Nel mirino la cosca Grande Aracri in Emilia
di AMDuemila - 28 gennaio 2015
Un intervento storico, senza precedenti. Così il procuratore nazionale antimafia Franco Roberto ha commentato l’operazione “Aemilia”, maxibliz con 160 arresti (117 disposti da Bologna, 46 da Catanzaro e Brescia) scattati in Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia. Migliaia i carabinieri impiegati, anche supportati da elicotteri per i fermi e le perquisizioni. Al centro delle indagini, coordinate dalla procura distrettuale antimafia di Bologna, la cosca di ‘Ndrangheta Grande Sracri originaria di Cutro (Crotone) da tempo operante in tutto il territorio emiliano. I soggetti sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed altro. Tutti reati commessi con l'aggravante di aver favorito l'attività dell'associazione mafiosa. Con un carattere preponderante: quello dell’”imprenditorialità” della cosca.
Nel corso dell’operazione sono stati disposti sequestri di beni per 100 milioni, nello specifico a carico di Alessandro e Augusto Bianchini, imprenditori edili impegnati anche nella ricostruzione post-sisma 2012. Sequestrato anche un intero quartiere, composto da circa 200 appartamenti a Sorbolo, comune del Parmense.
Gli arrestati
Tra le misure cautelari, richieste per la maggior parte dal sostituto procuratore della Dda di Bologna Marco Mescolini e firmata dal gip Alberto Ziroldi, diversi imprenditori calabresi, alcuni già noti alle forze dell'ordine, tra cui Nicolino Sarcone, considerato anche da indagini precedenti il reggente della cosca su Reggio Emilia. Sarcone, già condannato in primo grado per associazione mafiosa, è stato recentemente destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale che gli aveva bloccato beni per 5 milioni di euro. Arrestato anche Giuseppe Pagliani, consigliere comunale di Reggio Emilia (epicentro delle attività criminali) del partito Forza Italia.
Tra le 54 le persone a cui viene contestata l'associazione a delinquere di stampo mafioso, cinque sarebbero i capi, sei gli organizzatori.
Gli indagati
Finiti nella lista degli indagati diversi appartenenti alle forze dell’ordine: Domenico Mesiano già autista del Questore di Reggio Emilia e indagato per associazione mafiosa e minacce, Antonio Cianflone e Francesco Matacera, ex ispettori della polizia alla Squadra mobile di Catanzaro, Domenico Salpietro, ex carabiniere a Reggio Emilia, Maurizio Cavedo, ex sovrintendente della Polstrada a Cremona, Alessandro Lupezza, ex carabiniere a Reggio Emilia e Mario Cannizzo, ex carabiniere. Indagato invece dalla Dda di Brescia il reggiano Franco Bonferroni, ex senatore Dc, ex di Finmeccanica, il cui nome comparve nella vicenda P2. Insieme ad altre dieci persone, Bonferroni è indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione per atti contrari al dovere di ufficio, con l'aggravante del vincolo mafioso. Tra i provvedimenti della procura antimafia bresciana c'è pure il fermo del pm disposto per nove persone. Tra questi ci sono tre reggiani: Rosario Grande Aracri (fratello del boss Nicolino), il figlio Salvatore Grande Aracri e Gaetano Belfiore, 23enne fidanzato della figlia di Nicolino e nipote di Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo.
La scalata della cosca
Il "locale" di 'ndrangheta di Cutro, affermano i pm, stava diventando il punto di riferimento delle cosche del crotonese ed il suo presunto capo, Nicolino Grande Aracri, aveva intenzione di costituire una grande provincia in autonomia a quella reggina. "Si tratta - ha spiegato il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo - di una operazione importante perché evidenzia il ruolo che stava assumendo Cutro e che non aveva mai avuto". A parlare del progetto di Grande Aracri un collaboratore di giustizia, Giuseppe Giampà, considerato boss della 'ndrangheta nel lametino. Dalle indagini è inoltre emerso come la cosca di Nicolino Grande Aracri, almeno sino al momento del suo arresto (nel 2013) stesse assumendo il ruolo di punto di riferimento delle cosche di tutto il distretto giudiziario di Catanzaro - che comprende anche le province di Crotone, Cosenza e Vibo Valentia - ma con contatti anche con cosche del reggino. "Grande Aracri - ha continuato Lombardo - si atteggia a capo di una struttura al di sopra dei singoli locali. E' sostanzialmente il punto di riferimento anche delle cosche calabresi saldamente insediate in Emilia Romagna dove c'era una cellula dotata di autonomia operativa nei reati fine. I collegamenti tra Emilia Romagna e Calabria erano comunque continui e costanti e non si faceva niente senza che Grande Aracri lo sapesse e desse il consenso". Nel suo ruolo di "direzione", secondo quanto emerso dalle indagini, Nicolino Grande Aracri avrebbe avuto la collaborazione dei suoi fratelli, Domenico ed Ernesto, di fatto suoi emissari.
Le mani sull’imprenditoria del Nord
"E' la mafia imprenditrice quella che abbiamo scoperto in Emilia. E' questa la novità dell'indagine" ha detto il procuratore di Bologna Roberto Alfonso. "In Emilia – ha continuato – non abbiamo locali come in Lombardia o Piemonte, ma la presenza di un'organizzazione con un contenuto prettamente imprenditoriale". Secondo Alfonso si deve risalire al "9 giugno 1982, con l'arrivo di Antonino Dragone, quando viene concepito il gruppo emiliano. Oltre 32 anni nel corso dei quali l'associazione si è sviluppata, crescendo come una metastasi nel corpo sano, in quella parte di Emilia che da Reggio, passando per Parma e Piacenza, giunge fino a alla riva lombarda del Po. Si è prima insediata, strutturata nel territorio, quindi infiltrata nei settori dell'economia, soprattutto dell'edilizia".
"Non si può continuare a sminuire il radicamento della 'Ndrangheta al Nord, nonchè la sua dimensione internazionale – ha ribadito il senatore Giuseppe Lumia, componente della Commissione parlamentare Antimafia – Bisogna alzare il livello di guardia per coadiuvare il lavoro prezioso svolto dalla magistratura e dalle forze dell'ordine". "Di fronte ad una situazione simile – ha aggiunto – è urgente dare sistematicità alla nostra legislazione antimafia, realizzare al più presto uno spazio antimafia europeo e potenziare l'azione di legalità e sviluppo nei nostri territori. Ecco perché torno a chiedere una sessione dei lavori parlamentari dedicata ai temi della lotta alle mafie".
Coinvolti un consigliere comunale e un giudice di Cassazione
"Vi sono elezioni comunali che sono state inquinate - ha aggiunto Alfonso - ma poi abbiamo pure dimostrato il rapporto stabile tra un uomo politico e l'organizzazione mafiosa, in termini di scambio di favori e di supporti reciproci" pur non essendo state individuate le persone che avrebbero beneficiato di tali contatti.
Tra le carte dell'indagine “Aemilia”, inoltre, c'è una cena a cui partecipò il consigliere Giuseppe Pagliani, risalente al 21 marzo 2012, con la partecipazione di elementi come Nicolino e Gianluigi Sarcone, Alfonso Diletto, Alfonso Paolini e Giuseppe Iaquinta. “Occasione – ha detto il procuratore Alfonso – in cui si consacrò e si definì l'accordo tra la politica e l'organizzazione mafiosa". Secondo gli investigatori Pagliani, all'epoca capogruppo Pdl in consiglio provinciale, promise sostegno alle rivendicazioni di chi lamentava “persecuzioni” ad opera del prefetto di Reggio Emilia e discriminazioni nei confronti della comunità calabrese, ricevendo in cambio il sostegno alla propria battaglia politica.
La cosca sarebbe poi riuscita, grazie all'avvocato del foro di Roma Benedetto Giovanni Stranieri - sottoposto a fermo per concorso esterno in associazione mafiosa - ad avvicinare un giudice di Cassazione e a fare annullare con rinvio una sentenza di condanna a carico del genero di Grande Aracri, Abramo Giovanni, per l'omicidio del boss Antonio Dragone, compiuto il 10 maggio del 2004 a Cutro. Tuttavia, ha specificato il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo, "Non ci sono elementi per dire se l'intervento effettivamente c'è stato, ma i diretti interessati, intercettati, affermano di sì e chiedono il pagamento di una somma di denaro per il servigio reso".
Minacce a una giornalista
Emergono poi dalle indagini alcune intimidazioni ricevute da Sabrina Pignedoli, giornalista del Resto del Carlino, da parte di Domenico Mesiano, autista del Questore di Reggio Emilia e al momento indagato. "Ho pubblicato per il Resto del Carlino – ha raccontato la cronista – una serie di notizie che riguardavano la cena emersa poi in questa operazione e i provvedimenti prefettizi che sono seguiti nei riguardi di alcuni partecipanti. Dopo un articolo mi ha telefonato Mesiano dicendo che non dovevo più pubblicare pezzi”. Ora la PIgnedoli potrebbe essere sottoposta ad una forma di vigilanza o tutela.
Contatti con i vertici ecclesiastici
"Attraverso alcuni professionisti – ha spiegato il procuratore Lombardo – la cosca di Cutro dimostra di avere entrature nei vertici giudiziari ed ecclesiastici" a Roma. Nel provvedimento di fermo si fa riferimento ad un monsignore contattato per fare ottenere a Giovanni Abramo, detenuto per omicidio, il trasferimento in un carcere calabrese. Trasferimento poi non effettuato. Il religioso, ha aggiunto Lombardo, non è indagato.
A fare da tramite sarebbe stato Maurizio Costantini, della Diocesi di Roma. Secondo il decreto di fermo sarebbe stata una "giornalista residente a Roma", Grazia Veloce – ritenuta vicina ad istituzioni massoniche ma non indagata - "di fatto ben conosciuta negli ambienti del Vaticano" e "asseritamente molto vicina a personalità di rilievo del Vaticano e della politica italiana". La donna - scrivono i pm - "si è preoccupata in più occasioni delle sorti giudiziarie di Nicolino Grande Aracri e del genero Giovanni Abramo presentando loro come luminare in giurisprudenza tale Benedetto Giovanni Stranieri", avvocato originario di Lecce ma residente a Roma, tra le persone sottoposte a fermo con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. "La piena consapevolezza da parte di Veloce Grazia di agire in favore di un sodalizio criminale di tipo mafioso - è scritto nel decreto - emerge chiaramente dai contenuti di molte conversazioni di cui la stessa è protagonista e che saranno sviluppate in altra sede".
Quelle risate sul terremoto in Emilia
Risate sul terremoto in Emilia, come all'Aquila, in un dialogo citato nell'ordinanza del Gip tra due indagati, Gaetano Blasco e Antonio Valerio: "E' caduto un capannone a Mirandola", dice il primo. "Valerio ridendo risponde: eh, allora lavoriamo là… Blasco: 'ah sì, cominciamo facciamo il giro...'", si legge.
La conversazione intercettata è del 29 maggio 2012, il secondo giorno del sisma emiliano. La telefonata è delle 13.29, la scossa devastante, annota l'ordinanza, era stata alle 9.03. Blasco e Valerio sono due indagati ritenuti tra gli organizzatori dell'associazione mafiosa. I due avevano "contatti e rapporti d'affari" con la Bianchini Costruzioni, azienda coinvolta nell'indagine. La conversazione è citata quasi come simbolica in apertura di un capitolo dedicato proprio alle infiltrazioni nell'attività di ricostruzione post-terremoto.
Fonte ANSA