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de stefano giorgio dimitriVideo
di Aaron Pettinari
Tra i diciannove colpiti dall'ordinanza anche l'avvocato Giorgio De Stefano
“La 'Ndrangheta, a dispetto delle 'guerre' che hanno insanguinato le strade della città, assume il ruolo di 'regolatore preventivo', cioé decide chi deve e dove aprire un nuovo esercizio commerciale, le persone da assumere e le imprese che devono eseguire le ristrutturazioni”. A delineare questo agghiacciante ed allarmente scenario è il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho che ha così commentato l'operazione della Squadra Mobile diretta da Francesco Rattà, “Sistema Reggio”, che questa mattina ha eseguito diciannove ordinanze di custodia cautelare, di cui undici in carcere, sei agli arresti domiciliari e due obblighi di dimora, su ordine della Direzione distrettuale antimafia.

“Re” Giorgio
Tra gli arrestati spicca sicuramente la figura di “Re” Giorgio De Stefano, avvocato da alcuni anni in pensione ritenuto dalla Direzione distrettuale antimafia uno dei vertici dell’omonima cosca, cugino di Paolo De Stefano (capo storico della cosca ucciso nel 1985 nella “guerra di mafia”). L'avvocato De Stefano, dopo avere scontato una condanna a tre anni e mezzo di reclusione inflittagli nel 2001 per concorso esterno in associazione mafiosa, attualmente era libero.
Secondo gli investigatori l'ex legale ha sempre svolto il ruolo di “stratega” della cosca De Stefano, determinandone alleanze, strategie criminali ed investimenti.
A parlare del “Re” sono stati alcuni pentiti, tra cui Paolo Iannò (ex killer della cosca Condello) e Filippo Barreca. Proprio quest'ultimo diversi anni addietro aveva parlato di alcuni incontri tra “Freda, Paolo Romeo e Giorgio De Stefano. Tali discorsi riguardavano la costituzione di una loggia super segreta, nella quale dovevano confluire personaggi di ‘Ndrangheta e della destra eversiva, e precisamente lo stesso Freda, l’avvocato Paolo Romeo, l’avvocato Giorgio De Stefano, Paolo De Stefano, Peppe Piromalli, Antonio Nirta, Fefè Zerbi. Altra loggia dalle stesse caratteristiche era stata costituita nello stesso periodo a Catania”.
E' invece il collaboratore di giustizia Paolo Iannò ad indicarlo come “mente strategica di tutto lo schieramento De Stefano-Tegano”.

Gli altri arrestati

A finire in manette nell'operazione , coordinata da Cafiero De Raho e dai sostituti Roberto Di Palma e Rosario Ferracane, è poi anche il giovane rampollo della cosca, Dimitri De Stefano, figlio di don Paolino De Stefano e fratello del capocrimine Giuseppe De Stefano detenuto al 41 bis nel carcere di Tolmezzo. Ma l'ordinanza di custodia cautelare è stata notificata anche ad altri soggetti vicine alle famiglie De Stefano, Franco, Rosmini, Serraino e Araniti aderenti al cartello Condelliano, uniti nella spartizione dei proventi derivanti dalle attività estorsive in danno di commercianti ed operatori economici. I reati contestati gli arrestati vanno dall’associazione mafiosa, al concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto di materiale esplosivo, intestazione fittizia di beni e rivelazione del segreto d’ufficio.



La talpa
Nel blitz, infatti, è finita in carcere anche Maria Angela Marra Cutrupi, ex impiegata precaria dell’ufficio Gip-Gup del Tribunale di Reggio Calabria, che avrebbe fatto la "talpa" per conto di alcune cosche di 'Ndrangheta, fornendo loro informazioni riservate. Secondo quanto si è appreso la donna era addetta a mansioni esecutive e non aveva dunque accesso ad atti d’inchiesta riservati ma veniva comunque utilizzata per l'acquisizione di informazioni. Proprio l’ex impiegata è stata arrestata con l’accusa di rivelazione di segreti d’ufficio, con l’aggravante del metodo mafioso.

Genesi delle indagini
L'indagine che ha portato agli arresti è partita dai due attentati compiuti nel 2014 ai danni del "Bar Malavenda", uno dei locali storici della città. Successivamente all’interno del locale, ancora in fase di ristrutturazione, fu collocato un altro ordigno che restò però inesploso.
Secondo gli inquirenti le due intimidazioni sarebbero da collegare al rifiuto da parte dei nuovi proprietari del locale di sottostarsi al cosiddetto "sistema Reggio", l’organizzazione criminale composta dalle cosche di 'Ndrangheta cittadine che imponevano il pagamento del "pizzo" a qualsiasi attività economica o commerciale avviata in città.
L'esercizio di quel potere, secondo gli investigatori, veniva esercitato “sistematicamente” anche nell'accesso al lavoro privato, arrivando a far assumere agli esercizi commerciali dipendenti graditi alle organizzazioni criminali, nonché la potestà di regolamentazione dell’esercizio del commercio, autorizzando o meno l’apertura di esercizi commerciali nei quartieri dallo stesso controllati.
“Le indagini - ha conermato Cafiero de Raho - sono iniziate con la prima bomba sotto la saracinesca del Bar "Malavenda" nel febbraio del 2014, dopo che il locale era stato ceduto da Nicolò ad un rappresentante di dolciumi, Domenico Nucera, il quale si trovava in difficoltà perché pressato dai fratelli Mario e Domenico Stillitano, vicini al boss Pasquale Condello, i quali in quanto titolari di un altro locale, il 'Fashion bar', osteggiavano la riapertura del 'Malavenda'. Nucera iniziò allora una sorta di 'pellegrinaggio' tra le diverse cosche della 'Ndrangheta, dai De Stefano, ai Rosmini, ai Condello, ai Serraino, agli Araniti, fino a che De Stefano diede il suo consenso alla riapertura del locale”.



Sequestri
Durante l'operazione sono stati sequestrati dalla Polizia di Stato anche numerosi esercizi commerciali per un valore complessivo di dieci milioni di euro. Secondo quanto emerso dalle indagini gli esponenti delle cosche avevano costituito e gestito, direttamente o per interposta persona, una serie di attività economiche, operanti in diversi settori imprenditoriali, attribuendone la titolarità formale a terzi soggetti, al fine di eludere i controlli delle forze dell’ordine e le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione.
“L'operazione - ha detto il capo della Squadra mobile di Reggio Calabria, Francesco Rattà - mette il sigillo su un dato condiviso dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Domenico Minniti: la ‘Ndrangheta si è arrogata la facoltà di sostituirsi allo Stato nel concedere le autorizzazioni necessarie ad avviare gli esercizi commerciali. Nel corso delle intercettazioni abbiamo sentito parlare dell’aristocrazia della ‘Ndrangheta e di quello che viene chiamato il “Re”. La ‘Ndrangheta che si manifesta non solo attraverso le bombe ma anche attraverso questo potere istituzionale che compete solo allo Stato e che lo Stato si riprende con questa operazione”. 

In foto: Giorgio e Dimitri De Stefano (by repubblica.it)

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