Per ottenere i terreni dell’imprenditrice scomparsa, il clan si sarebbe rivolto anche al clan Pesce di Rosarno
Il boss della ‘Ndrangheta di Limbadi, Diego Mancuso, avrebbe utilizzato un telefono cellulare dall’interno del carcere grazie all’avvocato Francesco Sabatino. Questo dispositivo gli avrebbe permesso di mantenere i contatti con l’esterno, riuscendo a gestire gli affari criminali nonostante la detenzione. Il telefono non solo gli avrebbe consentito di gestire i conflitti interni al clan Mancuso, ma gli avrebbe permesso di seguire anche le vicende legate ai terreni di Maria Chindamo, l'imprenditrice di Laureana di Borrello (RC) scomparsa nel maggio del 2016 davanti al cancello della sua tenuta di Limbadi, il cui corpo non è mai stato ritrovato. Questa è la rivelazione al centro della deposizione del collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, all’interno del maxiprocesso nato dalle operazioni antimafia Maestrale-Carthago, Olimpo e Imperium. Mantella ha riferito di aver appreso dell'uso del telefonino in carcere da parte di Diego Mancuso nel corso di un comune periodo di detenzione nel carcere di Viterbo. Durante quel periodo, Mancuso avrebbe parlato anche di Salvatore Ascone, un grosso trafficante di droga. “Di lui - ha riferito Mantella dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia - mi parlò anche Giuseppe Giampà di Lamezia Terme, figlio di Francesco Giampà, detto Il Professore, nonché nipote di mio cognato Pasquale Giampà. Giuseppe Giampà mi disse che Ascone era attivo nel traffico di stupefacenti tra Lamezia e Nicotera. Ho anche saputo che Ascone trafficava droga per conto dei Mancuso, in particolare con Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere, con Cuturello, Mimmo Campisi, Giovanni Rizzo, detto Mezzodente, e con Giuseppe Raguseo, quest’ultimo frequentatore del mio braccio-destro Francesco Scrugli. Scrugli era anche mio cognato ed è stato poi ucciso nel 2012”.
Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Ascone era interessato ai terreni di Maria Chindamo sia per far pascolare il bestiame, sia per ottenere i contributi agricoli. “Ascone era interessato ad acquisire con la violenza dei terreni vicino alla sua proprietà a Limbadi per poter pascolare il gregge o ricevere contributi per le attività agricole. Ascone era collegato alla fazione di Peppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja, ed ai suoi fratelli Francesco Mancuso, detto Tabacco, Pantaleone Mancuso detto l’Ingegnere, e Diego Mancuso. E’ stato proprio Diego Mancuso a riferirmi dello spessore criminale di Ascone - ha ricordato il collaboratore di giustizia - durante un comune periodo di detenzione nel carcere di Viterbo dove eravamo detenuti unitamente ad Angelo Boccardelli, un Bellocco di Rosarno e un Giofrè di Seminara. Diego Mancuso, grazie all’avvocato Sabatino, disponeva di un telefonino in carcere e ogni mattina lo stesso Mancuso si recava nei locali delle docce del carcere per telefonare e tenersi aggiornato su quanto accadeva all’esterno”. E aggiunge: “Diego Mancuso mi confidò che la fazione di Luigi e Pantaleone Mancuso si voleva impossessare dei terreni di Chindamo, che però non voleva cederli. Diego Mancuso mi raccontò che il marito della Chindamo aveva quasi ceduto per la cessione dei terreni alla fazione di Peppe Mancuso, avendo lo stesso Diego Mancuso chiesto l’intervento di Francesco Pesce di Rosarno, detto Ciccio Testuni, che era riuscito a convincere il marito della Chindamo, ma non la donna”.
Diego Mancuso ha raccontato a Mantella che nella questione dei terreni di Maria Chindamo si sono intromessi i suoi zii, Luigi e Pantaleone Mancuso (detto Vetrinetta). “Diego Mancuso era però adirato con gli zii - ha concluso Mantella - in quanto sosteneva che in ogni caso Salvatore Ascone doveva stare con la sua fazione e non con quella degli zii. Si trattava di terreni piantati ad arance e kiwi che Chindamo non voleva cedere”.
Fonte: ilvibonese.it
In grafica: Maria Chindamo e Salvatore Ascone
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