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Attualmente è imputato per narcotraffico internazionale di cocaina e per duplice tentato omicidio

Pantaleone Mancuso, 64 anni, detto Zio Luni “l’ingegnere", esponente di spicco dei Mancuso (residente a Nicotera), una 'ndrina di Limbadi e Nicotera che opera nel settore del traffico internazionale di sostanze stupefacenti e considerata dagli organi investigativi come la cosca più potente della Calabria sita ed operante in provincia di Vibo Valentia, è tornato in totale libertà senza alcuna misura. La decisione, in accoglimento di un ricorso dell'avvocato Francesco Capria, è del Tribunale di Sorveglianza di Napoli: per il magistrato Mancuso ha mantenuto nella "casa-lavoro" di Aversa un comportamento "immune da censure" e da qui la dichiarazione di cessazione della sua pericolosità sociale e il ritorno in totale libertà.
Adesso si trovava recluso nella casa-lavoro di Aversa dopo essersi sottratto alla libertà vigilata, con successivo periodo di irreperibilità, a seguito (giugno 2018) della collaborazione con la giustizia del figlio Emanuele. Successivamente, Pantaleone Mancuso era stato rintracciato ed arrestato a Roma il 15 marzo 2019 all'interno di una sala bingo.
Nel 2014 era stato invece catturato da latitante al confine tra l'Argentina e il Brasile.
All'epoca era ricercato per associazione mafiosa e duplice tentato omicidio.
Estradato in Italia dopo l'arresto, era sparito di nuovo nel 2016, venendo arrestato dalle forze dell'ordine nel giugno del 2017 nel territorio comunale di Joppolo (Vv). Attualmente si trova imputato a Vibo per narcotraffico internazionale di cocaina (nelle vesti di capo promotore dell'associazione) nel processo nato dall'operazione della Dda denominata "Adelphi" e in appello a Catanzaro per il duplice tentato omicidio della zia, Romana Mancuso, e del cugino Giovanni Rizzo.
Il boss e il figlio Giuseppe, secondo gli investigatori, sarebbero i killer che il 26 maggio del 2008 ridussero in fin di vita le due vittime per mettere fine ad una serie di dissidi nati all'interno della stessa "famiglia". Fatti, questi, ricostruiti dagli inquirenti attraverso al testimonianza di Ewelina Pytlarz, ex moglie di un altro cugino di Pantaleone, che da tempo collabora con i magistrati.
L'agguato avvenne nella campagna vibonese dove le vittime furono trovate ancora vive, ma massacrate a colpi di Ak47 e pistola. Carabinieri e poliziotti trovarono sul terreno 26 bossoli 7.62, 7 bossoli 9x9 e 2 ogive deformate. Munizioni compatibili con armi calibro 9 e con i kalashnikov. Il successivo ritrovamento di una pistola 9x21 con un colpo in canna, di un serbatoio per Ak 47 e di una pistola Walther 7.65 con matricola punzonata, orientarono i sospetti su "l'ingegnere" e sul figlio, entrambi all’epoca irreperibili. Giuseppe si rifece vivo solo dieci giorni dopo il tentato omicidio, il padre invece dopo 29 giorni.

Foto © Imagoeconomica

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