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Il clan chiedeva 150mila euro per “non avere problemi”: il racket della ‘ndrina Abbruzzese dietro le fatture gonfiate

La mafia torna in auge e impone il pizzo sui lavori pubblici, con tanto di tariffario. Uno degli ultimi casi è emerso in Calabria, dove la ‘Ndrangheta ha preteso il 3% di un appalto da una ditta di costruzioni impegnata nei lavori del “Terzo Megalotto”, lungo il corridoio Jonico della Statale 106, nella Sibaritide, in provincia di Cosenza. Le indagini preliminari sono scattate grazie alla denuncia presentata dal legale rappresentante della ditta friulana “I.Co.P. Spa Società Benefit”, che ha ricevuto una richiesta estorsiva dal clan Abbruzzese di Cassano allo Ionio: 150mila euro, pari al 3% di un appalto da cinque milioni di euro. Lo scorso 17 gennaio - scrive “Il Sole 24 Ore” - la Direzione investigativa antimafia (DIA), sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Catanzaro, ha eseguito un’ordinanza di misura cautelare emessa dal gip del Tribunale di Catanzaro nei confronti di sei persone, accusate a vario titolo di concorso in estorsione aggravata dal metodo mafioso e istigazione alla corruzione. Secondo quanto riportato nell’ordinanza del gip di Catanzaro - spiega la “Gazzetta del Sud” - l’imprenditore della ditta friulana ha precisato di avere un contratto di subappalto con un’altra impresa, la “Tre Colli Spa”, per un progetto commissionato da “Snam Rete Gas”. L’imprenditore ha inoltre riferito di essere venuto a conoscenza della richiesta estorsiva da 150mila euro tramite il capo cantiere della “Tre Colli Spa”, Antonio Salvo, il quale avrebbe inviato due suoi dipendenti a trasmettergli la richiesta. Dopo aver chiesto spiegazioni, l’imprenditore sarebbe stato condotto a Lauropoli, frazione di Cassano all'Ionio, senza poter portare con sé il cellulare. Lì avrebbe incontrato alcune persone che gli avrebbero detto chiaramente che, per evitare problemi, la sua azienda doveva versare il 3% del valore totale del contratto, indicando anche i fornitori con cui avrebbe dovuto lavorare. Infine, la cifra - 150mila euro - sarebbe stata ricavata attraverso un sistema di sovrafatturazione dei materiali e dei servizi forniti dalle aziende imposte all’imprenditore. Dunque, gli anni passano, ma i metodi mafiosi restano sempre gli stessi. Quest’ulimo caso dimostra, infatti, come la ‘Ndrangheta, insieme alle altre organizzazioni criminali, continui a esercitare un forte interesse sulle grandi opere e, più in generale, sui lavori pubblici. Il comune denominatore non è più solo il Sud Italia, ma gli interessi economici della criminalità organizzata, che da anni entra in contatto con le imprese affidatarie degli appalti, indipendentemente dalla loro area geografica di appartenenza. Oltre alle richieste estorsive, il modus operandi segue schemi ricorrenti: imposizione delle ditte fornitrici di materiali e assunzione di personale indicato dalle cosche, in cambio di “protezione” e controllo, sia sui lavoratori stessi sia su altri aspetti che potrebbero influire sull’andamento dei cantieri.

Foto d'archivio © Imagoeconomica

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