Prove concrete di legami tra mafia e politica: la sentenza ha confermato “la gestione familistica della res publica”
“Scarso rispetto della legalità e influenza della criminalità organizzata sull'amministrazione comunale”. Sono questi gli elementi che hanno portato il TAR del Lazio a confermare il commissariamento del Comune di Capistrano, in provincia di Vibo Valentia, a causa di infiltrazioni mafiose all’interno dell’amministrazione comunale. Considerando questi elementi come “concreti, univoci e rilevanti”, il TAR ha respinto infatti il ricorso presentato dall'ex sindaco di Capistrano, Marco Martino, dall'ex vicesindaco Vito Pirruccio e da cinque ex consiglieri comunali, giudicando il ricorso “manifestamente infondato”. Una decisione che ha confermato quella già presa a settembre 2023 dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Del resto, la sentenza ha evidenziato che vi sono prove concrete e rilevanti a sostegno di queste accuse. Uno degli elementi chiave riguarderebbe la comunicazione intercorsa tra Nensy Chimirri, compagna di Emanuele Mancuso (elemento di spicco della cosca, poi dissociatosi), e il sindaco Marco Martino, di Forza Italia. Per il TAR, questi messaggi costituiscono “un’evidenza palese della riverenza e dell'attenzione dell'amministratore nei confronti di tale particolare cittadina”.
Inoltre, sono state riscontrate prove del legame tra esponenti della ‘Ndrangheta e gli amministratori locali. Un esempio è rappresentato dalla creazione, da parte della maggioranza, di una “lista civetta” per non invalidare il turno elettorale in caso di mancato raggiungimento del quorum, con “assenza di un genuino confronto elettorale” e “strettissimi legami familiari tra i sottoscrittori e i candidati delle due liste”. Oltre a ciò, il candidato sindaco sconfitto, Rocco Tino, ha poi dichiarato “alla commissione d'accesso di aver partecipato alla competizione unicamente su richiesta dell'ex vicesindaco Pirruccio”.
Un altro aspetto messo in luce dal TAR riguarda la gestione delle gare pubbliche, che sarebbe stata organizzata in modo da favorire i parenti degli amministratori. In particolare, il TAR cita ripetuti affidamenti alla ditta di Stefano Pasceri, che violavano le norme sulla rotazione, facilitati dal fatto che Pasceri fosse il padre di Carlo Pasceri, un consigliere di maggioranza. “Esemplificativamente - ha rimarcato il TAR - gli affidamenti in favore della ditta di Pasceri Stefano sono stati reiterati in violazione della rotazione, con l'imprenditore che è pure padre del ricorrente Carlo Pasceri, consigliere di maggioranza, circostanza che dimostra la complessiva gestione familistica della res publica”.
Fonte: Ansa
Foto © Imagoeconomica
ARTICOLI CORRELATI
La collaborazione di Emanuele Mancuso a rischio: ''O mi fate fare il padre o mollo''
Rinascita-Scott: ulteriori rivelazioni di Emanuele Mancuso
Rinascita-Scott, Emanuele Mancuso racconta la forza del clan