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cocainadi AMDuemila
I boss palermitani per la droga si riforniscono dalla 'Ndrangheta. La mafia calabrese si dimostra ancora una volta flessibile, pronta a creare qualsiasi business. Questa sua capacità di adeguarsi, plasmarsi in ogni situazione le ha permesso negli anni di diventare la mafia a livello economico più potente in Europa e di detenere il monopolio delle sostanze stupefacenti.   
Lo dimostra la maxi operazione di ieri che ha portato all'arresto di 48 persone con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti e detenzione abusiva di armi, aggravati dalla transnazionalità delle condotte criminose.
Il blitz è stato un lavoro congiunto tra forze dell’ordine di Latina e Reggio Calabria coordinate dalle procure di Reggio Calabria e di Roma, in cooperazione con l'autorità giudiziaria di Amsterdam.

Un operazione che è il frutto di una intensa attività d’indagine che ha colpito le famiglie potenti della fascia jonica-reggina. La famiglia Aquino-Coluccio, da sempre impegnata nel traffico di droga e storicamente a capo della ‘ndragheta di Marina di Gioiosa Jonica (Reggio Calabria) e i Comisso e Crupi, considerate famiglie elitarie a Siderno.
Dall’inchiesta è emerso come la 'Ndrangheta godeva di due canali per il traffico di stupefacenti verso la Sicilia, uno con i boss palermitani e l’altro con i boss del versante orientale fra la Locride e la provincia di Ragusa, anche se con modalità e finalità ben diverse.
A Palermo sarebbe stato il boss Pietro Tagliavia, arrestato la scorsa notte, ad avere “un consolidato rapporto con la cosca Coluccio” secondo i magistrati di Reggio Calabria. Si tratta del figlio di Francesco Tagliavia, lo storico boss di Corso dei Mille condannato all'ergastolo per la strage di via dei Georgofili a Firenze. Secondo le indagini Pietro Tagliavia, che dal 2010 girava tranquillo nella sua Palermo (unico obbligo quello di mettere una firma ogni tanto in commissariato, ndr), si sarebbe occupato del mandamento di corso dei Mille.
Per il versante orientale, invece, i Comisso e i Crupi si sarebbero rivolti, secondo gli inquirenti, a Giovanni Cilia, considerato un uomo autorevole all’interno del clan Dominante-Carbonaro. Secondo le indagini della procura di Roma, che ha collaborato con Reggio Calabria e Olanda, Giovanni Cilia assieme ai due figli Rosario ed Emanuele, (tutti finiti in manette con il blitz dei giorni scorsi, ndr) avrebbero gestito un fiorente traffico di droga occultandolo dietro alcune società che commerciano fiori. Un sistema strategico per eludere i controlli dei cani antidroga e per coprire il traffico attraverso società legali. Nell’ambito delle indagini però sembrerebbe accertato che la cocaina gestita dai Cilia non veniva smerciata in Sicilia ma solo all’estero.
I due clan reggini sono diventati anche “riferimento della mafia per il traffico di marijuana”. “Ora – ha dichiarato il procuratore aggiunto di Reggio Nicola Gratteri – è Cosa nostra che chiede all’'ndrangheta la droga, si rifornisce dalla criminalità calabrese, che ha preso le redini di questo traffico a tutti gli effetti”. Addirittura la ‘Ndrangheta avrebbe scavalcato Cosa nostra anche per i contatti con la mafia americana nel traffico di droga, ha spiegato Gratteri: “Anche Cosa nostra americana non parla più italiano, non c’è più il legame di prima con la Sicilia. Adesso la mafia americana si affida ai calabresi per spaccio e traffico, soprattutto di cocaina. Milano, invece, è la più grande piazza di consumo di cocaina d’Europa”.

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