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martello-tribunale-webdi Monica Centofante - 21 settembre 2011
Condanne pesantissime e uno storico risarcimento per danni morali: 50 milioni di euro al comune di Rosarno e dieci milioni ciascuno alla Regione Calabria e al Ministero dell'Interno.
E' un duro colpo quello inferto ieri pomeriggio al potente clan calabrese dei Pesce, con le condanne inflitte dal gup distrettuale di Reggio Calabria Roberto Carrelli Palombi, al termine del processo All Inside, celebrato con rito abbreviato.

 

11 gli affiliati alla cosca condannati, tra questi due dei capi del gruppo criminale: Vincenzo e Francesco Pesce alias “Ciccio Testuni”, rispettivamente zio e nipote, che dovranno scontare 20 anni di carcere. Mentre tra gli altri nove, per i quali le pene variano dai dieci ai due anni di reclusione, figurano il carabiniere Lucio Aliberti e l’agente penitenziario Eligio Auddino, che secondo il giudice apportavano consapevolmente vantaggi al clan.

Ad incastrare gli uomini della cosca, fattore rilevante, hanno contribuito le dichiarazioni di Giuseppina Pesce - figlia del boss Salvatore e nipote del capo della cosca Antonio Pesce - che nell'aprile 2010 aveva iniziato a collaborare con la giustizia per poi ritrattare la scelta nei mesi scorsi. Dopo aver fatto arrestare la madre, Angela Ferraro e la sorella, Marina Pesce.
Nonostante la decisione di non collaborare più con la giustizia le sue rivelazioni, pienamente riscontrate, hanno infatti mantenuto validità probatoria e hanno rappresentato uno degli elementi su cui il gup ha basato la sua sentenza di condanna.

Decisamente soddisfatto per il risultato processuale il procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, che ha espresso “grandissima soddisfazione”, anche per la decisione del gup di valutare le dichiarazioni di Giuseppina Pesce. E per la validità riconosciuta all'impianto accusatorio dei pubblici ministeri Alessandra Cerreti e Roberto Di Palma - coordinati dall'aggiunto Michele Prestipino - cosa che inciderà anche nella parte del processo che si sta svolgendo con rito ordinario a Palmi.
“La sentenza è importante – ha aggiunto Pignatone - anche perchè ha ordinato la confisca di beni, tra cui per la prima volta due squadre di calcio”, l'associazione sportiva Rosarno e l'associazione sportiva Cittanova, che sarebbero state gestite dal clan. E “perché ha condannato gli imputati al risarcimento dei danni nei confronti del Comune di Rosarno, costituitosi parte civile”.
Ora quei soldi, strappati alla criminalità, si trasformeranno in servizi e strutture pubbliche. La più grande sconfitta per i boss, che mette pesantemente in discussione il loro storico dominio sul territorio.

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