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garofalo-lea-webdi Lara Borsoi - 29 febbraio 2012
Milano. Sino ad oggi agli imputati nel processo che tenta di fare luce sulla scomparsa della collaboratrice di giustizia Lea Garofalo è stata riconosciuta solo l’aggravante della premeditazione.

Già al momento dell’arresto era stata chiesta l’aggravante mafiosa ma il giudice aveva respinto l’istanza spiegando che “Non vi è alcun dubbio che i Cosco e la stessa famiglia Garofalo appartengano, storicamente, a contesti delittuosi di stampo ‘ndranghetista. Il problema è che questo “sfondo” è tratteggiato in modo troppo generico e coloristico per potere individuare una cosiddetta cosca di “Petilia Policastro”… Oggi l’unico dato certo è che i Cosco ammazzano per favorire se stessi”.
Insomma, sarebbe stata uccisa da mafiosi ma per ragioni personali e non di mafia.
Infatti per la scomparsa della donna avvenuta tra il 24 e 25 novembre 2009, sono indagati l’ex compagno Carlo Cosco, i fratelli Vito e Giuseppe Cosco, Massimo Sabatino, Rosario Curcio e Carmine Venturino. E un giudice di Campobasso ha già condannato Massimo Sabatino (per il tentato sequestro della donna nel maggio del 2009) con l’aggravante mafiosa.

Ora, il legale  Roberto D’Ippolito, rappresentate di Santina Diletta e Marisa Garofalo, rispettivamente madre e sorella della vittima, ha chiesto al pm e alla Corte D’assise di riconoscere l’aggravante della finalità mafiosa, asserendo che “tutti i reati addebitati agli odierni imputati sono stati commessi con modalità d’azione di stampo mafioso e con il preciso scopo di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso, segnatamente della cosca di ‘ndrangheta di Petilia Policastro.”
E non solo. Anche l’associazione daSud ha scritto una lettera al ministro della Giustizia Paola Severino esprimendo amarezza e preoccupazione per l’andamento di questo processo, visto che “Non sfugge a nessuno che si tratta di un omicidio di chiara matrice 'ndranghetista. Per le modalità con cui è avvenuto, per i personaggi coinvolti. Eppure la giustizia italiana non la pensa così”.
In realtà le sue dichiarazioni riguardavano traffici di droga legati indubbiamente agli interessi della criminalità organizzata calabrese.
Ed è proprio la ‘ndrangheta che ha segnato la vita di questa donna ma soprattutto la sua scomparsa.

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