Depositate le motivazione della sentenza Infinito
di Monica Centofante - 5 giugno 2012
In Lombardia la ‘Ndrangheta “non è semplicemente l’articolazione periferica della struttura criminale calabrese”, ma “un’autonoma associazione composta da soggetti ormai da almeno due (in alcuni casi tre) generazioni presenti sul territorio lombardo”.
Lo ha scritto nero su bianco il gup Roberto Arnaldi, nelle motivazioni della sentenza “Infinito”, che lo scorso 19 novembre ha portato alla condanna di 110 imputati e all’assoluzione di nove. 905 pagine depositate ieri e Milano in cui è perfettamente ricostruita la struttura dell’organizzazione mafiosa operante in territorio lombardo, dove “si è trasferita con il proprio bagaglio di cultura criminale”. Ma senza perdere mai il contatto con la “casa madre”, con la quale, sottolinea il giudice, “continua ad intrattenere rapporti molto stretti”.
E’ una forte organizzazione unitaria quella descritta nel documento, che ripercorre le indagini condotte dalla procure di Milano e Reggio Calabria, gettando un definitivo colpo di spugna all’arcaica immagine della ‘Ndrangheta come di un insieme di ‘ndrine scollegate e scoordinate tra loro. Un’organizzazione unitaria che ha una propria diramazione in Lombardia, dove “si è diffusa non attraverso un modello di imitazione, nel quale gruppi delinquenziali autoctoni si limitano a riprodurre modelli di azione dei gruppi mafiosi, ma attraverso un vero e proprio fenomeno di colonizzazione, cioè di espansione su di un nuovo territorio, organizzandone il controllo e gestendone i traffici illeciti, conducendo alla formazione di uno stabile insediamento mafioso”.
Nella regione più ricca d’Italia, si legge, operano le locali di Milano, Cormano, Bollate, Bresso, Corsico, Legnano, Limbiate, Solaro, Piotello, Rho, Pavia, Canzo, Mariano Comense, Erba, Desio e Seregno. Un dato indicativo per difetto, come attestato dalla famosa intercettazione del giugno 2008 tra i boss Saverio Minasi e Raccosta Vincenzo, quando è il primo a dire: “Qua siamo venti ‘locali’, siamo cinquecento uomini Cecè, non siamo uno”. Tutti diretti da un’autonoma struttura di livello intermedio denominata “Lombardia”: “Una struttura di coordinamento delle locali lombarde” individuata, nelle indagini calabresi, già negli anni ’90. Quando le intercettazioni rivelavano l’esistenza di processo di unificazione tra nord e sud, sancito nel corso di un importantissimo summit tenutosi in quegli anni a Montalto, in Aspromonte.
“Tra i numerosi atti del fascicolo processuale – prosegue oggi il gup – spicca una rilevante intercettazione del 29.02.2008, in cui sono operati espliciti riferimenti alla Provincia, alla quale, in ragione delle rispettive origini/locali di riferimento (fascia jonica, tirrenica e città di Reggio Calabria) devono riferirsi sempre e comunque anche le attività criminali delle proiezioni ‘ndranghetiste operanti in altre aree e, nel caso di specie, in Lombardia”. Un equilibrio che, a partire dal 2007, aveva provato a spezzare il boss Carmelo Novella, con il rivoluzionario progetto di rendere le locali lombarde autonome da quelle calabresi e che portò alla sua uccisione, e quindi alla fine del progetto “separatista”, il 14 luglio del 2008. Non senza lasciare dietro di sé una serie di disordini e un clima generale di sfiducia, che si era superato solo con l’intervento della Provincia.
“Nonostante tale stretto rapporto con la Calabria – prosegue il documento – i membri ‘lombardi’ delle ‘ndrine sono da lungo tempo – da generazioni - radicati al nord, dove risiedono stabilmente e ciò ha consentito una perfetta conoscenza del territorio e delle persone con cui gli stessi hanno rapporti”. Cosa che spiega anche “la presenza di soggetti non di origine calabrese che commettono in Lombardia reati rientranti nel programma criminoso, che compiono delitti e atti intimidatori sul territorio del distretto”, che “generano assoggettamento e omertà”, che sono infiltrati in ambienti politici, istituzionali, imprenditoriali di rilievo. Come, per esempio, la Perego Strade, già scalata dal boss Strangio, che non mancava di affermare come il gruppo imprenditoriale fosse “deputato a mantenere ben 150 famiglie calabresi” anche attraverso la aggiudicazione degli appalti di Expo 2015.
Innumerevoli gli episodi di intimidazione non denunciati e l’omertà delle vittime nonostante gli oltre “centotrenta incendi dolosi, per lo più ai danni di strutture imprenditoriali, e oltre settanta episodi intimidatori commessi con armi, munizioni e in alcuni casi esplosivi”. Una prova ulteriore della pervasività della ‘Ndrangheta e della esteriorizzazione del metodo mafioso. Sempre più sfacciato. Sempre più vicino alla terra d’origine.