di Emiliano Federico Caruso - 4 febbraio 2014
Federico Cafiero de Raho, procuratore di Reggio Calabria, ha confermato la fuga di Saverio "Saro" Mammoliti (in una foto d'archivio), ormai irreperibile dal 29 gennaio, quando i carabinieri erano andati a notificargli una sentenza di condanna a 13 anni e 10 mesi nella località segreta di Tivoli, dove il boss di Oppido Mamertina si trovava agli arresti domiciliari. Don Saro venne arrestato l'ultima volta nel 2012 insieme ai figli Antonino Mammoliti e Danilo Carpinelli (entrambi condannati a 7 anni e 2 mesi), e alla moglie Caterina Anastasi (condannata a 2 anni). Tutti accusati e condannati per i danneggiamenti, le violenze e le minacce rivolte a Libera Terra Valle del Marro nel tentativo di non far acquisire alla cooperativa dei beni sequestrati alla 'ndrangheta.
Primo grande boss a finire negli archivi della DEA (Drug Enforcement Administration), Mammoliti era già stato più volte arrestato per una lunga serie di reati. Nato a Reggio Calabria nel 1942 e detto anche il Playboy, iniziò la sua carriera criminale prendendo le redini del clan di famiglia nel 1988 dopo la morte del fratello Vincenzo, a sua volta succeduto al padre Francesco, ucciso in un agguato durante la faida contro il clan Barbaro nel 1954. Usciti vincitori grazie all'alleanza con i Rugolo (clan a capo della zona di Castellace e il cui boss di punta fu quel Domenico Rugolo oggi rovinato dai numerosi arresti e dal sequestro da parte della DIA di 15mln di beni nel 2010), i Mammoliti-Rugolo divennero un clan potentissimo. Secondo, per potenza e disponibilità economiche, solo agli storici Piromalli, allora come oggi tra i vertici più potenti della 'ndrangheta.
Ma la svolta per i Mammoliti-Rugolo avvenne nel 1973, quando il 10 luglio il clan rapì a Roma Paul Getty jr, figlio dell'omonimo petroliere, tra i più ricchi uomini del mondo. Per il sequestro del ragazzo, rilasciato il 17 settembre 1973 dopo il pagamento di 1mld e 700mln di lire (a fronte dei 17mld inizialmente richiesti dai rapitori), venne accusato, e poi assolto, anche don Saro. Proprio in questo periodo venne inoltre ritrovata un'agenda del boss di Oppido Mamertina, contenente numeri telefonici di esponenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e degli uffici della Corte di Cassazione, a riprova dei numerosi e potenti contatti del clan Mammoliti-Rugolo. Sempre nel 1973 il boss venne incriminato, grazie a due agenti infiltrati, per traffico di eroina e cocaina, ma pochi anni dopo iniziò la sua lunga latitanza dorata (9 anni) durante la quale, sempre abilissimo a cavarsela, riuscì persino a sposarsi nell'agosto del 1975 con l'allora quindicenne Maria Caterina Nava.
Di larghe vedute e di costumi moderni, don Saro amava girare in jaguar e ostentare una filosofia mafiosa moderna. Lo stesso clan Mammoliti-Rugolo rappresentò un punto d'unione tra una mafia tradizionale fatta di campi, lupare, terreni e agricoltura, e una mafia moderna in grado di occuparsi dei subappalti: insieme ai Piromalli e ai Pesce si spartirono infatti la torta di Gioia Tauro, il più grande porto commerciale del Mediterraneo di fine anni '90, enorme fonte di guadagno per la mafia e punto strategico per traffici illegali e importazioni.
Condannato durante il maxiprocesso contro la 'ndrangheta del 1982 a 33 anni di carcere, venne poi arrestato il 9 giugno 1984 con l'accusa di aver partecipato, insieme ad altri esponenti dei clan di Gioia Tauro, ad alcuni omicidi avvenuti tra il 1972 e il 1983. Presto rilasciato, il primo giugno 1992 finì di nuovo in manette insieme alla moglie Maria Caterina e ad altri affiliati del clan, durante l'operazione Pace tra gli ulivi. Sempre orgoglioso: in questa occasione si rifiutò di farsi arrestare da un capitano, chiedendo invece che a mettergli le manette fosse un colonnello. Venne poi rilasciato per insufficienza di prove, ma la libertà durò poco: arrestato il 31 agosto dello stesso anno con l'accusa di sei attentati, distruzione di campi coltivati e furto di materiale agricolo, oltre a una ventina di incendi dolosi, attuati con lo scopo di intimidire alcuni proprietari terrieri. Nello stesso periodo venne accusato di aver ucciso il 10 luglio 1991 Antonio Carlo Cordopatri, barone di Oppido Mamertina che si rifiutò di cedere i suoi amati campi ai clan, desiderosi di intascare gli ingenti finanziamenti destinati all'agricoltura. Teresa Cordopatri, che si trovava insieme al fratello la sera dell'omicidio, si salvò solo perché si inceppò la pistola dell'assassino. Don Saro venne giudicato estraneo all'omicidio, e l'esecutore fu poi identificato in Salvatore la Rosa, comunque al servizio dei Mammoliti.
Solo nel 2003, cinque anni dopo la fine della famosa faida di Oppido Mamertina, che iniziò nel 1985 e vide scontrarsi numerosi clan della 'ndrangheta, Saverio decise di dissociarsi dalla filosofia mafiosa e di pentirsi. Fedele alla sua mentalità moderna, usò persino una videoconferenza per esortare i suoi ex affiliati a collaborare con la giustizia. Ma la recente, ennesima fuga del Playboy di Castellace è solo l'ultimo capitolo di una vita criminale passata tra arresti, condanne e latitanze.