di Domenico Ferlita - 10 giugno 2013
È morto ieri mattina, dopo essersi lanciato da un ponte sulla Torino-Pinerolo nei pressi dello svincolo di Gerbole di Volvera, Cosimo Catalano, 40 anni, esponente della 'Ndrangheta.
Ieri sera, era stato accompagnato dalla famiglia, all’ospedale San Luigi Orbassano perché vittima di un forte stato di agitazione. Secondo le prime informazioni, l’uomo era uscito di casa a piedi percorrendo 2 chilometri e mezzo e, dopo essere arrivato sul cavalcavia avrebbe compiuto il gesto estremo.
Sulla tragedia indagano gli agenti della polizia stradale e della squadra mobile. Un anno fa la stessa sorte era toccata al padre, Giuseppe Catalano, indiscusso boss della ‘ndrangheta. Anche egli, infatti, lo scorso 18 luglio si è lanciato dal balcone di una casa di Volvera, mentre stava scontando gli arresti domiciliari.
Cosimo Catalano, era stato arrestato nel 2011 assieme a circa 150 persone, come presunto affiliato alle cosche della 'Ndrangheta infiltratasi in Piemonte ed era tuttora imputato nel processo Minotauro, anche se attualmente in libertà.
Il suo arresto era stato frutto di una maxi operazione messa in atto dalla squadra mobile di Torino. I capi d’imputazione: associazione di stampo mafioso, traffico di droga, trasferimento fraudolento di denaro, usura, estorsione, porto e detenzione illegale di armi.
“Un personaggio di scarso spessore criminale ma molto legato alla figura del padre”, come lo definiscono gli investigatori, che tuttora sono al lavoro per ricostruire la dinamica dell’accaduto.
Il padre, suicida a 70 anni, ritenuto il pericoloso capo della cosca ‘ndrina, trasferitasi in Piemonte, poco prima di togliersi la vita, aveva ottenuto gli arresti domiciliari presso la sua casa di Volvera, dopo aver scontato un anno e dieci mesi nel carcere di Monza.
“Sono vecchio, stanco e malato. Non posso negare le accuse che mi sono rivolte. Appartengo da anni all'organizzazione criminale che voi chiamate 'Ndrangheta. Non rinnego il mio passato ma ora sono stanco e credo non mi resti più molto da vivere. Quel poco che mi resta voglio viverlo in pace. Mi dissocio da quello che ho fatto in questi anni. Non dirò nulla contro gli altri che sono imputati con me in questo processo, Non sono un infame. Ma sono troppo stanco per continuare a vivere in questo modo...".
Queste le famose parole, di una lunga lettera scritta dal boss al presidente della Quinta sezione penale del tribunale di Torino, che annunciava la sua dissociazione dalla ‘Ndrangheta.
Il processo Minotauro, che vede imputate 75 persone, si è aperto il 18 ottobre 2012, nell’aula bunker del carcere Le Vallette di Torino, al fine di discutere le presunte infiltrazioni della ‘Ndrangheta in Piemonte, soprattutto nella città di Torino.
Tra gli imputati anche l’ex sindaco di Leinì, Nevio Coral e l’ex segretario di Rivarolo Antonino Battaglia, entrambi prosciolti.
Non si conoscono ancora le motivazioni dell’insano gesto di Cosimo Catalano anche se, come afferma Carlo Romeo, legale della famiglia Catalano, il suicidio potrebbe essere motivato dall’aggressione al patrimonio di famiglia.
Proprio l’anno scorso, infatti, il tribunale di Torino, su richiesta della procura, aveva disposto il sequestro anticipato di beni, finalizzato alla confisca. O, forse, anche lui come il padre, voleva dissociarsi dagli avvenimenti di sangue, accaduti negli ultimi anni nella città di Torino. Rimane tuttora un mistero, dunque, la morte dell’esponente ‘ndranghetista.
In foto: il bar sottratto alla famiglia (foto tratta da La Stampa)