quelli di su sono andati a chiedere a lui e lui gli ha detto cosa devono fare”. Un’altra conversazione intercettata dai carabinieri vede la Tattini parlare con la madre di un pranzo a Verona con Moreno Nicolis e con il sindaco di Verona, Flavio Tosi: “tutti loro sono andati a pranzo con Moreno dove era presente anche il Sindaco di Verona, Tosi Flavio e altra gente”. “A questi bisogna portare rispetto", conclude la donna. Gli equilibri, però, iniziano a vacillare. Il 13 marzo 2012 durante un incontro con Francesco Mauro, cognato di Nicolino Grande Aracri, Gualtieri in un primo si lamenta dei Galasso, la “controparte veronese” nell’affare, (che secondo lui hanno solo millantato di avere le conoscenze giuste per portare a termine l'operazione) e poi parla di Moreno Nicolis: “abbiamo un bellissimo rapporto, ma bello davvero, con quel signore che mi ha dato la macchina. Ed è uno dei primi industriali di Verona! E’ lui che mi sta dando una mano politicamente per fare questo affare. I "baluba" dei riggitani (i Galasso, ndr) non capiscono che senza politica non si fa niente, ancora non l'hanno capito! E hai voglia a dirglielo compà! Vedete che noi il gruzzoletto al sindaco glielo dobbiamo dare». In questa fase, come detto, iniziano a vacillare gli equilibri tra le due famiglie in quanto emergono problematiche circa i costi da affrontare per effettuare la bonifica ambientale dei beni che sarebbero stati acquisiti grazie all’affare Rizzi. E’ in questo momenti che Nicolino Grande Aracri capisce l’incapacità di Gualtieri nel gestire un affare di tale portata. Nell’ordinanza si legge “questa (l’operazione, ndr) non andrà a buon fine per l’inadeguatezza dello stesso Gualtieri, verosimilmente non sufficientemente attrezzato per realizzare un affare di dimensioni imponenti, che avrebbe richiesto finanziamenti non facilmente rinvenibili, e per dissidi insorti tra le due consorterie criminali protagoniste dell’operazione”. A questo punto, le redini vengono prese in mano direttamente dalla famiglia Grande Aracri, che mette in un angolo Antonio Gualtieri, e schiera il fratello del boss, l’avvocato Domenico Grande Aracri. Nell’ordinanza si legge: “effettivamente l’incontro tra Roberta Tattini e Domenico Grande Aracri è realmente avvenuto il 23 aprile 2012 allorquando il predetto era giunto al Nord Italia per occuparsi personalmente del Fallimento Rizzi, in sostituzione di Antonio Gualtieri. (…) Roberta Tattini contatta Salvatore Minervino e i due si accordano per vedersi in Sona (VR) presso la TM Logistica con Immacolata Larosa. L’incontro effettivamente avviene e se ne ha contezza alle successive ore 20.29 al termine del summit, allorquando Roberta Tattini, Fulvio Stefanelli e Giovanni Summo Roberta salgono a bordo della Range Rover. Ma non sono soli. Sul Suv salgono anche Domenico Grande Aracri, Salvatore Minervino e Pallone Antonio. Quella sera Roberta Tattini accompagnerà Domenico Grande Aracri e Antonio Pallone a Erbusco (BS) e poi rientrerà con il marito e Summo a Bologna”. In merito a ciò, il Maresciallo Dubrovich, durante la propria deposizione in aula, cita una conversazione tra la Tattini e il marito, in cui la donna afferma: “mi mandano su il fratello e il contabile”. “Di questo incontro a Verona - afferma Dubrovich - Gualtieri non sa nulla. Cutro sta dunque trattando direttamente con i Galasso, estromettendo Gualtieri dall’affare. Il fatto che si stiano muovendo Domenico Grande Aracri (definito in una intercettazione dalla Tattini come “il  fratello del grande capo”) e Salvatore Minervino è indice del fatto che a mobilitarsi direttamente è proprio il boss Nicolino Grande Aracri”. Emerge dunque il distacco tra la cosca emiliana e la cosca cutrese (in un’altra intercettazione la Tattini afferma che “i problemi sono tra il nord e il sud”). A questo punto, però, sono troppi gli ostacoli per la realizzazione del progetto e a parlare della complessa situazione di stallo in cui versa la trattativa è lo stesso Gualtieri che, in una intercettazione, sottolinea che l’unica persona che potrebbe far saltare l’affare di Verona è Moreno Nicolis in quanto ha forti legami con i politici locali: “che se vuole, quello di Verona, quel cane di mandria lì, se vuole ci fa saltare tutta l’operazione professò, perché quello lì c’ha la politica in mano, professò, lui il sindaco e il vice sindaco mangiano in casa sua!!… quando il progetto della… Tosi fallo passare…che gli dici a Moreno… di presentarti subito il progetto…”. La presenza nell’area di amianto, l’inquinamento della falda, i dissidi e rivalità tra le due famiglie, la rottura tra Gualtieri e Grande Aracri (che gli contesta  l’appropriazione di alcune somme di denaro provento della sua autonoma attività di recupero crediti) portano alla fine di ogni trattativa. A maggio 2013 l’affare Rizzi viene accantonato.
Sono tre i nomi dei personaggi dell’amministrazione comunale di Verona che ritornano nelle carte degli inquirenti: il sindaco Flavio Tosi, l’allora vicesindaco Vito Giacino e l’allora assessore allo sport Marco Giorlo.

LA POLITICA VERONESE, MORENO NICOLIS E I GRANDE ARACRI
Abbiamo citato un pranzo (il 22 febbraio 2012) a cui partecipano Antonio Gualtieri, il sindaco Flavio Tosi e l'allora vicesindaco Vito Giacino (al tempo anche assessore all'urbanistica del comune di Verona). E’ ancora una volta Gualtieri che, parlando con la Tattini, le racconta “di essere stato da Moreno Nicolis il quale ha riferito di essere ancora interessato all'affare del Fallimento e che anche il Vicesindaco di Verona (Vito Giacino) sta seguendo questa situazione”. “Gualtieri – si legge nell'informativa – precisa che Nicolis Moreno ha rappresentato al politico di avere interessi per prendere l'area Tiberghien e che quest'ultimo si è detto disposto a dargli una mano in tal senso”. Sempre Gualtieri, parlando con Salvatore Minervino dice: “allora sono andati da lui... siccome io gli avevo detto che lo volevo conoscere a Tosi, no? Ha preso Moreno me l'ha portato là, me l'ha fatto conoscere... è sempre buono avere delle amicizie”. E ancora: “Salvatò, e credimi che te lo dico come un fratello, non è facile chiudere una trattativa là, che c'è la politica in mezzo, Salvatò... che Tosi, là”. L’affare Rizzi, tuttavia, non è la prima occasione di incontro tra Moreno Nicolis con Giacino e Tosi. In una inchiesta pubblicata da L’Espresso, si parla di una vicenda risalente al 2011. Nel Piano dell'anno 2011-2012, a firma di Giacino e Tosi compaiono due varianti urbanistiche chiesta dalla Nico.fer (la società di Nicolis): la prima riguarda la ristrutturazione della sua fabbrica; la seconda invece rende per la prima volta edificabili ben 16.500 metri quadri in un'area di 42 mila nella zona sud della città, in via Golino, vicino all'ospedale di Borgo Roma. Il piano urbanistico viene approvato e la Nico.fer ottiene l’autorizzazione per realizzare un grande centro commerciale. L’ex sindaco di Verona, Giacino, viene arrestato nel febbraio 2014 (e condannato in primo grado a 5 anni di reclusione per corruzione) e poco dopo la Soprintendenza blocca il centro commerciale perché troppo a ridosso del Forte Tomba, la fortezza costruita nell'Ottocento dagli austriaci. Intanto l’area viene venduta alla Supermercati Tosano. A novembre quest'ultima fa ricorso al Tar contro la Soprintendenza, con l’appoggio dell’amministrazione Tosi secondo cui la società Tosano, ma anche il venditore (Moreno Nicolis), avrebbero subito un danno ingiusto.  Nicolis è ritenuto dagli inquirenti “capace di manovrare gli affari e conoscere - in anticipo - eventuali orientamenti su alcune aree cittadine, in relazione all'edificabilità o meno". Quando il Prefetto emise l'interdittiva antimafia il sindaco Tosi prese le difese del Nicolis.

LE INCHIESTE VERONESI: LA FAMIGLIA GIARDINO
Abbiamo dunque capito che, grazie alla figura di Moreno Nicolis, i Grande Aracri riescono ad “entrare” a Verona. Per caèire ancora meglio, però, il “mondo veronese” da una prospettiva interna, occorre citare l’inchiesta “Premium Deal” della Procura di Verona coordinata dal pm Beatrice Zanotti, che ha coinvolto una decina di esponenti della famiglia Giardino. L’inchiesta è partita nel gennaio del 2015 dalla denuncia di un assicuratore scaligero, vittima di estorsioni e ricatti per una cifra di 687 mila euro. Tra gli indagati troviamo il nome di Alfonso Giardino, insieme a quello di Rosario Capicchiano. Nell’informativa del 9 marzo 2014 dei carabinieri di Crotone entrambi vengono ricondotti dagli investigatori alla famiglia Giardino di Isola di Capo Rizzuto: “su Alfonso Giardino – si legge – sarebbe emerso il pieno coinvolgimento in dinamiche che riguardano la ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto”, mentre su Capicchiano, “legato da vincoli di parentela ai Giardino”, l’Arma di Crotone ricorda come il cugino Salvatore fosse stato “condannato a morte nella faida in corso a Isola Capo Rizzuto tra le famiglie Arena e Nicoscia”. Queste ultime due famiglie sono fortemente legate ai Dragone e ai Grande Aracri.  Perché facciamo questi nomi? Il nome dei Giardino è tornato agli “onori della cronaca” proprio ieri, in seguito ad un articolo del Fatto Quotidiano in cui il giornale mostrava la foto di un esponente della famiglia Giardino insieme al sindaco di Verona, Flavio Tosi. Ma non è la prima volta che i Giardino vengono accostati all’amministrazione comunale veronese. Prima però di approfondire questo aspetto, occorre capire meglio chi siano i Giardino. La famiglia Giardino è, innanzitutto, considerata contigua al clan Grande Aracri. In una relazione di servizio del 28 maggio 2012 del Nucleo operativo dei Carabinieri di Verona si legge che  “le attività tecniche hanno fornito altresì il pieno coinvolgimento di Giardino Alfonso in dinamiche che riguardano la 'ndrangheta di Isola Capo Rizzuto”. E dove operano? Scrivono i carabinieri: “operanti da anni a Verona, dove gestiscono imprese edili e distributori di carburante, i Giardino vengono ritenuti dagli inquirenti contigui alla criminalità organizzata”. In particolar modo, sono due i nomi ben conosciuti dagli inquirenti. Antonio Giardino, imprenditore 39enne di origini crotonesi. Risulta fra i 25 indagati dell’inchiesta “Premium Deal” in cui diversi esponenti della famiglia Giardino sono accusati a vario titolo di estorsione, truffa e riciclaggio ai danni di un assicuratore veronese. Alfonso Giardino, fratello di Antonio, di cui abbiamo brevemente accennato, viene arrestato proprio in seguito a questa inchiesta dalla Guardia di Finanza di Verona, dopo un mese di latitanza. Alfonso Giardino, inoltre, risiede a Sona, luogo di cui abbiamo già parlato in merito all’affare del Fallimento Rizzi. “Il sospetto - scrivono gli inquirenti - è che questi imprenditori abbiano potuto avere rapporti con ambienti istituzionali veronesi in relazione a un appalto “pilotato” per la realizzazione di un centro sportivo che speravano di ottenere grazie al sostegno del “politico amico”. Ma c’è di più: in un’informativa dei carabinieri di Crotone del 9 marzo 2014, viene documentato come “alcuni componenti della famiglia Giardino di Isola di Capo Rizzuto operano su Verona, luogo della loro dimora, non solo nel settore delle operazioni finanziarie riconducibili all’organizzazione, ma anche negli appalti pubblici, in quanto titolari di diverse attività economiche”. Dall’inchiesta Kyterion della DDA di Catanzaro emerge addirittura un presunto sostegno elettorale dei Giardino “fornito all’attuale amministrazione comunale facente capo al sindaco Tosi”. “Dal complesso delle intercettazioni - si legge - sono emersi i rapporti tra i Giardino ed amministratori locali di Verona: da una parte si ricava il loro (dei Giardino) sostegno elettorale fornito all’attuale amministrazione comunale facente capo al sindaco Tosi; dall’altra si rileva il lavoro con l’assessore Giorlo Marco per ottenere appalti pubblici”.

I RAPPORTI CON FLAVIO TOSI
Dalle carte dell’indagine “Kyterion” emerge un pedinamento nei confronti del sindaco di Verona, Flavio Tosi. Il 29 gennaio 2012, infatti, atterrato a Lamezia Terme, Tosi ha noleggiato una Citroen C4 e si è recato ad una cena a Crotone dopo la presentazione di un libro. In quei giorni, Tosi va a salutare il PM Claudio Villani, della Procura di Catanzaro (ma che in passato aveva lavorato a Verona) e si incontra con alcuni imprenditori. Ma sono due gli incontri più importanti: quello con l’imprenditore Raffaele Vrenna (nel 2006 accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, condannato in primo grado e poi assolto) e quello con il presidente della Provincia di Crotone Stanislao Zurlo (nel 2011 venne nominata una commissione d'accesso agli atti nella Provincia di Crotone gestita appunto da Zurlo per accertare se sussistessero i presupposti dello scioglimento per infiltrazioni mafiose. Scioglimento che non avvenne). Quale è il motivo del pedinamento? A quanto pare i carabinieri  stavano eseguendo alcuni accertamenti circa l’eventuale legame tra la famiglia Giardino e lo stesso Tosi.
Dei rapporti con Vito Giacino abbiamo già parlato, in relazione alla figura di Moreno Nicolis.

I RAPPORTI CON MARCO GIORLO
Nei rapporti individuati dagli inquirenti tra i Giardino e l’assessore Marco Giorlo si inserisce il nome di Marco Arduini, un dentista veronese. E’ proprio con lui che Alfonso e Francesco Giardino discutono di affare da realizzare a Verona in collaborazione con il comune. Secondo gli investigatori dell’Arma, i Giardino si sarebbero dunque infiltrati nell’amministrazione Tosi attraverso Marco Arduini detto il “dentista” grazie al quale sarebbero giunti all’allora assessore Marco Giorlo, “per ottenere – è scritto nell’informativa – lavori ed altra utilità come fare assumere persone al Comune di Verona”. Tali lavori riguardano, ad esempio, la sostituzione di tutte le illuminazioni di Verona, un centro sportivo a San Michele e un asilo a Santa Lucia. In particolar modo, i carabinieri registrano delle conversazioni interessanti tra Arduini e Alfonso Giardino proprio in relazione ai lavori da effettuare per l’asilo a Santa Lucia: “Poi ti devo parlare dell'asilo- dice Giardino- ti devo fare un discorso sull'asilo perché io avevo accennato a Franco qualcosa no, due parole così, però te lo voglio dire pure a te, allora, io se era possibile sull'asilo avevo pensato una cosa, Marco, se si poteva, di investimento in pratica, se si poteva collaborare ma come proprietario però, se è possibile, perché so che questi asili”. Marco Arduini risponde: “Ah sì, ma si può, sono aperto a tutto io, allora, io adesso ho messo di mezzo anche il Sindaco... sto costruendo, la possibilità di ricostruirlo e... poi siamo disposti ad assorbirlo”. Alfonso Giardino, in un’altra occasione, afferma inoltre di avere aiutato Giorlo,  procurandogli voti nelle elezioni amministrative: “L’ho aiutato davvero e te lo posso giurare dove, se si trova alla poltrona si trova per me questo che gli ho girato non so quanti voti, quanti gliene ho tirati fuori non hai nemmeno l’idea tu, mi sono massacrato giorni e giorni però vedi ora grazie a Dio è riconoscente, mi ha detto io per i Giardino faccio tutto, per i Giardino perché i Giardino a me mi hanno aiutato, mi ha detto lui siccome è responsabile di tutti i centri sportivi di Verona, di tutti, sono i suoi, sotto le sue mani”. Il 28 maggio 2012 i carabinieri filmano un pranzo all’osteria “Al Duca” di Verona al quale partecipano i cugini calabresi, Marco Arduini e l’assessore Marco Giorlo. Nel corso di un’altra intercettazione, Alfonso Giardino telefona al cugino Vincenzo che si trova a Isola Capo Rizzuto per parlargli di un altro importante lavoro: “Sono qua a cena con l’amico politico là, quello di Verona, hai capito? Mi ha mandato a chiamare con certi geometri architetti questa sera. In pratica c’è un progetto grosso che ti devo spiegare. Ci dobbiamo unire per fare una cosa di queste perché non è, non è una cosa da niente, è un progetto da 260 milioni in Madagascar. C’è una ferrovia, ci sono strutture, di costruzioni, ci danno tutto il pacchetto in mano e ci danno il 50, dal 20 al 50% avanti, ok? Nelle mani, subito, ok?… I soldi sono stati già stanziati dall’Unione mondiale. Il lavoro è sicuro al 100%, hai capito? Mi ha portato Marco Giorlo”. I rapporti tra i Giardino e Arduini, però, si inclinano. Attraverso delle intercettazioni, infatti, nei primi mesi del 2012 i carabinieri avvertono come i Giardino si stiano lamentando del fatto che Arduini non sia in grado di mantenere gli impegni presi con loro e che Giorlo si sia “dimenticato di loro: “No cugì, domani guarda Frà, gli dico in faccia quello che penso, perchè lui ha dato una parola e quella parola la deve portare a termine, non si deve tirare indietro, eh che facciamo qua, davvero cugì? E' andato sopra il trono e si dimentica di quelli che lo hanno mandato sulla poltrona, qua ... cugì allora siamo disperati, non sappiamo cosa dobbiamo combinare”. Di queste vicende ne parlò anche la trasmissione di RAI3 Report, ed in seguito a quella puntata Giorlo fu costretto a dimettersi. Dichiarando però di “cadere letteralmente dalle nuvole”: “Colpendo me volevano solo colpire il sindaco Tosi, e adesso che ci sono le Regionali alle porte stanno cercando di rifarlo. I Giardino? E chi sono? Mai conosciuti. Mai parlato né avuto a che fare con loro. A votarmi sono stati i cittadini di Verona che conoscono la correttezza e la serietà della mia persona. Escludo di aver mai promesso qualcosa a qualcuno, né ho hai fatto favori o favoritismi a chicchessia”. Anche il dentista Marco Arduini ha ribattuto: “È un’enorme falsità. I Giardino sono miei pazienti e tra l’altro non mi hanno nemmeno mai pagato. Stanno costruendo un castello sulla sabbia. È vero che sono amico di Giorlo, posso aver suggerito di rivolgersi a lui a qualcuno che aveva bisogno, tutto qua”.

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