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boccassini-ilda-bigdi Monica Centofante - 1° dicembre 2011
Partire da una visione unitaria della ‘Ndrangheta per riuscire a capire come la mafia calabrese sia penetrata nel dna delle categorie sociali, della politica, delle istituzioni. Invita ad abbandonare vecchi stereotipi e a guardare avanti il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini, nel corso della conferenza stampa tenuta questa mattina per presentare l’operazione di ieri contro il clan Valle-Lampada.

E l’invito è a tratti un monito contro una parte del giornalismo e della magistratura autorevole che preferisce continuare a pensare che tutto sia riconducibile ad un problema di “faide tra famiglie, tra ‘ndrine scollegate tra loro”. “Perché se così fosse – sottolinea con rammarico - saremmo tutti più rilassati”.
E invece non c’è da stare per nulla tranquilli. Soprattutto oggi che nelle aule di giustizia si conferma quanto investigatori e forze dell’ordine gridano da anni in un silenzio inquietante, rotto soltanto dalle dichiarazioni scanzonate di una politica, nella migliore delle ipotesi, profondamente irresponsabile. La sentenza di qualche giorno fa al termine del processo “Infinito” e l’operazione di ieri sono la conferma più eloquente di come la mafia calabrese sia uscita dai confini regionali, di come abbia riprodotto altrove la propria struttura infiltrandosi nel tessuto sociale, imprenditoriale e politico dei territori occupati, ma mantenendo la testa e il cuore sempre a Reggio Calabria. Lì dove partono gli ordini. Lì dove si decidono le strategie di un’organizzazione presente su tutto il territorio nazionale e con collegamenti e appoggi all’estero.
Una mafia fluida che ha saputo approfittare della sottovalutazione ed è cresciuta grazie ai rapporti stretti in quella  “zona grigia internazionale” che ne ha legittimato il potere, tanto che un boss dei Lampada, una famiglia “che ha cominciato a vendere panini ed è finita a fatturare miliardi”, prosegue la Boccassini, avrebbe addirittura ottenuto dal Vaticano, con nomina di Bertone, la particolare e prestigiosa onorificenza di Cavaliere di San Silvestro.
Ed è proprio a quella zona grigia che punteranno ora gli inquirenti, seguendo il filo di una strategia avviata anni fa dalla Dda di Reggio Calabria e che puntava ad aggredire le strutture organizzative delle più potenti cosche, destrutturandone gli aspetti e le caratteristiche logistiche e aggredendo soprattutto il sistema delle relazioni esterne insieme a quella stessa area grigia e ai colletti bianchi che sono tra i protagonisti delle odierne indagini.
Lo spiegano il pm della Dda milanese Paolo Storari e i colleghi calabresi Michele Prestipino e Giuseppe Pignatone, rispettivamente aggiunto e procuratore capo a Reggio Calabria. Sono loro, tra le altre cose, ad evidenziare una commistione di interessi nelle realtà dell’hinterland milanese, in quelle zone periferiche ritenute di estrema importanza per la ‘Ndrangheta, poiché è lì che si trovano le ditte, le infrastrutture, i sindaci da corrompere e da quell’indotto ci si può infiltrare facilmente in appalti miliardari come quello dell’Expo 2015.
“Se non ci saranno elementi sufficienti per contestare reati come il concorso esterno in associazione mafiosa – ha spiegato invece il pm Alessandra Dolci - valorizzeremo lo strumento delle misure di prevenzione, sia a carattere personale che patrimoniale”. E il lavoro sarà svolto a tutto campo, considerato che la ‘Ndrangheta, ha ripreso la Boccassini, “ha sponsorizzato a livello nazionale vari politici trasversalmente”, appoggiando “chiunque potesse servire ai suoi interessi” e si è infiltrata anche all’interno della magistratura  come hanno dimostrato le stesse indagini che ieri hanno portato in carcere il giudice Vincenzo Giglio. Un episodio di fronte al quale il procuratore aggiunto di Milano ha espresso “sgomento e dolore” per dover constatare, ancora una volta, “comportamenti superficiali, tentativi di depistaggio da parte di appartenenti alla Gdf, alla magistratura, alla politica e alle istituzioni in generale”.
Ma le sorprese non sono ancora finite. Le indagini infatti puntano ora a scoprire chi, dall’interno delle istituzioni, passava informazioni agli esponenti mafiosi. I “lavori sono in corso”, ciò che appare certo è che di talpe, ha sottolineato la Boccassini, “ce ne è stata più di una” e “non solo a Catanzaro, ma anche a Milano”.
In quella Milano da bere, ex capitale morale d’Italia oggi preda di un modello negativo che si espande ed esporta insieme al proprio sistema di relazioni una mentalità. E che ogni giorno di più, mette in guardia Prestipino, “rischia di diventare come Reggio Calabria”.

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