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toga-webdi Monica Centofante - 29 marzo 2012
Si rivolgeva alle Forze dell’Ordine intimando di non mettersi “in mezzo alla sua strada” di non “unire il suo nome a quell’altro” altrimenti “vi faccio saltare”. E al boss Giulio Lampada dichiarava orgoglioso: “Tu non hai ancora capito chi sono io… io dovevo fare il mafioso, non il giudice”.

Giancarlo Giusti, 45 anni, è il gip arrestato ieri mattina per corruzione aggravata dalla finalità mafiosa, nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Milano sul clan Valle-Lampada. Espressione territoriale dei potentissimi De Stefano-Condello. Le sue parole sono il contenuto di una delle tante conversazioni intercettate dagli inquirenti con uno dei massimi rappresentanti delle ‘ndrine a Milano. A dimostrazione di un rapporto di continuità e confidenza tra i due, che passava attraverso favori, ricompense e affari. Come quello di una società che puntava all’acquisto di appartamenti e case in aste immobiliari, aste di cui si occupava lo stesso giudice, all’epoca assegnato presso la sezione esecuzioni immobiliari a Reggio Calabria.
Da quanto si apprende la società in questione, costituita dal Lampada e dall’avvocato Minasi, entrambi già arrestati nell'ambito della stessa inchiesta, era riconducibile a una società svizzera, attraverso la quale il clan voleva comprare immobili per 300mila euro, ma l’affare sarebbe saltato dopo il versamento di una cauzione di 27mila euro.
Per il business Giusti non avrebbe approntato alcuna spesa poiché avrebbe rivestito il ruolo di amministratore di fatto e “socio occulto”. Uno dei tanti favori ricevuti dal clan, che al magistrato avrebbero elargito almeno 71mila Euro tra viaggi, soggiorni in hotel di lusso, serate in compagnia di escort e altro.
In cambio Giusti si sarebbe messo a disposizione di Giulio Lampada, come si legge nel capo di imputazione dell’ordinanza firmata dal gip Giuseppe Gennari, compiendo “atti contrari al dovere d’ufficio, in palese violazione dei principi di imparzialità, probità e indipendenza tipici della funzione giudiziaria”.
Ieri mattina Giusti è stato bloccato nella sua abitazione di Cittanova dagli uomini delle Squadre Mobili di Milano e Reggio Calabria. Nell’ordinanza di custodia cautelare a suo carico si legge, tra le altre cose, del sequestro di un “diario informatico” le cui pagine “ripropongono gli stessi temi ricorrenti: ossessione per il sesso, per lo più a pagamento, esigenze economiche legate a un tenore di vita sicuramente elevato, spasmodica ricerca di occasioni di guadagno parallele in operazioni immobiliari e di varia natura”. Un “personaggio fragilissimo – lo descrive il gip - e, per costume di vita, esposto alla tentazione di condotte illecite”. Il “dato gravissimo in termini di pericolosità sociale” è che il magistrato ha ceduto “immediatamente ai richiami di Lampada che offre da subito donne pagate, divertimenti, affari, conoscenze utili”. E che “fa parte a pieno titolo della famigerata zona grigia”, essendo “uno di quegli esponenti che ‘contano’ della società civile che, per debolezza strutturale e propensione caratteriale, accetta di entrare in un vorticoso giro di scambi illeciti con individui la cui matrice criminale è facilmente identificabile”. “Giusti – prosegue - è un personaggio professionalmente dedito al malaffare”, che “offre tutto il campionario di condotte illecite e senza scrupoli che può mantenere un soggetto investito di una pubblica funzione come lui”. Ma “che fino a ora è riuscito incredibilmente e miracolosamente a salvarsi da ogni conseguenza”.
Da qui il duro monito rivolto al Csm: che avrebbe potuto fermare il magistrato “fin da subito, sin dalla prima sacrosanta segnalazione del presidente del Tribunale di Reggio Calabria”. Il riferimento del Gip Gennari  è alla vicenda in cui Giusti rimase coinvolto nel 2005, quando era in funzione presso le esecuzioni immobiliari del Tribunale di Reggio Calabria: ad un’asta immobiliare, di cui era lui ad occuparsi, partecipò la Tridea, società del  suocero, che acquisì l’immobile. Un conflitto di interessi che aveva portato all’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del magistrato, che fu poi prosciolto anche grazie alla testimonianza di un consulente del Tribunale che affermò come Giusti non fosse a conoscenza del fatto che la società favorita fosse del suocero. Lo stesso consulente, Fabio Pullano, aveva ricevuto in passato da Giusti incarichi per centinaia di migliaia di euro.
“Come si sia potuto credere alla sua buona fede sulla base delle dichiarazioni di Pullano – scrive oggi il gip Gennari - sfugge alla umana comprensione”. “Forse se si fossero recuperati tutti gli atti della ispezione si sarebbe compreso come l'assoluzione sulla vicenda Tridea non poteva essere che un drammatico errore. Sicuramente, se avessero fermato Giusti sin da subito, sin dalla prima sacrosanta segnalazione (...) tutto il resto non sarebbe successo, inclusi i reati commessi con i Lampada”.

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