In Spagna catturati cinque latitanti, la droga partiva dal Sudamerica passando per i principali porti europei ed arrivava fino a Roma
I militari del ROS, su disposizione della Dda di Roma e col supporto in fase esecutiva dei Comandi Provinciali Carabinieri territorialmente competenti e dello Squadrone Eliportato “Cacciatori Calabria”, hanno eseguito nelle aree di Roma, Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, L’Aquila, Latina e Pistoia una misura cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma, su richiesta della citata Procura Distrettuale, nei confronti di 28 indagati di nazionalità italiana e albanese. L’accusa è di aver preso parte ad un’associazione criminale di matrice ‘ndranghetista, con base nella Capitale ed operante in tutta Italia.
Il provvedimento si basa sugli elementi acquisiti dal ROS, nell’ambito di indagini dirette dai magistrati di Roma, sulla figura di un ‘ndranghetista 57enne calabrese ritenuto elemento apicale della locale di Volpiano (TO), promanazione di quella di Platì (RC).
Il pregiudicato, trasferitosi a Roma nei primi anni 2000, in virtù della gravità indiziaria, è emerso come abbia assunto il controllo dell’area di San Basilio, promuovendo la nascita di un’associazione composta, tra gli altri, anche dai tre figli, con legami stabili con una paritetica struttura criminale albanese, utilizzata per gli aspetti logistici (estrazione dei carichi dai porti spagnoli e olandesi nonché per il successivo trasporto) e per lo smercio di droga in altre zone della Capitale. In particolare cocaina che veniva acquisita in Sud America e fatta giungere, tramite container in alcuni porti della Spagna, a Rotterdam (Olanda) e a quello di Gioia Tauro (RC), anche sfruttando l’interazione con altri broker calabresi, per poi giungere sul mercato romano dove veniva smerciata al dettaglio. Nella fase di indagine sono stati contestati agli indagati, a vario titolo, 80 capi di imputazione per operazioni di traffico per oltre 1 tonnellata di cocaina (per l’esattezza 1019 kg.) e per 1497 kg di hashish, nonché un episodio di tortura aggravata dal metodo mafioso, contestato a 4 indagati italiani, gravemente indiziati di avere sequestrato e torturato uno spacciatore.
Le torture inferte sono state riprese con un telefonino, per diffonderne successivamente il video al fine di generare nella vittima e nei soggetti dediti alle attività di smercio di sostanze stupefacente in zona San Basilio, sentimenti di paura, omertà e assoggettamento al volere del gruppo criminale. Nell’inchiesta è emerso poi l’impiego sistematico da parte degli indagati di sofisticati sistemi criptofonici utilizzati per le comunicazioni operative e per eludere le attività di controllo. Tali dispositivi venivano approvvigionati attraverso una vera e propria centrale di smistamento, individuata a Roma e facente capo ad un 46 enne albanese colpito anch’egli dalla misura cautelare. L’attività investigativa ha visto un’estesa cooperazione internazionale con diverse polizie estere e sono state supportate dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (DCSA), dal Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia (SCIP), da Interpol- progetto I-CAN, dalla rete @net della DIA, nonché dalle Agenzie Europol e Eurojust. Una cooperazione che ha consentito di localizzare in Spagna cinque latitanti per reati materia di stupefacenti, poi arrestati su indicazione del ROS dalle autorità di polizia locali. Nel complesso l’operazione ha accertato l’infiltrazione del territorio romano di organizzazioni, dedite al narcotraffico, di matrice ‘ndranghetista oltre l’alleanza, ormai strutturale, nello specifico settore, tra la ‘ndrangheta e paritetiche organizzazioni criminali albanesi che, forti della loro ramificazione in molti paesi europei e non solo, garantiscono canali alternativi di approvvigionamento e, soprattutto, la possibilità di utilizzare porti stranieri, ove esercitano il loro controllo, per diversificare le narco-rotte. Si riconferma, poi, la centralità del Porto di Gioia Tauro per le importazioni di cocaina. Accertata inoltre l’esistenza di accordi/regole che consentono a organizzazioni di diversa matrice di spartirsi le più redditizie aree di smercio del narcotico nella Capitale, nonché l’utilizzo sistemico di strumenti tecnologici evoluti e non direttamente intercettabili, per le comunicazioni operative.
